17 luglio 2007

Le nuove vie del conflitto sul lavoro

Lauti affari per gli avvocati del lavoro con questi chiari di luna, se solo si mettono a imitare i loro colleghi d'oltre oceano. Lo abbiamo visto in più di un film: se degli avvocati si trovano in prossimità di un luogo di incidente qualsiasi, subito si rivolgono alla vittima facendogli comprendere che potrà guadagnare da un'infinità di spunti e pretesti. Se sei scivolato sul pavimento troppo lucido dell'albergo, perché non sfruttare l'occasione per fare causa per danni all'albergatore?

Oggi come oggi le aziende prestano il fianco ad un'infinità di occasioni per fare loro causa e in particolare da parte dei dipendenti di cui ben volentieri desiderebbero liberarsi. Il conflitto sta passando dalle aule sindacali a quelle giudiziarie. I sindacati, ormai in grado di salvarsi solo se prendono la strada della privatizzazione, non hanno ancora capito quale possa essere la nuova popolazione di lavoratori da rappresentare e così capitolano alla ricerca di una classe in una società ormai da decenni priva di classi e si abbarbicano ai lavoratori extra-comunitari.

Il vero conflitto diffuso (a parte i soliti fenomeni sommersi) sta nelle forme improprie introdotte con le ultime leggi sul lavoro da Treu a Biagi. E se di contratti ancora non ne sono stati abbastanza impugnati è per una certa timidezza da parte dei giovani che ancora ascoltano gli obsoleti consigli dei padri di fare i bravi per non pregiudicarsi possibilità peraltro improbabili di continuità d'impiego. Si vive di incursioni: così è dal lato delle imprese e così dev'essere da quello dei lavoratori. Stagisti e contrattisti devono studiare attentamente i contratti e gli avvocati devono imparare ad aiutarli per inchiodare le imprese che dissimulano formazione o reclutamenti diversi da quello che mettono in atto.

Un consiglio, ragazzi: trovatevi fin da subito molte prove e soprattutto molti testimoni!

Altro terreno fertile per i nostri avvocati è lo stress e la depressione che l'ambiente lavorativo produce a causa di demansionamenti o mutamenti delle condizioni di rapporto di lavoro. Anche in questo caso sarà importante rispettare tutta una serie di passaggi, producendo opportune copie con ricevuta di ritorno delle proprie diagnosi da consegnare al datore di lavoro. Da quel momento in poi ogni azione sarà suscettibile di essere ricondotta al rispetto di quella diagnosi.

Per chi abbia visto il film francese L'apparenza inganna, dove un impiegato lasciava a pensare di essere gay e quindi di esporsi a comportamenti discriminatori, la situazione può essere più chiara. Anche per il personale femminile le occasioni non mancano, ma sarà bene documentarsi e trovare un legale preparato.

Bisogna inoltre saper distinguere fra discriminazione con sintomi psicopatologici e mobbing in quanto i primi sono conseguenze dirette di condizioni lavorative, mentre l'altro è un prodotto derivato, secondario, e intenzionalmente preparato, una conseguenza di un comportamento ostile reiterato. E ancora non basta: parlando di mobbing, bisogna sapere distinguere fra quest'ultimo e i fenomeni ad esso apparentati, anche se meno famosi, ovverosia il bossing, lo stalking e lo straining. E occorre sapere come dimostrarlo e seguire una procedura corretta per poter ottenere soddisfazione.

Certo sono molti i casi in cui oggi è giusto che i lavoratori vessati si rivalgano sul datore di lavoro per i danni subiti. Tuttavia, per chi pensasse che queste mie possono essere solo provocazioni, non è azzardato ricordare loro di come - e non soltanto negli USA - molte donne siano arrivate al punto di scegliere il consorte in base a quello che possono spuntare dalla causa del divorzio e a come, quindi, le cause possano diventare uno strumento di profitto, una vera e propria occupazione "professionale". Non è stravagante immaginare che lo stesso possa accadere con i contratti di lavoro.

Queste competenze non spettano soltanto ai legali; è opportuno che ne vengano a conoscenza, almeno nei loro lineamenti generali, anche i lavoratori potenzialmente interessati. Il fatto curioso è che sarà bene che le conoscano soprattutto i manager. Questi infatti si trovano posti fra il martello di un lavoratore che chiede che gli vengano riconosciuti i danni e l'incudine di un'azienda che non intende farlo. Chi prevarica chi? Non è certo l'azienda ad avere intrattenuto comportamenti persecutori nei confronti del dipendente. Sarà al povero manager servile che toccherà pagare! E a ben poco servirà spiegare che non c'erano alternative, che era stato implicitamente indotto da un'altra direzione a comportarsi in quel modo, che le scelte di programmazione economica e del personale…
Tutte scuse inutili: a pagare sarà lui, anche se fino ad oggi in genere l'azienda gli ha coperto le spalle (cosa che non necessariamente continuerà ad essere).

Tutti noi sappiamo che dopo le faccende Enron, Wordcom e Parmalat le imprese sono corse ai ripari con una serie di azioni essenzialmente di facciata, come i bilanci di sostenibilità e i codici etici d'impresa.
Il manager che abbia partecipato ad un corso di quest'ultimo tipo o che abbia firmato di aver ricevuto quel materiale è già implicitamente nei pasticci. Non solo perché l'azienda si laverà le mani dal rischio di essere chiamata in causa per alcune delle tante azioni non propriamente trasparenti che praticamente quasi tutte si trovano a far compiere ai loro manager che vogliano rimanere tali. L'altro rischio è quello di essere in prima persona reso unico responsabile dei comportamenti persecutori dai quali l'azienda, dopo aver fatto il corso e fatto firmare per la consegna del codice etico, prende una volta per tutte le distanze, anche se avrà messo il suo funzionario nella condizione di non sapere come comportarsi diversamente per ottemperare agli obiettivi organizzativi.

È d'altronde vero che molti manager sono impreparati e spocchiosi nei riguardi di tali questioni presumendo di non dovere mai pagare e, grossolani e spesso volgari come sono, finiscono per metterla cantando la testa nelle fauci del giudice. Potrà invece loro essere utile non frequentare i corsi sul codice etico e rispedire al mittente il documento per cui ci si aspetta la firma.
Questo però non basterà e potrà essere bene che si informino, che cerchino dei consulenti in grado di guidarli nelle relazioni di lavoro e magari che se lo cerchino loro un bel corso, non sul codice etico, ma su come evitare di essere chiamato a rispondere di persecuzione nei confronti dei collaboratori.

Qualche anima pura si starà domandando: "Ma dove sono le human resources, le relazioni interne, la comunicazione interna e gli stessi sindacati?"
Bella domanda!…
Io un po' di risposte ce le avrei, ma penso di aver fin troppo scoperto le carte.

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