La doppia faccia del suicidio sociale
Quello che, dopo gli esordi di Comte e Saint-Simon, può essere considerato il padre della moderna sociologia, Émile Durkheim, approfondendo le caratteristiche della società moderna e riferendosi soprattutto alla divisione del lavoro e al suicidio ha introdotto un concetto che, pur essendo stato reinterpretato dai principali sociologi e filosofi successivi, non è così noto e diffuso come altri e che pure potrebbe spiegare molto di quanto sta avvenendo nel mondo occidentale nei nostri giorni.
Letteralmente il termine anomia si potrebbe tradurre come assenza, annullamento delle regole condivise e originariamente fu inteso come una situazione presente nella società organica, intesa cioè come un soggetto unico integrato, l'organismo di cui i singoli e le istituzioni non sono che parti, basata sull'organizzazione di compiti suddivisi fra i suoi appartenenti quando il legante che consente alle sue parti di identificarsi viene messo in crisi. Diversamente dal suicidio che si origina da istanze personali, definito come patologico da Durkheim, il suicidio di origine sociale assomiglia a quello dei lemmings, quegli animaletti che vanno in corteo a buttarsi dalle rupi uccidendosi. Qualcosa del genere si è visto con il crollo di Wall Street e la conseguente depressione statunitense dei primi del novecento. Questo suicidio sociale può avvenire in conseguenza ad un eccesso nell'excalation delle aspirazioni che non trovano un adeguato soddisfacimento nelle risorse sociali, e in questo caso viene definito anomico, oppure fatalista quando manca una visione del futuro e l'avvenire appare completamente chiuso, con passioni violentemente compresse.
Questa sociologia si basava sui capisaldi del positivismo comtiano e dell'economicismo del primo ottocento, ma bisogna dire che proprio le analisi di Durkheim hanno favorito il cambiamento delle discipline sociologiche andando a influenzare gli esordi dell'Antropologia Culturale. E proprio a partire dalla nozione di cultura umana e sociale che l'anomia può assumere un senso più completo.
Il termine "Cultura" qui assume un significato più ampio e l'economia diventa una componente di un insieme che comprende essenzialmente il modo di fare le cose e interpretare il significato della persona all'interno della propria appartenenza sociale stratificata nel corso del tempo e nelle transizioni storiche della popolazione e della società. Potremmo genericamente parlare dei valori condivisi e interiorizzati nel modo di vivere.
Il concetto di cultura verrà poi studiato anche dalla scienza delle organizzazioni e delle imprese dove la definizione forse più interessante è quella che viene data da Edgar Schein come "l'insieme di assunti di base - inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell’organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi".
Potremmo quindi affermare che l'anomia è lo scarto che si verifica quando l 'eccesso di sviluppo e/o l'incapacità di rappresentazione del futuro individuale nel seno della propria appartenenza culturale rendono priva di significato e di valore l'esperienza del vivere.
A fronte di una situazione simile, fra le reazioni più ricorrenti vi sono la fuga (emigrazione, espatrio…), la malattia epidemiologica e il suicidio.
Lo sradicamento del nuovo millennio
A una considerazione simile giungeva tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 il visionario padre dell'Antroposofia - che fra l'altro spicca come una delle più riuscite teorie macro-economiche - Rudolf Steiner, quando asseriva che lo spirito del tempo si era andato a fissare nel nuovo continente dove avrebbe portato ai massimi livelli il sapere tecnologico e le sue realizzazioni. Tuttavia, proseguiva, questo miglioramento delle condizioni di vita sarebbe andato a detrimento della cultura sociale e le prime conseguenze di impoverimento o addirittura della perdita della cultura occidentale si sarebbero viste nella seconda metà del secolo con un indebolimento strutturale personale e collettivo e il proliferare fuori controllo di nuove patologie.
A questo fenomeno sarebbe coincisa l'avanzata di un governo "arimanico-mefistofelico" del mondo caratterizzato dall'espropriazione del libero arbitrio individuale e quindi della responsbilità soggettiva della vita che si realizzava, non attraverso delle dittature, ma con un'automazione delle decisioni tramite strumenti di calcolo svuotati dei valori.
Che cosa osserviamo nei paesi occidentali in questo inizio di millennio se non la crescita di fenomeni di anomia? Già Merton e i suoi seguaci ne hanno identificato l'insorgere nella modernizzazione della Cina degli anni '90, la convivenza civile nel Sud Africa del dopo apartheid, la situazione dell'Argentina e di altri Paesi dell'America Latina e i processi indotti in Europa occidentale dalla globalizzazione e dell'immigrazione dai Paesi extraeuropei, la transizione alla democrazia nei Paesi dell'Est europeo (si pensi all'osservazione che fa uno dei protagonisti del film "Le vite degli altri" quando scopre che nella Germania dell'Est della Stasi si sono cominciate a nascondere le statistiche dei suicidi).
