Chi fino a ieri parlava di e-learning viene sempre più spesso colto oggi a parlare di Communities of practice.
Saremmo portati a pensare che si tratti dell'ennesima questione di mode terminologiche, se non fosse un po' troppo sbrigativo.
Le comunità professionali esistono da ben prima che ci fosse l'e-learning e non hanno neppure subìto un legame con informatica e Internet tale da collegarle al fenomeno della new economy.
In realtà si può fare comunità di pratiche anche senza accendere nessuna macchina, anche solo trovandosi al caffé.
In pratica però i tempi hanno imposto l'uso di piattaforme e di dispositivi elettronici i più disparati. Le comunità si innestano negli e-portal, si connettono con i cellulari, con gli SMS, non disdegnano gli MMS e il VoIP, oltre a frequentare ovviamente focus, chat e tutte le "diavolerie" neeo-tecnologiche.
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Nelle comunità ciò che conta veramente è l’oggi: il domani è solo la direzione dell’oggi e il passato, la storia, nient’altro che ciò che abbiamo lasciato, il luogo da cui ci stiamo allontanando, quanto vi è di non più valido, di non più utile, se non per ciò che è già entrato a far parte dei nostri comportamenti. La storia del gruppo ha valore proprio in funzione di quello che il gruppo è oggi, del senso di appartenenza, della cultura che si sviluppa, dei valori che vengono trasmessi e soprattutto del peso che ha una frequentazione pluriennale assume nei confronti dei neofiti. Al di là di questo, il passato è inutile: una business community vive dell’oggi, della capacità di inventare nuovi traguardi, di cambiare linguaggi, di scoprire nuovi territori. Che cos’è, se non stupida burocrazia, la speranza di impadronirsi del sapere dei propri professionisti costringendoli a perdere il proprio tempo nel trasferire le proprie informazioni pregresse all’azienda? Si otterrebbe solo di demotivare i professionisti, che così non guarderebbero più al domani, non innoverebbero più e perderebbero ogni entusiasmo. Non serve certo conoscere le informazioni sul sapere dei venditori per passare il testimone a un altro rappresentante dal momento che quel cliente sta con voi solo grazie al rapporto che si è creato in seguito a un lungo e paziente lavoro del venditore, alle sue caratteristiche personali oltre che professionali, e ai tempi e ai luoghi che l’hanno visto nascere e crescere.
Nonostante queste osservazioni dovrebbero essere auto-evidenti, purtroppo la dura legge per la quale la madre dei cretini è sempre incinta deve mettere tutti in guardia, premunendosi con strumenti concettuali e strategici di fronte all’assalto dei normalizzatori, dei manager e delle società della grande omologazione data-centrica.
Nelle aziende oggi si sta combattendo una dura battaglia etica e culturale i cui esiti sono tutt’altro che scontati.
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Sarà bene, quindi, che del knowledge o della community dei venditori si occupi un progetto apposito realizzato da persone che conoscono cultura, linguaggio ed esigenze di quella popolazione; che ne sappiano rispettare i valori e i diritti reali; che si muovano nel territorio concreto di quella comunità professionale; che bilancino gli investimenti ben conoscendo i risultati che si possono ottenere e per nessuna ragione superando i confini che ne tutelano la convenienza. Questo gruppo di coordinamento saprà bene che molto del lavoro sarà affidato ai fruitori stessi che assorbiranno buona parte dei costi dell’operazione e saranno doppiamente soddisfatti comprendendo che, proprio perché fatta da loro, la comunità è un oggetto e un progetto che appartiene loro e sarà sempre a loro disposizione.
La sostenibilità realizzativa è situata dunque nella mente locale, quella del gruppo di gestione dedicato e centrato sul cliente e quella dei destinatari, artefici e beneficiari di un’operazione che, se finirà bene, corrisponderà al vantaggio dell’organizzazione nel suo insieme, proprio in ragione dell’empowerment professionale di coloro che vi si impegnano in maniera attiva e non parassitaria.
Separare e governare, lasciando autonomia operativa e di organizzazione ai popoli governati è la lezione che i Grandi Imperi che hanno funzionato possono offrire alle grandi imprese di oggi, in bilico fra la delegittimazione, lo svuotamento delle direzioni e il decentramento della gestione, da un lato, e la rifondazione su criteri di “autogestione” dei propri collaboratori, dall’altro: imperi sconosciuti a se stessi o arcipelaghi di villaggi, uomini, donne e bambini con un interesse comune. La qualità della vita.
Estratto dell'articolo (7 pagine) appena pubblicato dalla Rivista Italiana di E-Learning (n.10 settembre-ottobre 2005).
Versione digitale (1,7 MB) cortesemente concessa dall'editore per la consultazione e di cui non è consentita la diffusione pubblica.
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