02 febbraio 2011

Un incubo riuscito

Si dice che ci siano sogni e sogni.

Ci sono quelli narrativi, a volte sensati, spesso meno, in cui la storia, il racconto prevale sul ricordo, sulla chiarezza sensoriale… sono quei sogni che li racconti quasi per sentito dire.

Poi ci sono quelli che chiamo "sogni-evento" perché il loro ricordo è più prepotente di una scena realmente vissuta.

Sono sogni di realtà aumentata, iper-reali, che continuano a perseguitarti per tutto il giorno e non te li togli più dalla testa. Si dice, e io sono fra quelli che lo fanno, che questo tipo di esperienze oniriche siano comunicazioni che ti provengono da un'altra sfera: puoi pensare all'al di là, a qualche maestro di un'altra dimensione o all'inconscio collettivo, poco importa. Per questo hanno un valore di tipo diverso, anche se il loro significato lo si scopre meglio in seguito.

Quando hai di queste esperienze - e chissà perché non ne ho mai di pacifiche, bucoliche o generalmente liete - per sentito dire e per esperienza, so che la cosa migliore da fare è quella di condividerle.

E per che cos'altro ci starebbero a fare i blog???

Quindi beccati il mio incubo!

"Ero in una sala d'attesa di un poliambulatorio medico, alternativo. Anche i medici stavano lì ad aspettare, mandando indietro i pazienti che non avevano il numero che doveva passare in quel momento, anche se poi non avevano nulla da fare e ciondolavano in piedi come gli astanti. Io non dovevo passare. Accompagnavo qualcun altro che aveva a che fare con la prima parte del sogno, quella più tradizionale. Ad un certo punto mi avvicino ad un'enorme vetrata che prendeva tutta la lunga parete della sala d'attesa. In una sorta di tramonto particolarmente affascinante dalla collina di una città che sapevo dover essere Nizza, improvvisamente un pezzo di crosta terrestre più esteso della città stessa, roteando vola in aria e sembra che sfiori le vetrate della mia sala d'attesa per poi ripiombare fragorosamente nel mare. Di lì a poco un'onda altissima, di gran lunga più della collina stessa, roboando avanza  verso dove mi trovo io travolgendo tutto. Ricordo una grande confusione a valle della quale io, come onda o come resti della distruzione, scruto il paesaggio devastato con un misto di sentimenti da cui prevale una romantica nostalgia."

Ecco. Finito l'incubo. Ricorda un po' il film di Clint Eastwood, Hereafter, l'al di là, ma infinitamente più in grande.

In questi casi, essendo un sogno della prima mattina, quello che conta sono anche i primi pensieri che l'accompagnano, quelli che vengono da soli quando ancora non ragioni bene.

La prima evocazione è stata il ricordo di Atlantide, il continente sommerso, le cui scienze e tecnologie si dice per presunzione abbiano determinato il cataclisma. Poi quei religiosi che sostengono si debba presto riparare sulle montagne per sperare di salvarsi dalla fine del mondo. Poi alla crosta terrestre che cede sotto il peso di quello che vi si trova al di sopra, dopo essere stata privata del sostegno fluido costituito da petrolio e gas cui possono aver contribuito gli stessi atlantidei scomparsi e affossandosi libera veleni brucianti e lava che devastano tutto prima che l'acqua venga a ricoprire ogni cosa fino a lambire i monti dei superstiti. Così ho pensato che poteva spiegare quella descrizione della fine del mondo che ne davano Incas o Maya che fossero, fino agli aborigeni, ovvero che la civiltà sarebbe scomparsa dal mare che si schianta sulla terra arrivando dall'alto, come le acque del lago del Vajont al precipitare improvviso della terra dentro di esso.

Poi sono uscito, ho parlato con mio figlio, di scuola, di cellulari, di sport… tutto è tornato a scorrere.

Normalmente.

Camminando per il centro non ho potuto non notare quanto fosse cresciuto il numero dei mendicanti. Noi, quelli che dormono al caldo, e loro all'addiaccio, su due lunghezze d'onda diverse: se non sei in quel mondo, perché preoccupartene? Semplicemente non esiste. È solo autolesionismo il tuo. La terra, il luogo che è stato affidato per alcuni millenni alla razza umana, a dispetto, non solo di Keplero, Copernico e Armstrong, ma anche dello stesso Tolomeo, a noi bipedi appare come una sicura piattaforma infinità. Non può cascare! Ci sorreggerà sempre perché sotto di lei non c'è che terra che poggia sul suolo e sul suolo del suolo infinito. Anche se sappiamo che non è così, ci sembrerà sempre impossibile che sia altrimenti. La vita è un lungo fiume tranquillo!

Se credessi nella psicanalisi o se anche solo mi piacesse, potrei magari considerare il tutto una reminiscenza del travaglio prenatale; se mi mettessi il cappello psicosomatico potrei pensare a vescica, reni, ma anche al sistema reticolo endoteliale; se fossi esperto di cabala saprei che numeri andare a giocare e su che ruota. Ma so cantare a malapena qualche canzone, qualcuna mia e qualcuna di altri di molto tempo fa e allora chiudo con un De Gregori d'annata:
"…Un amico d'infanzia, dopo questa canzone / Ha detto «È bellissima, è un incubo riuscito / Ma dimmi, sogni spesso le cose che hai scritto / Oppure le hai inventate solo per scandalizzare?» / Amore, amore, portami via / Devo ancora svegliarmi!"

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