Una regola da prendere sempre in considerazione, soprattutto nelle relazioni d'aiuto, è quella che spesso il problema consiste nella soluzione che è stata trovata a qualcosa che spesso un problema non è.
Ci si trova così ad affrontare problemi di natura relazionale, sessuale, lavorativa e così via senza considerare che è l'obiettivo che ci si dà a non essere corretto.
Viviamo in una società eretistica e ipertrofica. Soggetti a continue stimolazioni, viviamo ossessionati dal timore di non essere all'altezza o di non avere abbastanza. Ad esempio, indubbiamente la sessualità è una componente importante della vita, ma ne sentiamo il bisogno, più spesso vissuto come costante insoddisfazione, in funzione di una continua sollecitazione che non è una necessità autentica della nostra persona. Il più delle volte si tratta del frutto di continue sollecitazioni che ci provengono dalla strada, dalla televisione, dal costume delle persone che frequentiamo. Tutto questo perché mettere in discussione i luoghi comuni ci risulterebbe ancora più penoso che assecondarli.
La nostra vita è all'insegna di automatismi che ai nostri antenati erano pressoché sconosciuti. La vita è più semplice di come ci troviamo a viverla. Per vincere le frustrazioni del lavoro si finisce per assumersi maggiori responsabilità e per lavorare sempre di più. Eppure il lavoro ha dei costi che possono essere superiori alla retribuzione che ce ne deriva. Essere all'altezza del tenore sociale richiesto dal ruolo può essere talmente costoso che se ne sottraessimo il valore dallo stipendio scopriremmo di guadagnare meno dei nostri sottoposti. Lavorare di meno sarebbe la cura (sia per la salute che per i bilanci). Invece cerchiamo aiuto per poter vivere peggio. E il bello è che lo troviamo, anche. Psicoterapie interminabili, coaching esasperati, corsi di formazione artefatti, sessuologi ideologizzati ci aiutano a mantenere l'incubo delle nostre ossessioni.
Bisognerebbe sostituire la terapia delle nostre insoddisfazioni con una cura che ci salvi dalle assuefazioni "normali". La cura di cui la maggior parte di noi ha maggiormente bisogno è una terapia della de-sensibilizzazione. Imparare a "sentire di meno", a non reagire a qualsivoglia stimolo, a schermare i nostri sensi e la nostra coscienza dalle infinite contaminazioni dello stile di vita contemporaneo.
È difficile proporre un simile obiettivo a un cliente che si ritiene convinto della propria analisi e di una diagnosi così condivisa da quanti ha attorno. Eppure la mancanza di difese o l'uso improprio che il corpo (e la mente) di ognuno di noi ne fa sono il meccanismo che sta alla base delle patologie del secolo: virus, retro-virus e malattie auto-immunitarie.
Un modo per vivere meglio lo possiamo praticare tutti senza ricorrere a consulenti o terapisti: sottrarsi in maniera volontaria all'uso dei mezzi di sollecitazione automatica dei sensi e dei bisogni. È quasi come smettere di fumare, ma un po' più difficile, anche perché da nessuna parte si scrive: "l'auto uccide", "il televisore provoca l'alienazione", "il troppo lavoro danneggia gravemente te e chi ti sta intorno", "un certo amore crea dipendenza, non iniziare", come invece si trova su tutti i pacchetti di sigarette.
Paradossalmente è la "normalità" con cui vengono vissuti dal resto del mondo questi comportamenti che motiva la richiesta di aiuto.
D'altro canto si può a buona ragione affermare che molte delle patologie contemporanee - fisiche e psichiche - altro non sono che effetti dell'ipersensibilizzazione coattiva.
Invece di trattarli con delle cure che prendono sul serio il bisogno sarà bene smontare gli assunti, lavorare per scoprire i veri obiettivi della vita equilibrata per poi passare a studiare delle strategie e a mettere in pratica delle tattiche per desensibilizzarsi, per annullare l'automatismo dei desideri e per abbassare la soglia di reattività agli stimoli sensoriali e alle illusioni narcisistiche.
(da Cambiare.org
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