"Non servono più eccitanti o ideologie/ci vuole un'altra vita" cantava Franco Battiato nell'omonima canzone.
E chi non vorrebbe una seconda opportunità?!
Così c'è chi se l'è inventata e quasi una decina di milioni di altri che se la sono comprata come ci si potrebbe comprare una seconda verginità.
Internet ha scoperto qualcosa che dieci-venti anni fa era chiaro, prima ancora che alla Turkle ad Abraham Moles - più di recente in parte reinventato da De Kerchove (bella questa sparata di autori che ai più non dirà un bel niente, però lascia pensare che io la sappia lunga, vero?): ovvero che quelli virtuali sono comunque ambienti e che la nostra mente per immaginare la rete ha bisogno di rappresentarsela spazialmente come dei luoghi.
Personalmente la mia prima illuminazione me la diede Howard Rheingold con il suo libro Comunità Virtuali. La cosa sorprendente è che quel lavoro faceva soprattutto riferimento alle comunità della west coast statunitense che, molto prima dell'Internet-Rush, viveva nel virtuale attraverso le BBS (e le loro reti come Fidonet e Omninet).
Quelle bacheche elettroniche non erano il mondo nel cassetto, ma la tua città con alcuni ospiti trasversali che spesso erano come il prezzemolo di quei salotti da computer. Ad aprirmi a quel mondo fu la Znortlink degli Enrico Balli e Pasini e soprattutto il grandioso programma di gestione FirstClass.
In una BBS immaginavi la persona per i toni che usava per scrivere, il gergo che aveva, l'impressione che lasciava di sé anche negli altri interlocutori. Immaginavi anche la BBS come un luogo. E tutti questi luoghi e queste persone erano generalmente rappresentazioni dei tuoi fantasmi, dei tuoi desideri, delle tue esperienze pregresse.
Una volta per un cognome vagamente fallico ci fu una flame sul fatto che una partecipante fosse un uomo. Io osai mettere in dubbio che la cosa fosse importante e se un maschio voleva travestirsi in uno spazio virtuale ne aveva tutto il diritto e noi avremmo dovuto rispettarlo. Di lì a poco sarebbe arrivato Internet e degli avvocati neworkesi sarebbero stati oggetto di pubbico ludibrio perché avevano osato spedire una pubblicità delle loro attività a qualche centinaio di indirizzi al punto che l'intera rete insorse e seppellì il server di costoro con milioni di e-mail.
Allora, invece, c'era ancora il piacere di incontrarle di persona quelle voci di testo e si organizzava la pizzata della BBS. E lì le belle amicizie della rete potevano consolidarsi o svanire come nebbia al sole.
Poi fu l'Internet e tutti potevano contattare tutti finendo per non conoscere nessuno.
La mente umana è locale e non riesce a concepire spazi globali e per questo globalmente infiniti.
Nel libro di Rheingold si fa riferimento a storie di persone, di aiuto reciproco, di soccorso, di confronto professionale e nella professione di genitori, di giornate al parco e di riunioni e cene e così via: il BBS consolida il gruppo delle persone e gli incontri rinforzano la spinta ad usare il BBS.
Storia antica? Già allora nascevano le prime esperienze di avatar, ma gli strumenti dell'epoca finivano per vanificare i tentativi.
Oggi Second Life crea ambienti ritagliando piccole porzioni della infinita ragnatela e sottraendoli all'esercizio della fantasia. Nel nostro mondo votato alle frustrazioni, al disgusto e alle grandi insoddisfazioni, chi non vorrebbe ricominciare da capo in un mondo ideale.
Peccato che la fantasia degli autori e del business attorno a loro non ha certo creato il migliore di mondi possibili, ma piuttosto una replica di tutti i difetti di questo: la solitudine di base, il ricorso al denaro per tutto (dalla casa, al lavoro, al sesso...), il consumismo sopra qualsiasi cosa.
Ci sono immobiliari famosissime che hanno acquistato il diritto di affittare e vendere alloggi e stabili e non manca la gente che li compra, perché, per contraddittorie che possano essere le opinioni su questo presunto gioco, su una cosa sono tutti concordi: puoi entrare senza spendere una lira, ma se non compri girerai a vuoto senza combinare niente. Stessi i modelli etici più deteriori della società dei consumi: obiettivo desiderare, comprare e vendere senza sapere perché e magari finire in rovina!
All'apparenza 2nd Life assomiglia a un BBS di una volta, dunque, in quanto entrambe portano la persona che non può vivere le relazioni che desidererebbe perché frustrate da un'identità quotidiana impoverente o mortificante a trovare soddisfazione in un ambiente a parte. Tuttavia, laddove il primo ti porta in una copia illusoria della prima "Matrix" per ripetere errori e illusioni, con poco spazio per l'immaginazione spaziale e spingendoti a spendere su feticci di illusioni, il secondo, oltre ad essere del tutto gratuito, ti portava a esercitarti a migliorare la vita, ma non quella della simulazione, quella reale: ci si incontrava tutte le sere in rete per poi uscire a fare le cose.
No, nessuna nostalgia, nessun rimpianto. Solo un dubbio: fra quella del telegiornale e quella di 2nd Life quale vita mi conviene vivere? E, se dovessi ricominciare, da dove potrei ripartire e con chi, perché in quelle attuali, oltre alla certezza della finzione su entrambi i fronti, c'è la sensazione che fra la prima e la seconda di vita a prevalere sia un aumento metafisico della solitudine e dell'oblio della persona.
P.S.: un mio amico mi diceva che ti salvi se vai a farti una bella partita di pallone e io vedo i ragazzi sulla piazza davanti a casa mia...:
- ...ed ecco Kakà, Kakà, KAKA'... Fantastico Kakà... Tiro in porta... un bolide!"
- ...e Buffon paraaaaa.... la parata vincente di Buffon
La prima vita e le altre vite sembrano tutte immaginate, ma comunque tutte senza molta fantasia.
Appunti di uno psicologo delle organizzazioni e psicoterapeuta tra la riconquista della fiducia e la difesa dell'etica.
25 luglio 2007
23 luglio 2007
Vale più un autore o un lavoratore?
La chiusura del sito russo AllOfMP3 ha segnato una vittoria della lobby delle major discografiche sugli intraprendenti birboni che emulavano iTunes. Finché la Russia esporta crudeli mafiosi niente di male; se poi sono immigrati irregolari che non pagano le tasse, ma che fanno concorrenza ai disoccupati italiani altrimenti "strapagati", ben venga. Tanto in tutti questi casi chi paga è sempre Pantalone.
Ma se un preside siberiano osa installare Windows su quattro computer di scarto occidentali gli si fa causa per una cifra corrispondente ad anni del suo lavoro. Se poi si mettono a vendere musica on-line, allora prima si muovono i gestori di carte di credito che bloccano le transazioni e poi si mette il punto come condizione per la partecipazione della nazione intera ai forum economici internazionali.
La vexata questio riguarda i diritti d'autore. Sappiamo come le risorse intellettuali di Internet siano talmente libere che si creano contratti aperti appositi. Lo stesso non vale per i grossi nomi su cui le case discografiche investono perché entrino nel cervello di noi vecchi radiofili e dei nostri figli mitomani e gadgettari. I diritti di autore di chi sta scrivendo adesso, infatti, non interessano a nessuno e a me per primo. Neppure per il traffico dei film si è fatto tanto.
Il ragionamento è più o meno il seguente:
russi: - io compro un disco a casa mia dove, una volta che l'ho comprato, ho il diritto farne quello che voglio, compreso rivenderlo.
discografici: - i prodotti protetti dal copyright di casa nostra li possiamo vendere solo noi anche a casa vostra.
cliente: - visto che il mercato è globalizzato, e in quanto cittadino italiano ne pago tutti gli incomodi, non solo gli imprenditori, ma io per primo ho diritto a comprare dove più mi conviene.
Il ragionamento che ha vinto è, ovviamente, quello dei discografici che sono riusciti a realizzare un embargo a livello di Cuba o di Iraq nei confronti dei Russi.
