Le lettere, dalla carta al monitor
Esistono dei protocolli Internet che hanno fatto la storia e che oggi praticamente non esistono più. In quanti si ricordano ancora del Telnet che caratterizzava il modo di consultare la rete e di comunicare dei primi tempi? Quanti altri poi sanno che cos'era il Gopher, il primo "Google" e del suo client chiamato amorevolmente Veronica che costituiva la risorsa principale per entrare nelle università e negli archivi di ricercatori? Altri, come FTP o IRC, vengono ancora utilizzati anche se a sapere che esistono e a che cosa servano sono proprio in pochi.
Viviamo in tempi per cui, alla terza generazione che quando dice "Vai su Internet" intende "Apri Google", sta succedendone una quarta per cui Internet sono alcuni suoi prodotti, primo fra tutti FaceBook e Skype o Messenger.
Frequento la rete delle reti dal '93, assieme ai primissimi browser che si chiamavano Mosaic, Cello e Lynx (quest'ultimo per gli ambienti a carattere come il DOS). A quei tempi la posta elettronica si prendeva in Telnet o più praticamente con Eudora. E stiamo parlando di neppure vent'anni fa.
Se risaliamo nel tempo, quando ero piccolo e per almeno trent'anni ancora, si usava la posta cartacea; anche perché la maggioranza delle persone all'epoca non aveva telefono. Allora mia madre e la sua si mandavano una lettera all'anno o poco più e la loro comunicazione, a parte la villeggiatura settembrina, finiva lì. Con i fratelli le cose erano ancora più rare e non di rado assenti. Più facondi erano i pochi colti del dopoguerra che usavano maggiormente la posta (i rapporti fra colti e analfabeti oggi si sono ribaltati anche se i colti conoscono molto meno di allora la loro lingua e il suo uso è spesso distratto, impreciso, maleducato nei confronti del destinatario).
Gli snob nostalgici della piuma d'oca e della carta profumata dimenticano troppo facilmente che ai tempi in cui ha cominciato a diffondersi la posta elettronica, le lettere le scrivevano al massimo i fidanzati (e la burocrazia, ovviamente) e che il postino, a parte la pubblicità, consegnava soprattutto cartoline d'estate e sotto le festività.
Qualcuno poi osservò a ragione che l'e-mail ha permesso per molti un ritorno alla scrittura e nello specifico alla comunicazione scritta. Era proprio così: la gente re-imparava (e spesso apprendeva ex-novo) a scrivere e a scriversi. Per un po' di tempo, fra BBS e e-mail si è riscoperto il piacere di scrivere.
Messaggi in azienda
Nel giro di una decina di anni la mia cassetta postale, l'inbox, era piena ogni giorno di messaggi di amici noti e non di rado nuovi e sconosciuti.
Ora di e-mail ne ricevo un'esagerazione, ma si tratta per la maggior parte di spam e comunicazioni commerciali. Da questo il disamore per questo mezzo replica in fondo quello che decenni fa aveva colpito le lettere cartacee.
In azienda le cose non sono poi così diverse, anche se si verificano con lo stesso ritardo con cui sono iniziate: dalle mie prime e-mail private a quelle aziendali ufficiali sono passati circa 7 anni. Da quando è iniziato il grosso fenomeno dello spam ad oggi che il cattivo uso della posta elettronica in azienda ha reso la stessa inefficiente, rallentando le attività invece di facilitarle, e quindi una forma di spam autorizzata, stanno per passare gli stessi anni.
I vizi della posta elettronica aziendale sono moltissimi: a partire dagli inoltri spietati e dalle copie per conoscenza a livello esponenziale, di una continua catena di sant'Antonio, per proseguire con la superficialità con cui si allegano documentazioni senza valore per gran parte degli interessati senza fare il benché minimo sforzo per sintetizzare il contenuto o fornire un contributo personale sullo stesso che porta il destinatario ad ignorarlo, finendo con l'impossibilità di gestire gli archivi documentali che sono passati dal file system (le cartelle sul disco) all'inbox sempre più difficile da consultare o da permettere ricerche.
