28 ottobre 2008

Perché il duemilaotto non è il sessantotto

Dobbiamo parlare della legge Gelmini?

Quanti hanno veramente letto i contenuti di quel decreto legge?
Ben pochi da quanto si sente dire in giro.

Che la finanziaria e la gestione economica del governo Berlusconi abbia stornato fondi pubblici destinati, fra l'altro, all'istruzione per favorire realtà come l'Alitalia, portando vantaggi alle imprese che guadagneranno dai lavori per Fiera Internazionale di Milano, ha ben poco a che vedere con le tre paginette scarse e striminzite del decreto 137.

Della Gelmini c'è ben poco da dire se non che è un compitino da insufficienza, una non-legge che non cambia nulla e quel poco che modifica è irrisorio e non merita nemmeno un'assemblea, altro che un'occupazione.

Invece, nell'Italia da operetta dove tutto è tifo senza sostanza, per partito preso e per appartenenze a club dell'inefficienza particolaristica, al di là delle parrocchie, si strumentalizza tutto e in primo luogo gli studenti che hanno l'illusione di stare facendo un altro sessantotto, nella speranza di incidere nella storia e di fare parte di qualche cosa che sembri autentica.

Il sessantotto studentesco muoveva contro l'ideologia conservatrice ben rappresentata dalla classe insegnante immobilista dell'epoca. Il loro fine era cambiare quella scuola: affermare che il cambiamento era possibile. E, al di là dei libretti rossi di Mao per una Rivoluzione Culturale cinese di cui il tempo dimostrò le falsità e i veri obiettivi, la partecipazione agli scioperi e alle manifestazioni dei lavoratori rappresentava una nuova coscienza dei giovani che si rendevano conto che per cambiare il loro status occorreva che uscissero dal limbo scolastico per partecipare alle scelte politiche ed economiche del Paese.

Dopo il '68 vi furono molti cambiamenti, soprattutto nelle coscienze e nei soggetti con nuovi poteri di influenzamento che solo la crisi del politico e i paradossi delle finte rivoluzioni violente interruppero.

Una cosa è certa; almeno in Italia, niente smosse la Scuola. Ora si studia diversamente, è vero, e ci sono insegnanti diversi qua e là; scuole sperimentali, modi di gestione diversi. Ma tutto ciò sono mosche bianche. Gli insegnanti e i presidi coraggiosi non sono molti e hanno come nemici, non il governo, ma in primis i loro stessi colleghi e non di rado il gruppo dei genitori. Chi efficienta finisce per favorire i parassiti che guadagnano in soldi e potere dalle capacità degli altri. E non è un problema di tutte le Istituzioni nel mondo. In molti altri paesi non funziona così. Prendiamo gli esempi giusti, come quelli dei paesi scandinavi.

Il fatto è che nessuno è riuscito a cambiare la Scuola italiana. Per essere più precisi, è stato sempre impossibile fare passare l'affermazione che la Scuola potesse cambiare, che fosse possibile un'autentica riforma scolastica. Da quando, più di trent'anni fa, entrai per le porte del liceo e presi coscienza della situazione, ad oggi vige sostanzialmente la stessa organizzazione del sistema scolastico che si contestava, risalente essenzialmente alla riforma Gentile del periodo fascista.

Nella Scuola, chiunque cerchi di cambiare viene ostacolato e combattuto, al di là della parte politica che rappresenta, essendo strumentalizzato dall'altra parte per fini che esulano gli obiettivi di cambiamento. La classe insegnante per difendere i propri privilegi fa come il figlio di divorziati che si rivolge a mamma quando papà non dà l'assenso, salvo poi fare l'inverso quando non gli convenga.

La scuola è fatta di alcuni insegnanti e presidi e tecnici e bidelli coscienziosi, onesti e coraggiosi, l'abbiamo detto, che però - sui grandi numeri della maggioranza conformista e opportunista - sono un'esigua minoranza. E ora, chi ha risparmiato ed efficentato paga il fatto che gli altri non l'abbiano fatto, continuando a mungere la mucca strizzando ancor più duro, se mai fosse possibile.

La qualità dell'insegnamento è fuori discussione e l'orientamento al cliente e il miglioramento continuo fanno ridere tanto il professor Aristogitone di Salò che la professoressa Cheghevara del loft.

In tutto il paese si parla di tagli e di efficientamento in quanto indispensabile, ma ci sono luoghi, come i ministeri, la burocrazia, la sanità, le università e le scuole dove questi ragionamenti non si possono fare. Noi dobbiamo pagare le tasse per garantire i privilegi dei baroni, la noia dei bidelli, l'indotto come l'editoria anti-tecnologica, l'analfabetismo dei maestri raccomandati, l'anti-pedagogia degli insegnanti non valutabili intoccabili per i provveditorato, l'impotenza dei presidi irrisi dai consigli dei docenti…

Qualcuno chiama tutelare tutto questo marciume: "difendere il diritto allo studio e la scuola pubblica". Persino i giullari si mettono a sentenziare dai varietà televisivi per il fatto di avere fatto parte di una casse protezionistica e parlano a frasi fatte occultando ben bene le stanze delle vere colpe.