Che bravi! Soprattutto, che stupefacente dispiego di Potere!!!
Il corollario è che se per la legge del paese dove viene prodotto e commercializzato il pezzo è proibita la rivendita, deve esserlo anche all'estero: ovvero il diritto d'autore (se qualcuno crede ancora che sia questo ad essere in ballo) di casa nostra vale anche nelle transazioni all'estero.
Regionamento per assurdo: ma se è così, lo stesso dovrebbe valere per i prodotti progettati nel nostro paese che dovrebbero essere realizzati qui, invece che all'estero; e ancor di più, se esiste un diritto del lavoro in Italia dovrebbe essere proibito agli imprenditori di fare affari con paesi che non rispettano le stesse condizioni economiche per il lavoro e gli stessi diritti dei lavoratori.
Due pesi due misure? Semplicemente il lavoratore e il cittadino senza grandi poteri non vale molto e sicuramente vale meno di una canzonetta (visto quello che deve costare proteggerla).
Ancor più semplicemente ha ragione Alain Touraine quando, dopo aver notato che nella nostra società solo il 15-20% degli scambi (leggi borsa) ha a che fare con la produzione di beni o servizi, aggiunge che quella della globalizzazione è solo una mistificazione fraudolenta nei confronti della democrazia che maschera il fatto che l'attuale sistema economico e di potere transnazionale è anti-democratico. Afferma infatti che la nostra attuale idea di Globalizzazione non è altro che il concetto che tra l'800 e la metà del '900 veniva chiamato Imperialismo!!!
Nel mondo di oggi la resistenza residua agli uomini del business imperialistico trasversale potrebbe spettare solo più i tecnici, ovvero ai portatori di competenze che avrebbero il potere di chiudere gli scambi con i commerciali imperialistici e con le imprese serve e parassite.
E visto che queste affermazioni non escono da un black-block, ma da una delle più storiche menti liberali del vecchio continente, che cosa potrebbe succedere se finisse in mano a qualcuno più irretito per il quale questo Imperialismo potrebbe essere ridefinito "Potere delle Plutocrazie occidentali governate da una lobby raziale"? E se costui trovasse tutta l'attenzione di una popolazione stanca del fatto che i propri diritti valessero infinitamente meno di un pugno di canzonette?
Tutto torna! Se toccato all'Imperialismo di ritornare sotto mentite spoglie, ora a chi potrà toccare mai?
Ma se un preside siberiano osa installare Windows su quattro computer di scarto occidentali gli si fa causa per una cifra corrispondente ad anni del suo lavoro. Se poi si mettono a vendere musica on-line, allora prima si muovono i gestori di carte di credito che bloccano le transazioni e poi si mette il punto come condizione per la partecipazione della nazione intera ai forum economici internazionali.
La vexata questio riguarda i diritti d'autore. Sappiamo come le risorse intellettuali di Internet siano talmente libere che si creano contratti aperti appositi. Lo stesso non vale per i grossi nomi su cui le case discografiche investono perché entrino nel cervello di noi vecchi radiofili e dei nostri figli mitomani e gadgettari. I diritti di autore di chi sta scrivendo adesso, infatti, non interessano a nessuno e a me per primo. Neppure per il traffico dei film si è fatto tanto.
Il ragionamento è più o meno il seguente:
russi: - io compro un disco a casa mia dove, una volta che l'ho comprato, ho il diritto farne quello che voglio, compreso rivenderlo.
discografici: - i prodotti protetti dal copyright di casa nostra li possiamo vendere solo noi anche a casa vostra.
cliente: - visto che il mercato è globalizzato, e in quanto cittadino italiano ne pago tutti gli incomodi, non solo gli imprenditori, ma io per primo ho diritto a comprare dove più mi conviene.
Il ragionamento che ha vinto è, ovviamente, quello dei discografici che sono riusciti a realizzare un embargo a livello di Cuba o di Iraq nei confronti dei Russi.
Che bravi! Soprattutto, che stupefacente dispiego di Potere!!!
Il corollario è che se per la legge del paese dove viene prodotto e commercializzato il pezzo è proibita la rivendita, deve esserlo anche all'estero: ovvero il diritto d'autore (se qualcuno crede ancora che sia questo ad essere in ballo) di casa nostra vale anche nelle transazioni all'estero.
Regionamento per assurdo: ma se è così, lo stesso dovrebbe valere per i prodotti progettati nel nostro paese che dovrebbero essere realizzati qui, invece che all'estero; e ancor di più, se esiste un diritto del lavoro in Italia dovrebbe essere proibito agli imprenditori di fare affari con paesi che non rispettano le stesse condizioni economiche per il lavoro e gli stessi diritti dei lavoratori.
Due pesi due misure? Semplicemente il lavoratore e il cittadino senza grandi poteri non vale molto e sicuramente vale meno di una canzonetta (visto quello che deve costare proteggerla).
Ancor più semplicemente ha ragione Alain Touraine quando, dopo aver notato che nella nostra società solo il 15-20% degli scambi (leggi borsa) ha a che fare con la produzione di beni o servizi, aggiunge che quella della globalizzazione è solo una mistificazione fraudolenta nei confronti della democrazia che maschera il fatto che l'attuale sistema economico e di potere transnazionale è anti-democratico. Afferma infatti che la nostra attuale idea di Globalizzazione non è altro che il concetto che tra l'800 e la metà del '900 veniva chiamato Imperialismo!!!
Nel mondo di oggi la resistenza residua agli uomini del business imperialistico trasversale potrebbe spettare solo più i tecnici, ovvero ai portatori di competenze che avrebbero il potere di chiudere gli scambi con i commerciali imperialistici e con le imprese serve e parassite.
E visto che queste affermazioni non escono da un black-block, ma da una delle più storiche menti liberali del vecchio continente, che cosa potrebbe succedere se finisse in mano a qualcuno più irretito per il quale questo Imperialismo potrebbe essere ridefinito "Potere delle Plutocrazie occidentali governate da una lobby raziale"? E se costui trovasse tutta l'attenzione di una popolazione stanca del fatto che i propri diritti valessero infinitamente meno di un pugno di canzonette?
Tutto torna! Se toccato all'Imperialismo di ritornare sotto mentite spoglie, ora a chi potrà toccare mai?
Viaggi senza ritorno
Ci sono alcune azioni dalle quali è impossibile tornare indietro. Mentre tutti sanno che uccidere qualcuno è qualcosa di definitivo, non sempre si valutano attantamente gli effetti dei tradimenti.
Ai primi tipi tradimenti si può sperare in qualche aggiustamento, laddove gli ultimi sono del tutto senza speranza.
- Pubblicizzare un sito e poi dimenticarsi di aggiornarlo fa si che la gente non torni mai più a visitarlo, neppure se farai una campagna pubblicitaria impegnativa.
- Fare delle offerte ai consumatori dietro alle quali si cela un trucco o una smentita brucia la marca per anni e anni e oltre ancora.
- Tradire la fiducia dei lavoratori e dei collaboratori fa fuggire i migliori e instaura con gli altri un clima infernale che fa fuggire anche te.
- Stravolgere o distruggere la cultura di un'impresa o di un'organizzazione azzera il valore dell'impresa.
- Tradire una promessa importante stipulata con tuo figlio.
Ai primi tipi tradimenti si può sperare in qualche aggiustamento, laddove gli ultimi sono del tutto senza speranza.
20 luglio 2007
L'illusione di alternativa
Probabilmente la maggior parte di chi mi sta leggendo non conosce Milton Erickson. Si tratta di un grande psicoterapeuta che ha rivoluzionato l'idea di terapia, di comunicazione e di quell'ipnosi che riteneva essere il suo strumento di lavoro. Diversamente dall'Ipnotizzatore che i più immaginano come colui che ti fa cadere in trance profonda suggerendo che sei stanco, facendoti osservare un pendolo e dicendoti "a me gli occhi", lui usava comportamenti divergenti che defocalizzassero l'attenzione.