Quello che sta accadendo nel mondo per così dire "consumer", il passaggio a delle piattaforme integrate al posto dei protocolli separati, è tutto sommato un ritorno al passato. Le prime esperienze di comunicazione elettronica, a parte i membri delle università, avevano luogo nelle BBS (Bullettin Board System da noi ribattezzate "bacheche elettroniche") che già allora svolgevano buona parte dei servizi forniti da Facebook e similari in maniera volontaristica e del tutto economica anche se allora non ci si poneva problemi di privacy (il mondo era più semplice allora).
Le BBS in azienda
Bisogna dunque rassegnarci a rinunciare alle e-mail in azienda? Proprio ora che eravamo riusciti ad insegnare ad usarla? Il fatto è che l'abbiamo insegnato male: da un lato, si intasano le caselle di tutti e si fa perdere un gran tempo agli impiegati con la comunicazione verticale; dall'altro, chiunque abbia sperimentato l'esperienza di porre quesiti alle aziende tramite e-mail, sa che dopo aver atteso inutilmente risposta, dalla volta dopo ha imparato ad insistere al telefono. Il fatto è che anche che gli utilizzatori maneggiandola impropriamente hanno customizzato la posta elettronica stessa, trasformandola spontaneamente in un mezzo di gruppo e di condivisione (proprio tramite CC, BCC, inoltri, citazioni, allegati condivisi…).Eppure, nonostante questo adattamento spontaneistico, bisogna prepararsi ad una faticosissima separazione: separarsi dalle abitudini è così difficile che si dice che dopo che hai sciolto la fune che lo lega al palo, l'asino continua a camminare in tondo, calpestando il solco fatto negli anni.
Perché mai allora dovremmo passare ai wiki, ai social network, al messaging, al pairing e al micro-blogging?
Le risposte principali sono di due tipi.
La prima è che si tratta dell'evoluzione delle Intranet e della comunicazione interna nel senso della collaborazione e della destrutturazione organizzativa e gerarchica con una spiccata inclinazione alla condivisione delle conoscenze, dell'apprendimento, dell'innovazione e soprattutto dei processi e del workflow.
La seconda e più importante è l'accorciamento delle distanze fra cliente e dipendente e dal trasferimento di una mutua appartenenza, al punto che il cliente potrà diventare il migliore collaboratore dell'azienda (come preconizzato una dozzina d'anni fa da David Siegel in Futurizza la tua impresa) e il dipendente sarà sempre meno burocratico e sempre più fornitore di servizio o consulente. Aziende all'avanguardia come Apple praticano questa filosofia addirittura da prima che esistesse Internet; non poche delle ditte nostrane falliranno prima di aver capito come questo principio può funzionare.
Bisogna però evitare di ripetere gli errori del passato: il passaggio alle piattaforme va accompagnato, va insegnato non solo nei tecnicismi dei menu e dei comandi, ma nei modelli di comportamento e di organizzazione. Un paziente lavoro che richiede, non settimane o mesi, ma anni per essere condotto in porto e quindi impone di accorciare i tempi e di cominciare subito prima che sia troppo tardi.
Quando si avrà imparato ad usare correttamente le piattaforme e dopo che avremo abbandonato la posta elettronica con il suo spam, allora sarà il momento in cui si riprenderà ad utilizzarla, questa volta per farci le cose per cui funziona meglio, ovvero le stesse per cui un tempo si ricorreva a carta, busta e francobollo (forse si dovrebbe far pagare un francobollo ad ogni invio per spingere le persone a fare un uso più saggio del mezzo).
L'organizzazione deve imparare a condividere fino a che la condivisione non insegnerà alle persone quale sia l'organizzazione più efficace, azienda per azienda, istituzione per istituzione: il cambiamento trasforma chi cambia in un modo inedito, diverso da quello pianificato, una sorpresa dei nuovi tempi che può nascere dalla palude e dalla nebbia che si diceva non avere fine.
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