Il duemilaotto non è il sessantotto, perché oggi i giovani, manipolati da partiti, genitori e anche insegnanti, in maniera contrapposta a quelli dell'epoca, stanno combattendo il cambiamento.
Mi spiego meglio: come ho già detto, il decreto Gelmini non cambia niente e i fondi stanno in un'altra rubrica. Tuttavia, qualsiasi affermazione di cambiamento dovrebbe spingere, non a difendere lo status quo, ma piuttosto a mettere in discussione il cambiamento stesso per cambiare di più e meglio. Questo sarebbe, però, per la classe insegnante e per i para-scolastici, un danno ben peggiore della Gelmini. Quindi combattere il decreto 137 è sbattere il mostro in prima pagina per distrarre, in maniera in realtà utile ad entrambe le parti (gli insegnanti conservatori, sornioni, stanno a guardare), l'attenzione dai veri problemi e dai veri obiettivi.

Per chiarire, torno indietro nel tempo, quando Luigi Berlinguer, ministro dell'istruzione di un governo di centro-sinistra, propose che si introducesse la valutazione periodica del corpo insegnante e l'incentivazione per chi otteneva risultati di valore, pur senza penalizzare gli incapaci (!!!!!!). Ebbene, l'allora ministro (che oggi lamenta dal Sole 24ore di sabato 25 ottobre argomentando in maniera simile a questa, stando fuori dalle parti di questa contrapposizione fasulla e strumentale) si prese tante di quelle sberle, insulti e torte in faccia da dovere tacere per sempre, anticipando di un ventennio l'effetto Bersani con le sue liberalizzazioni stroncate in maniera bi-partisan. Perché l'Italia è in mano alle lobbies - il vero potere è là: che siano Notai o Insegnanti, non riuscirebbe a toccarli né Stalin, né Hitler, figurati un Berlusconi o un Veltroni.

Ma i giovani ci possono e ci devono provare a difendere il loro diritto di avere un servizio pubblico efficace ed efficiente; hanno diritto di chiedere, non solo al governo dove manda i soldi (perché il vero problema non è "quanti", ma piuttosto "in che tasche"), ma anche ai provveditori e ai presidi, dove li fanno finire e come li usano. Hanno diritto di vedere gli stipendi degli insegnanti e dei bidelli, di fotocopiarli e di confrontarli con quelli dei genitori immersi nella crisi e senza tutele.

Hanno soprattutto diritto di chiedere quali garanzie sono date loro e che questa scuola dove sono finiti non sia altro che un sadico bacino della disoccupazione a valle del quale spetta loro la vergogna del lavoro nero dei tirocini (manipolati dall'associazione a delinquere scuola-impresa) e lo sfruttamento del precariato e del lavoro a progetto delle leggi bi-partisan (create a sinistra e perfezionate da destra, entrambi intenti a spiegarci che non è andata così).

Il giorno in cui ci sarà uno sciopero generale dei lavoratori, quelli che veramente stanno soffrendo questa crisi, allora sì che i giovani dovrebbero scendere in piazza per difendere il loro futuro e non oggi per vicariare gli insegnanti nella negoziazione dei loro contratti di lavoro. Quegli stessi che il più delle volte nulla fanno per favorire il cambiamento e l'autonomia di spirito dei giovani e sempre difendono la scuola dalla possibilità di cambiare.

Si paventa che si voglia favorire le scuole private e si agita un fantasma che non è chiamato in causa da nessun decreto di legge, ma al più da affermazioni di politicanti. Le scuole private soffrono come, se non più di quelle pubbliche e anche quelle andrebbero cambiate in meglio. Ma il vero obiettivo è spendere bene i soldi per cambiare tutto ciò che va cambiato al fine di rendere efficiente l'istruzione di qualsiasi ordine, grado e gestione. Di studiare per un futuro e di preparare un mondo che non ha più bisogno di queste farse bi-partisan, ma invece di un cambiamento di cultura e di costumi.

Ma, si sa, i giovani hanno delle priorità, come la socializzazione e il divertimento e forse delle occupazioni protette, perché addirittura qua e la consentite come degli after hours da insegnanti e presidi, sono ottime occasioni per stare insieme, al di là degli slogan: così era dopo il maggio del sessantotto, così sarà in questa simulazione pretestuosa del duemilaotto.

A noi, vecchi disillusi, non rimane che cantare assieme a Giorgio Gaber, "Non insegnate ai bambini".

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