Uno di questi metodi era quello della cosidetta Illusione di alternative. Erickson poteva, ammaliantemente suggerire al suo cliente che non era obbligato a cadere in trance subito o dieci minuti dopo, ma avrebbe dovuto farlo lasciando l'attenzione e il ricordo sul tavolino della stanza.
Concentrando la propria attenzione sul tavolino della stanza (domandosi se sarebbe stato disposto a farlo), il soggetto non si rendeva conto che la possibilità di scegliere era un'illusione e che quindi lui stava implicitamente accettando di entrare in trance.
Questa tecnica da sempre usata da media e politici, è divenuta nell'ultimo decenni vieppiù inflazionata.
Viviamo in un mondo in cui cercano di convincerci che esistano dei poli sia a livello di partiti politici che di attori produttivi (impresa vs. sindacato) e così via fino alle squadre di calcio.
Il punto è che l'antagonismo fra squadre della stessa città interessa pochissimo i responsabili sportivi, perché la questione che veramente preoccupa è la perdita di attenzione verso il calcio che proprio l'antagonismo esorcizza. Nello stesso modo finiamo per lasciarci convincere che ci siano delle reali divergenze politiche (al di là delle tasche nelle quali ogni schieramento va poi a far riversare il denaro) fra i due blocchi, ma in realtà questo serve a fare pensare al cittadino che egli abbia ancora delle possibilità di scelta e che esista ancora una rappresentanza politica dei suoi interessi (nonostante si possa riscontrare che ogni governo abbia iniziato il lavoro che poi l'altro ha portato avanti). Le alternative più interessanti sarebbero piuttosto all'interno di ogni governo e a guardare bene ci sarebbero ministri del governo attuale che starebbero "tecnicamente" meglio in quello di segno diverso (e viceversa), se solo le appartenenze - e quindi gli interessi di destinazione - non glielo impedissero. Un pensiero di questo tipo verrebbe tacciato di qualunquismo, solo perché rompere lo schema del gioco, svelare gli impliciti significa impedire il suo perpetuarsi in assenza di alternative quando invece l'alternativa non ci è comunque data, semplicemente non esiste se non in una rumorosa apparenza che riesce a fare divergere l'attenzione dagli elementi di sostanza a quelli scenici (un Vespa per tutte le stagioni è la migliore dimostrazione dell'esistenza di un "complotto di conformismo" in atto da decenni).
Anche nei rapporti fra azienda e lavoratori mediati dai responsabili aziendali da un lato e da quelli sindacali dall'altro c'è un'illusione di alternativa. il significato dell'idea di concertazione aziendale oggi consiste essenzialmente nella conservazione della specie degli attori tradizionali dell'azienda in un contesto non-tradizionale che potrebbe funzionare anche senza di loro. Quindi il conflitto serve a fare credere che una dialettica obsoleta sia ancora necessaria e che esista ancora, non tanto una spartizione degli interessi come nello scenario politico, quanto un contraddittorio, un'alternativa di soluzioni.
La soluzione è sempre una: bisogna che qualcuno paghi e che chi paga sia qualcuno di diverso da coloro che sostengono gli attori con "competenza di interessi", e cioè la massa che comunque - come ormai dimostra l'assenteismo giunto a noi dagli Stati Uniti - incide in maniera del tutto marginale sui risultati definitivi (non è un caso che gli esiti elettorali dei paesi del blocco occidentale siano una media più o meno statistica, quasi a dire "mettetevi un po' d'accordo fra di voi, tanto vi assomigliate").
I macro-schieramenti non fanno più fede: quello che fa la differenza sono i progetti di aggregazione basati su interessi particolari con obiettivi e prodotti delimitati e concreti. Pensando ad esempio ai Sindacati, mi viene da osservare che sempre più le emanazioni dell'apparato fondate sulla gestione economica e sulla prestazione di servizi e di sostegno civile costituiranno gruppi di influenza sia economica che politica gestiti da una dirigenza tecnica che andrà a sostituirsi a quella squisitamente istituzionale politica la quale a sua volta diverrà piuttosto una derivata di questi gruppi di influenza in grado di gestire l'economia delle imprese (come soci azionisti, ad esempio) e la politica sindacale e parlamentare, essendo in grado di negoziare potere e risorse nazionali ed internazionali con le forti concentrazioni economiche.
Una trasformazione che dev'essere il più rapida possibile perché l'Italia non affondi soffocata da una dilagante povertà ed un'incapacità dirigenziale e di potere che la rende la Cenerentola fra le nazioni industriali. Un cambiamento che parte dal disincanto da chi cerca di farci credere alle favole e agli spiriti, come la sopravvivenza delle ideologie politiche, delle classi, delle teorie economiche, delle sociologie generali, degli schieramenti…
illusioni di alternative in un mondo sempre più omogeneizzato fra Impero e Masse, come suggerisce Tony Negri, rispetto alle quali solo le scomposizioni progettuali e funzionali e le aggregazioni in molteplicità di lobby di influenza a razionalità limitata (H. Simon) possono rappresentare delle rotture dello schema globalizzante o massificante.
Organizzazioni temporalizzate di soggetti desideranti su risultati definiti e non-continuativi.
Uno di questi metodi era quello della cosidetta Illusione di alternative. Erickson poteva, ammaliantemente suggerire al suo cliente che non era obbligato a cadere in trance subito o dieci minuti dopo, ma avrebbe dovuto farlo lasciando l'attenzione e il ricordo sul tavolino della stanza.
Concentrando la propria attenzione sul tavolino della stanza (domandosi se sarebbe stato disposto a farlo), il soggetto non si rendeva conto che la possibilità di scegliere era un'illusione e che quindi lui stava implicitamente accettando di entrare in trance.
Questa tecnica da sempre usata da media e politici, è divenuta nell'ultimo decenni vieppiù inflazionata.
Viviamo in un mondo in cui cercano di convincerci che esistano dei poli sia a livello di partiti politici che di attori produttivi (impresa vs. sindacato) e così via fino alle squadre di calcio.
Il punto è che l'antagonismo fra squadre della stessa città interessa pochissimo i responsabili sportivi, perché la questione che veramente preoccupa è la perdita di attenzione verso il calcio che proprio l'antagonismo esorcizza. Nello stesso modo finiamo per lasciarci convincere che ci siano delle reali divergenze politiche (al di là delle tasche nelle quali ogni schieramento va poi a far riversare il denaro) fra i due blocchi, ma in realtà questo serve a fare pensare al cittadino che egli abbia ancora delle possibilità di scelta e che esista ancora una rappresentanza politica dei suoi interessi (nonostante si possa riscontrare che ogni governo abbia iniziato il lavoro che poi l'altro ha portato avanti). Le alternative più interessanti sarebbero piuttosto all'interno di ogni governo e a guardare bene ci sarebbero ministri del governo attuale che starebbero "tecnicamente" meglio in quello di segno diverso (e viceversa), se solo le appartenenze - e quindi gli interessi di destinazione - non glielo impedissero. Un pensiero di questo tipo verrebbe tacciato di qualunquismo, solo perché rompere lo schema del gioco, svelare gli impliciti significa impedire il suo perpetuarsi in assenza di alternative quando invece l'alternativa non ci è comunque data, semplicemente non esiste se non in una rumorosa apparenza che riesce a fare divergere l'attenzione dagli elementi di sostanza a quelli scenici (un Vespa per tutte le stagioni è la migliore dimostrazione dell'esistenza di un "complotto di conformismo" in atto da decenni).
Anche nei rapporti fra azienda e lavoratori mediati dai responsabili aziendali da un lato e da quelli sindacali dall'altro c'è un'illusione di alternativa. il significato dell'idea di concertazione aziendale oggi consiste essenzialmente nella conservazione della specie degli attori tradizionali dell'azienda in un contesto non-tradizionale che potrebbe funzionare anche senza di loro. Quindi il conflitto serve a fare credere che una dialettica obsoleta sia ancora necessaria e che esista ancora, non tanto una spartizione degli interessi come nello scenario politico, quanto un contraddittorio, un'alternativa di soluzioni.