Per arrivare più vicini a noi non è difficile riscontrare una forte anomia nella perdita dei punti di riferimento culturali che in Italia, come e ancor più di molti altri paesi, si sta verificando. L'insoddisfazione di una crescita delle condizioni di vita a fronte di una difficile individuazione di obiettivi realistici generali porta, da un lato, ad un'excalation insostenibile della ricchezza e del successo del tutto incommensurata alle possibilità di fruizione ragionevoli per una persona, un eccesso di successo e di desiderio di potere che non può essere per tutti e che diventa superiore alla possibilità di beneficiarne, traducendosi nell'effetto opposto. Questo genera in tutti gli strati sociali un desiderio drogato di apparire e di arricchirsi che fa dimenticare i valori e i comportamenti naturali per il proprio genere e la propria cultura.
D'altro lato, abbiamo una gioventù troppo spesso indifferente alla costruzione del quotidiano perché concentrata su modelli e obiettivi troppo spinti e comunque insoddisfacenti (calciatori e veline, ecc.). Scorgiamo questa difficoltà anche all'interno delle imprese, dove sono scomparsi i livelli intermedi e con essi l'ambizione a crescere per una carriera ragionevole. Al contrario, la crescita economica e di potere è ad appannaggio di un gruppo sempre più ristretto di top manager che diventano autoreferenziali, lontani dai bisogni economici ed imprenditoriali.
A fronte del miraggio per pochi di uno sviluppo abnorme abbiamo una fascia di popolazione sempre più estesa e purtroppo in una crescita vertiginosa che è appena iniziata per la quale la povertà e l'incapacità di sbarcare il lunario non è che il dato più evidente. Il pericolo principale per questi nuovi poveri e per la massa ancora più gigantesca dei nuovi impotenti è l'impossibilità di desiderare qualcosa di ragionevolmente raggiungibile a cui tendere, l'incapacità di rappresentarsi un futuro in una cultura a cui sentono di non appartenere più e che percepiscono essere indifferente al loro domani e alla loro esistenza.
In questa popolazione di nuovi impotenti anomici non vi sono solo disoccupati e sotto-pagati, ma anche ceti medi, professionisti e benestanti intermedi che perdono il desiderio di investire, di scommettere, di aspirare, di inventare, di intraprendere, per questa perdita di appartenenza, per l'assenza di desiderio, per la difficoltà di immaginare un futuro che comprenda loro e i loro figli in una società e in una cultura da cui si sentono alienati, impossibilitati ad influenzarla e a trasformarla in qualcosa che appartenga anche a loro. E le conseguenze di questa impotenza dei gruppi di influenza e di conoscenza è quello che porterà ad un irreparabile ed irreversibile rapido declino l'intero paese.
Ora non rimarrebbe che prendere uno a uno i nuovi fenomeni sociali ed economici (dal disinvestimento agli studi superiori al desiderio dei soldi facili, dai consumi eccessivi e distribuiti di eccitanti, primo fra tutti la cocaina, alla distribuzione quasi epidemiologica di anti-depressivi, dalla crisi delle istituzioni e della famiglia alla pedofilia - come excalation del desiderio libidico - dalla speculazione sui giovani lavoratori all'incapacità di generare ricerca, e così via) e domandarsi se possono appartenere alla categoria delle conseguenze o delle cause dell'anomia epocale del mondo occidentale, oppure se possono costituire una risorsa per superarla e per dare una svolta vivibile verso una cultura condivisibile cui si possa accettare di appartenere e di contribuire.
Durkheim sostiene che “L'uomo è quel particolare essere animato che non sa autoregolarsi perciò una volta raggiunta una meta, tende a volerne raggiungere altre più ambiziose, in un processo che si imbatte prima o poi in limiti invalicabili, condannandosi a uno stato di perenne insoddisfazione (…) ciò che è necessario perché l’ordine regni è che la maggior parte degli uomini si accontenti della propria sorte (…) D’altra parte, proprio perché più intensa è la vitalità generale, essi sono in uno stato di naturale eretismo: con l’accrescersi della prosperità, i desideri si sono esaltati. L’offerta di più ricca preda li stimola, li fa più esigenti, più insofferenti delle regole nel momento che le regole hanno perduto la loro autorità. Lo stato di non regolamento o di anomia si rafforza dunque perché le passioni sono meno disciplinate proprio quando sono più bisognose di una forte disciplina (…) Meno ci si sente limitati, più insopportabile ci appare ogni limitazione. Non è senza ragione che tante religioni hanno celebrato i benefici e il valore morale della povertà, che è, infatti, la migliore scuola per insegnare all’uomo a contenersi. Costringendoci ad esercitare su di noi una costante disciplina, essa ci allena ad accettare docilmente la disciplina collettiva, mentre la ricchezza, esaltando l’individuo, rischia sempre di risvegliare quello spirito di ribellione che è la fonte stessa dell’immoralità. Non è questa, certo, una ragione per impedire all’umanità di migliorare la sua condizione materiale. Ma se il pericolo mortale che ogni aumento di ricchezza comporta non è senza rimedio, è anche necessario non perderlo di vista”
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