La soluzione è sempre una: bisogna che qualcuno paghi e che chi paga sia qualcuno di diverso da coloro che sostengono gli attori con "competenza di interessi", e cioè la massa che comunque - come ormai dimostra l'assenteismo giunto a noi dagli Stati Uniti - incide in maniera del tutto marginale sui risultati definitivi (non è un caso che gli esiti elettorali dei paesi del blocco occidentale siano una media più o meno statistica, quasi a dire "mettetevi un po' d'accordo fra di voi, tanto vi assomigliate").
I macro-schieramenti non fanno più fede: quello che fa la differenza sono i progetti di aggregazione basati su interessi particolari con obiettivi e prodotti delimitati e concreti. Pensando ad esempio ai Sindacati, mi viene da osservare che sempre più le emanazioni dell'apparato fondate sulla gestione economica e sulla prestazione di servizi e di sostegno civile costituiranno gruppi di influenza sia economica che politica gestiti da una dirigenza tecnica che andrà a sostituirsi a quella squisitamente istituzionale politica la quale a sua volta diverrà piuttosto una derivata di questi gruppi di influenza in grado di gestire l'economia delle imprese (come soci azionisti, ad esempio) e la politica sindacale e parlamentare, essendo in grado di negoziare potere e risorse nazionali ed internazionali con le forti concentrazioni economiche.
Una trasformazione che dev'essere il più rapida possibile perché l'Italia non affondi soffocata da una dilagante povertà ed un'incapacità dirigenziale e di potere che la rende la Cenerentola fra le nazioni industriali. Un cambiamento che parte dal disincanto da chi cerca di farci credere alle favole e agli spiriti, come la sopravvivenza delle ideologie politiche, delle classi, delle teorie economiche, delle sociologie generali, degli schieramenti…
illusioni di alternative in un mondo sempre più omogeneizzato fra Impero e Masse, come suggerisce Tony Negri, rispetto alle quali solo le scomposizioni progettuali e funzionali e le aggregazioni in molteplicità di lobby di influenza a razionalità limitata (H. Simon) possono rappresentare delle rotture dello schema globalizzante o massificante.
Organizzazioni temporalizzate di soggetti desideranti su risultati definiti e non-continuativi.
Open Sourcing
Partendo dall'informatica…
È degli ultimi giorni la notizia che i nostri rappresentanti politici sono stati invitati ad utilizzare software libero, come una delle tante distribuzioni Linux, nei loro computer per contribuire a notevoli risparmi. Una delle principali attività di Bill Gates & c. consiste nell'arginare questo fenomeno che rappresenta il maggiore rischio di perdite di mercato per Microsoft, come per tutti i principali giganti del software. È curioso notare infatti la differenza di prezzo che esiste fra programmi liberi, di pubblico dominio, commerciali e delle grandi compagnie. Per un programma di grafica si può passare da 0 a 1500 euro. Quello che cambia è soprattutto il confezionamento del prodotto, anni di consolidamento sul mercato e l'espandibilità. In definitiva, ci sono utilizzatori che nello specifico delle loro attività necessitano di funzioni che vengono garantite solo da certi programmi commerciali, mentre per la maggior parte degli altri questa necessità non ci sarebbe affatto.
Se andiamo a ben vedere, la maggior parte dei possessori di un notebook lo usa soprattutto per aprire un browser su Internet, prendere la posta elettronica e scrivere. Tutte funzioni fornite dai programmi inclusi nei principali sistemi operativi. Nessuno di loro ha bisogno di Office per i propri scritti: WordPad o TextEdit per far questo bastano e avanzano; tuttavia senza Word sembra che non possano vivere. In alcuni casi usa fogli di calcolo o si guarda ed elabora minimamente foto e musica delle loro fotocamere digitali o iPod. Anche per fare questo ci sono programmi gratuiti o al prezzo delle patate.
Quello che mi preme sottolineare è che non è solo una questione di soldi. È inutile nascondersi dietro a un dito: per quanto ridimensionato rispetto al passato, il fenomeno dei programmi piratati passati da un amico all'altro è estremamente diffus per l'uso domestico o e contribuisce ad amplificare la necessità di adozione nelle aziende degli stessi pacchetti divenuti una consuetudine d'uso. "Se posso avere il meglio senza pagarlo, perché non farlo?", sostiene la maggior parte di noi.
Io dico che è una questione di igiene lavorativa e mentale. Innanzitutto, ci sono programmi che fanno le stesse cose in molti modi diversi, ognuno dei quali è più adatto ad un tipo particolare di utilizzatore: io, ad esempio ora sto scrivendo con un programma di integrazione di funzioni, dai testi alle ricerche, alle immagini, che mi evita di aprire documenti e programmi inutili e mi rende il lavoro immediato, integrato, semplice ed efficace, ma quanti di voi conoscono l'esistenza di questo genere di applicazioni e quanti ne hanno fatto uso? e secondo voi, perché non vi è stato dato di conoscerli?
L'altra ragione è che i programmi complessi sono architettati in maniera tale che l'utilizzatore non professionale ha maggiori difficoltà a fare quello che gli serve. L'errore sta nel pensare che più cose il mio programma può fare più ne potrò fare io, ma non è così. Photoshop consente ai - tutto sommato pochi - professionisti che hanno necessità delle sue funzioni avanzate e che lo hanno studiato per mesi e ci hanno lavorato per anni di ottenere risultati stupefacenti. Se lo uso io per scaricare le foto e ritoccarle, aggiungendoci due filtri in croce, finirà che sprecherò un'infinità di tempo a fare pasticci e male, disperdendomi in voci e funzioni per me del tutto esoteriche. Con iPhoto contenuto in una suite di altri 5 utili programmi al prezzo di meno di 80 euro, nel mio Mac scarico, archivio, creo album, li pubblico in confezioni raffinate, o sul web, o in presentazioni, dopo aver fatto tutti i ritocchi necessari con pochi passaggi in men che non si dica.
L'igiene nel computer si potrebbe tradurre con una parafrasi: "quello che non nutre strozza"!
… per parlare di azienda …
Bisogna dire che quando parlo di tecnologie tendo a dilungarmi e a perdere di vista l'obiettivo del mio discorso. Ebbene, per farla breve, ci sono dei programmatori che un giorno si sono stufati di non potere modificare il software che hanno comprato. A ragione sostenevano: "Visto che l'ho comprato, ora è mio e devo poterlo modificare come farei con un'auto o un computer", ma i contratti software con condizioni legalmente da capestro non lo consentono. Costoro hanno quindi fondato un movimento per il software aperto, ovvero dove il codice sorgente è accessibile e modificabile a condizione di rispettare lo spirito di chi l'ha concepito aderendo ad un contratto (in sigla GNU) di "ri-diffondibilità" delle proprie modifiche. Questo modo di pensare i programmi è definito Open Source (dall'idea dei codici sorgente aperti) e sono stati in molti ad aderirvi, dando vita alle più interessanti forme di collaborazione intellettuale e professionale della storia. Linux, OpenOffice.org, Gimp e migliaia di altri programmi sono nati all'insegna dell'Open Source e la maggir parte di essi sono gratuiti.
Oltre i programmi, l'idea di apertura è passata ai contenuti, all'Open Content e alle Common Licences: quello che scrivo lo puoi pubblicare anche tu a patto che citi correttamente l'autore e che a tua volta renda aperto il prodotto che generi con i miei contenuti.
In molti si sono domandati perché tanta gente dovrebbe faticare a lungo per regalare agli altri il frutto del proprio lavoro. La risposta sta nel saper guardare alle cose dalla giusta prospettiva. Quello che è importante comprendere è che nell'Open Source sta un'importante rivoluzione copernicana del business foriera di non pochi suggerimenti in questi tempi di crisi dei modelli di mercato. Qui il prodotto è il pre-testo, ovvero la pre-condizione per lavorare e non l'oggetto da vendere. Quello che pagherai sarà la persona che viene da te per insegnarti, per farti crescere, per customizzare lo sviluppo delle tue necessità. Questo vale per il software, come per i contenuti e le conoscenze.
È la de-oggettivizzazione del prodotto e del commercio.
È l'identificazione della relazione come prestazione da retribuire. È la persona per come si pone con te, per il servizio che ti offre per la capacità che dimostra nel comprenderti e nel lavorare al tuo fianco sulle tue esigenze, collaborando insieme a meritare un corrispettivo economico e un riconoscimento professionale.
È giunta l'epoca dell'Open Sourcing anche nella consulenza aziendale e nei servizi a valore aggiunto!
Questo significa che il coach o il formatore che arriva con il suo pacchetto di slides e il copione consolidato e utilizzato quotidianamente con tutti i clienti vale poco più che niente. Possiamo pagare le sue performances istrioniche, ma non i suoi contenuti. Vuol dire che la piattaforma per la gestione aziendale che omologa la tua organizzazione a cento, mille altre, non vale niente, mentre vale il consulente che comprende le tue esigenze e il tuo modello organizzativo e assieme a te o ai tuoi esperti modifica la piattaforma perché si adatti a te e fa crescere i tuoi modelli perché possano prendere in considerazione delle alternative. Vuol dire che il guru che ha creato una propria teoria sulle strategie economiche o di marketing non dovrebbe chiedere una lira per andare in giro a ripetere a tutti la stessa manfrina su quello che ha già scritto nel libro, ma dovrebbe fare pagare - anche a peso d'oro, volendo - la relazione che instaura con il cliente per comprendere i suoi problemi e trovare la risposta più adeguata alla sua situazione.
La questione non riguarda però solo l'offerta, ma prima ancora la domanda.
Non solo bisogna comprendere che la suite d'ufficio non è quello che fa al caso tuo, ma devi anche modificare il tuo modo di lavorare per sfruttare tutte le potenzialità del programma innovativo che hai scelto di adottare.
Traslato in azienda vuol dire che per monti manager è molto più facile pagare il pacchetto finito del gestionale o del consulente che ripete la stessa lezione a tutti uguale, piuttosto che affiancare il consulente e creare un laboratorio di sviluppo personalizzato dedicandoci l'impegno, l'attenzione, l'apprendimento e tutte le risorse che servono per personalizzare quelle competenze nella propria realtà. Non dimentichiamo che una conoscenza o degli strumenti adottati da più concorrenti potranno aiutare a raggiungerli, ma mai a superarli, perché solo le soluzioni originali possono fare sperare in reali profitti e vantaggi competitivi.
Stiamo andando verso un periodo in cui sarà sempre meno l'oggetto a contare, ma neppure il servizio generalizzato, ma la relazione autentica ed empatica che si crea fra persone che si mettono in gioco. Quello che fa la differenza solo le persone e la loro relazione, non le teorie e le tecniche. Non basta usare slogan di successo come gli istrioni del coaching a stelle e strisce. Le promesse di miracoli e la facile sicumera sono in genere indici di prodotti standardizzati che nella migliore delle ipotesi comporteranno un grosso lavoro di adattamento, mentre una certa perplessità, un periodo di studio e ripensamenti, una certa titubanza sono tutti segnali che qualcuno sta cercando di capire proprio te, solo te e sta studiando il modo per darti la soluzione che più fa al caso tuo e solo al tuo, lavorando assieme a te, facendo conto sulle risorse che hai e non su quelle ideali. Questo è il servizio o il prodotto open sourcing a valore aggiunto.
… e finire con i portali.
Per chiudere faccio un esempio concreto. Gran parte delle organizzazioni oggi sembrano avere bisogno di portali per la comunicazione esterna o interna.
Nella comunicazione esterna, ciò che più conta sono i contenuti che si sanno trasferire e i servizi che si riesce a gestire. Pensate a quante società invitano a rivolgersi al sito o a comunicare tramite posta elettronica. Quanti di noi mandano la mail e quanti invece fanno in modo di ottenere il numero di telefono per parlare con un operatore? E questo non certo perché non piaccia la posta elettronica, ma perché per esperienza si sa che se scrivi, se ti va bene otterrai una risposta quando ormai ti sarai anche dimenticato della domanda tanto poco ti serviva più, ma nella maggior parte dei casi non riceverai nulla o peggio ancora una risposta sconclusionata che comporta un tuo ulteriore messaggio che richiederà tempi enormi e poche speranze di soluzione. Colpisce l'investimento che tutte queste società hanno rivolto invece sulle tecnologie, sulla grafica, su costosissimi portali, su funzioni assolutamente vuote e sconosciute persino all'azienda…
Molto meglio avrebbero fatto a servirsi di pagine semplici, senza fare vedere quello che non sono in grado di offrire decentemente e che si possa aprire da tutti i browser.
Ricordiamoci che la fortuna di Yahoo, prima, e di Google poi, dipende soprattutto dalla semplicità, da un lato, e dalla capacità di fare una sola cosa, ma di farla al meglio: altro che portali faraonici ed elefantiaci!
Un argomento a me ancor più caro (vedi Portali e Pathledge) è quello della comunicazione interna (più nota come Intranet). È una vergogna vedere quanti soldi sono stati spesi per comprare portali per favorire l'informazione, la relazione, l'apprendimento, la condivisione delle conoscenze e l'accesso a risorse comuni all'interno della stessa impresa o nelle reti condivise, nel momento in cui non si voleva legittimare le persone a conoscere e a comunicare, né si voleva spendere per favorire la crescita delle risorse. Gran parte delle Intranet che ho conosciuto hanno sortito il solo effetto di rendere ancora più evidente l'omertosità della direzione e la sostanziale indifferenza verso le risorse interne. Infatti, il pensiero diffuso è che i soldi che vengono spesi per il cliente esterno potrebbero ritornare come guadagni, quelli spesi per il dipendente o il collaboratore equivalgono ad un indebito aumento in busta paga: chi lavora perché è costretto può benissimo farlo in condizioni di risparmio e male.
Ciò nonostante il portale costoso viene spesso acquistato, mentre a quello si potrebbe veramente rinunciare, prova ne sia l'esperienza avuta con risorse all'osso nel momento in cui si è lavorato per e con i destinatari. Il segreto della riuscita in quei casi è stato il non fare il passo più lungo della gamba, offendo solo quello che si era in grado di mantenere e aggiungendo, una cosa alla volta, solo quello che veniva richiesto o che l'evoluzione del servizio suggeriva, sempre e solo se si era sicuri di saperlo garantire.
In molte organizzazioni sono stati usati semplici blog o pagine al confine del rudimentale (un fenomeno che sta dilagando su Internet, quello dei siti sobri) e si è riscontrata una soddisfazione dei destinatari superiore a quella ottenuta in tanti lustri portali vagamente clonati e vuoti.
Ma dietro ad ogni successo c'è comunque sempre e solo un segreto: quello che conta non è il pacchetto, ma la relazione che esso consente, la capacità di chi offre e di chi chiede di realizzare un rapporto umano e professionale costruttivo, divertito e felice.
È degli ultimi giorni la notizia che i nostri rappresentanti politici sono stati invitati ad utilizzare software libero, come una delle tante distribuzioni Linux, nei loro computer per contribuire a notevoli risparmi. Una delle principali attività di Bill Gates & c. consiste nell'arginare questo fenomeno che rappresenta il maggiore rischio di perdite di mercato per Microsoft, come per tutti i principali giganti del software. È curioso notare infatti la differenza di prezzo che esiste fra programmi liberi, di pubblico dominio, commerciali e delle grandi compagnie. Per un programma di grafica si può passare da 0 a 1500 euro. Quello che cambia è soprattutto il confezionamento del prodotto, anni di consolidamento sul mercato e l'espandibilità. In definitiva, ci sono utilizzatori che nello specifico delle loro attività necessitano di funzioni che vengono garantite solo da certi programmi commerciali, mentre per la maggior parte degli altri questa necessità non ci sarebbe affatto.
Se andiamo a ben vedere, la maggior parte dei possessori di un notebook lo usa soprattutto per aprire un browser su Internet, prendere la posta elettronica e scrivere. Tutte funzioni fornite dai programmi inclusi nei principali sistemi operativi. Nessuno di loro ha bisogno di Office per i propri scritti: WordPad o TextEdit per far questo bastano e avanzano; tuttavia senza Word sembra che non possano vivere. In alcuni casi usa fogli di calcolo o si guarda ed elabora minimamente foto e musica delle loro fotocamere digitali o iPod. Anche per fare questo ci sono programmi gratuiti o al prezzo delle patate.
Quello che mi preme sottolineare è che non è solo una questione di soldi. È inutile nascondersi dietro a un dito: per quanto ridimensionato rispetto al passato, il fenomeno dei programmi piratati passati da un amico all'altro è estremamente diffus per l'uso domestico o e contribuisce ad amplificare la necessità di adozione nelle aziende degli stessi pacchetti divenuti una consuetudine d'uso. "Se posso avere il meglio senza pagarlo, perché non farlo?", sostiene la maggior parte di noi.
Io dico che è una questione di igiene lavorativa e mentale. Innanzitutto, ci sono programmi che fanno le stesse cose in molti modi diversi, ognuno dei quali è più adatto ad un tipo particolare di utilizzatore: io, ad esempio ora sto scrivendo con un programma di integrazione di funzioni, dai testi alle ricerche, alle immagini, che mi evita di aprire documenti e programmi inutili e mi rende il lavoro immediato, integrato, semplice ed efficace, ma quanti di voi conoscono l'esistenza di questo genere di applicazioni e quanti ne hanno fatto uso? e secondo voi, perché non vi è stato dato di conoscerli?
L'altra ragione è che i programmi complessi sono architettati in maniera tale che l'utilizzatore non professionale ha maggiori difficoltà a fare quello che gli serve. L'errore sta nel pensare che più cose il mio programma può fare più ne potrò fare io, ma non è così. Photoshop consente ai - tutto sommato pochi - professionisti che hanno necessità delle sue funzioni avanzate e che lo hanno studiato per mesi e ci hanno lavorato per anni di ottenere risultati stupefacenti. Se lo uso io per scaricare le foto e ritoccarle, aggiungendoci due filtri in croce, finirà che sprecherò un'infinità di tempo a fare pasticci e male, disperdendomi in voci e funzioni per me del tutto esoteriche. Con iPhoto contenuto in una suite di altri 5 utili programmi al prezzo di meno di 80 euro, nel mio Mac scarico, archivio, creo album, li pubblico in confezioni raffinate, o sul web, o in presentazioni, dopo aver fatto tutti i ritocchi necessari con pochi passaggi in men che non si dica.
L'igiene nel computer si potrebbe tradurre con una parafrasi: "quello che non nutre strozza"!
… per parlare di azienda …
Bisogna dire che quando parlo di tecnologie tendo a dilungarmi e a perdere di vista l'obiettivo del mio discorso. Ebbene, per farla breve, ci sono dei programmatori che un giorno si sono stufati di non potere modificare il software che hanno comprato. A ragione sostenevano: "Visto che l'ho comprato, ora è mio e devo poterlo modificare come farei con un'auto o un computer", ma i contratti software con condizioni legalmente da capestro non lo consentono. Costoro hanno quindi fondato un movimento per il software aperto, ovvero dove il codice sorgente è accessibile e modificabile a condizione di rispettare lo spirito di chi l'ha concepito aderendo ad un contratto (in sigla GNU) di "ri-diffondibilità" delle proprie modifiche. Questo modo di pensare i programmi è definito Open Source (dall'idea dei codici sorgente aperti) e sono stati in molti ad aderirvi, dando vita alle più interessanti forme di collaborazione intellettuale e professionale della storia. Linux, OpenOffice.org, Gimp e migliaia di altri programmi sono nati all'insegna dell'Open Source e la maggir parte di essi sono gratuiti.
Oltre i programmi, l'idea di apertura è passata ai contenuti, all'Open Content e alle Common Licences: quello che scrivo lo puoi pubblicare anche tu a patto che citi correttamente l'autore e che a tua volta renda aperto il prodotto che generi con i miei contenuti.
In molti si sono domandati perché tanta gente dovrebbe faticare a lungo per regalare agli altri il frutto del proprio lavoro. La risposta sta nel saper guardare alle cose dalla giusta prospettiva. Quello che è importante comprendere è che nell'Open Source sta un'importante rivoluzione copernicana del business foriera di non pochi suggerimenti in questi tempi di crisi dei modelli di mercato. Qui il prodotto è il pre-testo, ovvero la pre-condizione per lavorare e non l'oggetto da vendere. Quello che pagherai sarà la persona che viene da te per insegnarti, per farti crescere, per customizzare lo sviluppo delle tue necessità. Questo vale per il software, come per i contenuti e le conoscenze.
È la de-oggettivizzazione del prodotto e del commercio.
È l'identificazione della relazione come prestazione da retribuire. È la persona per come si pone con te, per il servizio che ti offre per la capacità che dimostra nel comprenderti e nel lavorare al tuo fianco sulle tue esigenze, collaborando insieme a meritare un corrispettivo economico e un riconoscimento professionale.
È giunta l'epoca dell'Open Sourcing anche nella consulenza aziendale e nei servizi a valore aggiunto!
Questo significa che il coach o il formatore che arriva con il suo pacchetto di slides e il copione consolidato e utilizzato quotidianamente con tutti i clienti vale poco più che niente. Possiamo pagare le sue performances istrioniche, ma non i suoi contenuti. Vuol dire che la piattaforma per la gestione aziendale che omologa la tua organizzazione a cento, mille altre, non vale niente, mentre vale il consulente che comprende le tue esigenze e il tuo modello organizzativo e assieme a te o ai tuoi esperti modifica la piattaforma perché si adatti a te e fa crescere i tuoi modelli perché possano prendere in considerazione delle alternative. Vuol dire che il guru che ha creato una propria teoria sulle strategie economiche o di marketing non dovrebbe chiedere una lira per andare in giro a ripetere a tutti la stessa manfrina su quello che ha già scritto nel libro, ma dovrebbe fare pagare - anche a peso d'oro, volendo - la relazione che instaura con il cliente per comprendere i suoi problemi e trovare la risposta più adeguata alla sua situazione.
La questione non riguarda però solo l'offerta, ma prima ancora la domanda.
Non solo bisogna comprendere che la suite d'ufficio non è quello che fa al caso tuo, ma devi anche modificare il tuo modo di lavorare per sfruttare tutte le potenzialità del programma innovativo che hai scelto di adottare.
Traslato in azienda vuol dire che per monti manager è molto più facile pagare il pacchetto finito del gestionale o del consulente che ripete la stessa lezione a tutti uguale, piuttosto che affiancare il consulente e creare un laboratorio di sviluppo personalizzato dedicandoci l'impegno, l'attenzione, l'apprendimento e tutte le risorse che servono per personalizzare quelle competenze nella propria realtà. Non dimentichiamo che una conoscenza o degli strumenti adottati da più concorrenti potranno aiutare a raggiungerli, ma mai a superarli, perché solo le soluzioni originali possono fare sperare in reali profitti e vantaggi competitivi.
Stiamo andando verso un periodo in cui sarà sempre meno l'oggetto a contare, ma neppure il servizio generalizzato, ma la relazione autentica ed empatica che si crea fra persone che si mettono in gioco. Quello che fa la differenza solo le persone e la loro relazione, non le teorie e le tecniche. Non basta usare slogan di successo come gli istrioni del coaching a stelle e strisce. Le promesse di miracoli e la facile sicumera sono in genere indici di prodotti standardizzati che nella migliore delle ipotesi comporteranno un grosso lavoro di adattamento, mentre una certa perplessità, un periodo di studio e ripensamenti, una certa titubanza sono tutti segnali che qualcuno sta cercando di capire proprio te, solo te e sta studiando il modo per darti la soluzione che più fa al caso tuo e solo al tuo, lavorando assieme a te, facendo conto sulle risorse che hai e non su quelle ideali. Questo è il servizio o il prodotto open sourcing a valore aggiunto.
… e finire con i portali.
Per chiudere faccio un esempio concreto. Gran parte delle organizzazioni oggi sembrano avere bisogno di portali per la comunicazione esterna o interna.
Nella comunicazione esterna, ciò che più conta sono i contenuti che si sanno trasferire e i servizi che si riesce a gestire. Pensate a quante società invitano a rivolgersi al sito o a comunicare tramite posta elettronica. Quanti di noi mandano la mail e quanti invece fanno in modo di ottenere il numero di telefono per parlare con un operatore? E questo non certo perché non piaccia la posta elettronica, ma perché per esperienza si sa che se scrivi, se ti va bene otterrai una risposta quando ormai ti sarai anche dimenticato della domanda tanto poco ti serviva più, ma nella maggior parte dei casi non riceverai nulla o peggio ancora una risposta sconclusionata che comporta un tuo ulteriore messaggio che richiederà tempi enormi e poche speranze di soluzione. Colpisce l'investimento che tutte queste società hanno rivolto invece sulle tecnologie, sulla grafica, su costosissimi portali, su funzioni assolutamente vuote e sconosciute persino all'azienda…
Molto meglio avrebbero fatto a servirsi di pagine semplici, senza fare vedere quello che non sono in grado di offrire decentemente e che si possa aprire da tutti i browser.
Ricordiamoci che la fortuna di Yahoo, prima, e di Google poi, dipende soprattutto dalla semplicità, da un lato, e dalla capacità di fare una sola cosa, ma di farla al meglio: altro che portali faraonici ed elefantiaci!
Un argomento a me ancor più caro (vedi Portali e Pathledge) è quello della comunicazione interna (più nota come Intranet). È una vergogna vedere quanti soldi sono stati spesi per comprare portali per favorire l'informazione, la relazione, l'apprendimento, la condivisione delle conoscenze e l'accesso a risorse comuni all'interno della stessa impresa o nelle reti condivise, nel momento in cui non si voleva legittimare le persone a conoscere e a comunicare, né si voleva spendere per favorire la crescita delle risorse. Gran parte delle Intranet che ho conosciuto hanno sortito il solo effetto di rendere ancora più evidente l'omertosità della direzione e la sostanziale indifferenza verso le risorse interne. Infatti, il pensiero diffuso è che i soldi che vengono spesi per il cliente esterno potrebbero ritornare come guadagni, quelli spesi per il dipendente o il collaboratore equivalgono ad un indebito aumento in busta paga: chi lavora perché è costretto può benissimo farlo in condizioni di risparmio e male.
Ciò nonostante il portale costoso viene spesso acquistato, mentre a quello si potrebbe veramente rinunciare, prova ne sia l'esperienza avuta con risorse all'osso nel momento in cui si è lavorato per e con i destinatari. Il segreto della riuscita in quei casi è stato il non fare il passo più lungo della gamba, offendo solo quello che si era in grado di mantenere e aggiungendo, una cosa alla volta, solo quello che veniva richiesto o che l'evoluzione del servizio suggeriva, sempre e solo se si era sicuri di saperlo garantire.
In molte organizzazioni sono stati usati semplici blog o pagine al confine del rudimentale (un fenomeno che sta dilagando su Internet, quello dei siti sobri) e si è riscontrata una soddisfazione dei destinatari superiore a quella ottenuta in tanti lustri portali vagamente clonati e vuoti.
Ma dietro ad ogni successo c'è comunque sempre e solo un segreto: quello che conta non è il pacchetto, ma la relazione che esso consente, la capacità di chi offre e di chi chiede di realizzare un rapporto umano e professionale costruttivo, divertito e felice.
18 luglio 2007
Le dipendenze
Piccola parentesi sui costumi perché sono di quelli particolarmente diffusi fra professional, manager, ecc..
Se uno spinello forse fumato da un autista che il giorno dopo è uscito di strada fa tanto clamore, essere ubriachi alla guida vale proporzionalmente poco più di un buffetto, nonostante le morti provocate dagli alcolici regolarmente commercializzati sommate a quelle causate dall'uso dei veicoli a motore anche esageratamente potenti altrettanto legalmente commercializzati e abbondantemente pubblicizzati in un singolo paese subissano il totale forse mondiale delle morti per droghe proibite e condannate per legge.
E fino a qui troveremmo un certo - non larghissimo (ad esempio quanti sarebbero disposti a passare ad auto ecologiche a bassa velocità) - consenso.
Quanti di noi la penserebbero nello stesso modo a proposito dell'uso dei telefoni cellulari mentre ci si trova per strada, anche quando la si attraversa a piedi, ma soprattutto quando si è alla guida?
Ebbene, una ricerca condotta alla University of Utah dallo staff del prof. David Strayer nel 2003 ha sancito che chi guida telefonando è più dannoso di chi è in stato di ebrezza. Più di recente è lo studio dello stesso gruppo pubblicato dalla Human Factors & Ergonomics che ha confrontato un gruppo di ultra-sessantacinquenni con uno di pre-venticinquenni alle prese con un simulatore di guida per 10 minuti e un percorso di quindici chilometri, due volte usando il telefono con il vivavoce e due volte senza cellulare (dettagli sperimentali). Dovendo frenare, non si fa differenza fra i due gruppi quando sono al telefono caso in cui hanno comunque riflessi del 20% più lenti degli altri, anche perché la consapevolezza degli anziani li porta a tenere maggiori distanze di sicurezza. L'immediata conseguenza è che i tamponamenti nel simulatore si verificano un numero doppio di volte nel caso di un guidatore al telefono.
Ebbene, se te la prendi con quelli che guidano sotto l'effetto dell'alcol, non dovresti essere certo più tollerante nei confronti di chi - te compreso? - guida telefonando - anche se usando il vivavoce.
cfr.:
Se uno spinello forse fumato da un autista che il giorno dopo è uscito di strada fa tanto clamore, essere ubriachi alla guida vale proporzionalmente poco più di un buffetto, nonostante le morti provocate dagli alcolici regolarmente commercializzati sommate a quelle causate dall'uso dei veicoli a motore anche esageratamente potenti altrettanto legalmente commercializzati e abbondantemente pubblicizzati in un singolo paese subissano il totale forse mondiale delle morti per droghe proibite e condannate per legge.
E fino a qui troveremmo un certo - non larghissimo (ad esempio quanti sarebbero disposti a passare ad auto ecologiche a bassa velocità) - consenso.
Quanti di noi la penserebbero nello stesso modo a proposito dell'uso dei telefoni cellulari mentre ci si trova per strada, anche quando la si attraversa a piedi, ma soprattutto quando si è alla guida?
Ebbene, una ricerca condotta alla University of Utah dallo staff del prof. David Strayer nel 2003 ha sancito che chi guida telefonando è più dannoso di chi è in stato di ebrezza. Più di recente è lo studio dello stesso gruppo pubblicato dalla Human Factors & Ergonomics che ha confrontato un gruppo di ultra-sessantacinquenni con uno di pre-venticinquenni alle prese con un simulatore di guida per 10 minuti e un percorso di quindici chilometri, due volte usando il telefono con il vivavoce e due volte senza cellulare (dettagli sperimentali). Dovendo frenare, non si fa differenza fra i due gruppi quando sono al telefono caso in cui hanno comunque riflessi del 20% più lenti degli altri, anche perché la consapevolezza degli anziani li porta a tenere maggiori distanze di sicurezza. L'immediata conseguenza è che i tamponamenti nel simulatore si verificano un numero doppio di volte nel caso di un guidatore al telefono.
Ebbene, se te la prendi con quelli che guidano sotto l'effetto dell'alcol, non dovresti essere certo più tollerante nei confronti di chi - te compreso? - guida telefonando - anche se usando il vivavoce.
cfr.:
- Strayer, D. L. & Drews, F. A. & Crouch, D. J. (2003). “Fatal Distraction? A Comparison of the Cell-Phone Driver and the Drunk Driver.” In D. V. McGehee, J. D. Lee, & M. Rizzo (Eds.) Driving Assessment 2003: International Symposium on Human Factors in Driver Assessment, Training, and Vehicle Design. Published by the Public Policy Center, University of Iowa
- Strayer, Drews and Crouch, “A Comparison of the Cell Phone Driver and the Drunk Driver,” Human Factors, Summer 2006
- All Cell Phone Use While Driving Must Be Outlawed
17 luglio 2007
Le nuove vie del conflitto sul lavoro
Lauti affari per gli avvocati del lavoro con questi chiari di luna, se solo si mettono a imitare i loro colleghi d'oltre oceano. Lo abbiamo visto in più di un film: se degli avvocati si trovano in prossimità di un luogo di incidente qualsiasi, subito si rivolgono alla vittima facendogli comprendere che potrà guadagnare da un'infinità di spunti e pretesti. Se sei scivolato sul pavimento troppo lucido dell'albergo, perché non sfruttare l'occasione per fare causa per danni all'albergatore?
Oggi come oggi le aziende prestano il fianco ad un'infinità di occasioni per fare loro causa e in particolare da parte dei dipendenti di cui ben volentieri desiderebbero liberarsi. Il conflitto sta passando dalle aule sindacali a quelle giudiziarie. I sindacati, ormai in grado di salvarsi solo se prendono la strada della privatizzazione, non hanno ancora capito quale possa essere la nuova popolazione di lavoratori da rappresentare e così capitolano alla ricerca di una classe in una società ormai da decenni priva di classi e si abbarbicano ai lavoratori extra-comunitari.
Il vero conflitto diffuso (a parte i soliti fenomeni sommersi) sta nelle forme improprie introdotte con le ultime leggi sul lavoro da Treu a Biagi. E se di contratti ancora non ne sono stati abbastanza impugnati è per una certa timidezza da parte dei giovani che ancora ascoltano gli obsoleti consigli dei padri di fare i bravi per non pregiudicarsi possibilità peraltro improbabili di continuità d'impiego. Si vive di incursioni: così è dal lato delle imprese e così dev'essere da quello dei lavoratori. Stagisti e contrattisti devono studiare attentamente i contratti e gli avvocati devono imparare ad aiutarli per inchiodare le imprese che dissimulano formazione o reclutamenti diversi da quello che mettono in atto.
Un consiglio, ragazzi: trovatevi fin da subito molte prove e soprattutto molti testimoni!
Altro terreno fertile per i nostri avvocati è lo stress e la depressione che l'ambiente lavorativo produce a causa di demansionamenti o mutamenti delle condizioni di rapporto di lavoro. Anche in questo caso sarà importante rispettare tutta una serie di passaggi, producendo opportune copie con ricevuta di ritorno delle proprie diagnosi da consegnare al datore di lavoro. Da quel momento in poi ogni azione sarà suscettibile di essere ricondotta al rispetto di quella diagnosi.
Per chi abbia visto il film francese L'apparenza inganna, dove un impiegato lasciava a pensare di essere gay e quindi di esporsi a comportamenti discriminatori, la situazione può essere più chiara. Anche per il personale femminile le occasioni non mancano, ma sarà bene documentarsi e trovare un legale preparato.
Bisogna inoltre saper distinguere fra discriminazione con sintomi psicopatologici e mobbing in quanto i primi sono conseguenze dirette di condizioni lavorative, mentre l'altro è un prodotto derivato, secondario, e intenzionalmente preparato, una conseguenza di un comportamento ostile reiterato. E ancora non basta: parlando di mobbing, bisogna sapere distinguere fra quest'ultimo e i fenomeni ad esso apparentati, anche se meno famosi, ovverosia il bossing, lo stalking e lo straining. E occorre sapere come dimostrarlo e seguire una procedura corretta per poter ottenere soddisfazione.
Certo sono molti i casi in cui oggi è giusto che i lavoratori vessati si rivalgano sul datore di lavoro per i danni subiti. Tuttavia, per chi pensasse che queste mie possono essere solo provocazioni, non è azzardato ricordare loro di come - e non soltanto negli USA - molte donne siano arrivate al punto di scegliere il consorte in base a quello che possono spuntare dalla causa del divorzio e a come, quindi, le cause possano diventare uno strumento di profitto, una vera e propria occupazione "professionale". Non è stravagante immaginare che lo stesso possa accadere con i contratti di lavoro.
Queste competenze non spettano soltanto ai legali; è opportuno che ne vengano a conoscenza, almeno nei loro lineamenti generali, anche i lavoratori potenzialmente interessati. Il fatto curioso è che sarà bene che le conoscano soprattutto i manager. Questi infatti si trovano posti fra il martello di un lavoratore che chiede che gli vengano riconosciuti i danni e l'incudine di un'azienda che non intende farlo. Chi prevarica chi? Non è certo l'azienda ad avere intrattenuto comportamenti persecutori nei confronti del dipendente. Sarà al povero manager servile che toccherà pagare! E a ben poco servirà spiegare che non c'erano alternative, che era stato implicitamente indotto da un'altra direzione a comportarsi in quel modo, che le scelte di programmazione economica e del personale…
Tutte scuse inutili: a pagare sarà lui, anche se fino ad oggi in genere l'azienda gli ha coperto le spalle (cosa che non necessariamente continuerà ad essere).
Tutti noi sappiamo che dopo le faccende Enron, Wordcom e Parmalat le imprese sono corse ai ripari con una serie di azioni essenzialmente di facciata, come i bilanci di sostenibilità e i codici etici d'impresa.
Il manager che abbia partecipato ad un corso di quest'ultimo tipo o che abbia firmato di aver ricevuto quel materiale è già implicitamente nei pasticci. Non solo perché l'azienda si laverà le mani dal rischio di essere chiamata in causa per alcune delle tante azioni non propriamente trasparenti che praticamente quasi tutte si trovano a far compiere ai loro manager che vogliano rimanere tali. L'altro rischio è quello di essere in prima persona reso unico responsabile dei comportamenti persecutori dai quali l'azienda, dopo aver fatto il corso e fatto firmare per la consegna del codice etico, prende una volta per tutte le distanze, anche se avrà messo il suo funzionario nella condizione di non sapere come comportarsi diversamente per ottemperare agli obiettivi organizzativi.
È d'altronde vero che molti manager sono impreparati e spocchiosi nei riguardi di tali questioni presumendo di non dovere mai pagare e, grossolani e spesso volgari come sono, finiscono per metterla cantando la testa nelle fauci del giudice. Potrà invece loro essere utile non frequentare i corsi sul codice etico e rispedire al mittente il documento per cui ci si aspetta la firma.
Questo però non basterà e potrà essere bene che si informino, che cerchino dei consulenti in grado di guidarli nelle relazioni di lavoro e magari che se lo cerchino loro un bel corso, non sul codice etico, ma su come evitare di essere chiamato a rispondere di persecuzione nei confronti dei collaboratori.
Qualche anima pura si starà domandando: "Ma dove sono le human resources, le relazioni interne, la comunicazione interna e gli stessi sindacati?"
Bella domanda!…
Io un po' di risposte ce le avrei, ma penso di aver fin troppo scoperto le carte.
Oggi come oggi le aziende prestano il fianco ad un'infinità di occasioni per fare loro causa e in particolare da parte dei dipendenti di cui ben volentieri desiderebbero liberarsi. Il conflitto sta passando dalle aule sindacali a quelle giudiziarie. I sindacati, ormai in grado di salvarsi solo se prendono la strada della privatizzazione, non hanno ancora capito quale possa essere la nuova popolazione di lavoratori da rappresentare e così capitolano alla ricerca di una classe in una società ormai da decenni priva di classi e si abbarbicano ai lavoratori extra-comunitari.
Il vero conflitto diffuso (a parte i soliti fenomeni sommersi) sta nelle forme improprie introdotte con le ultime leggi sul lavoro da Treu a Biagi. E se di contratti ancora non ne sono stati abbastanza impugnati è per una certa timidezza da parte dei giovani che ancora ascoltano gli obsoleti consigli dei padri di fare i bravi per non pregiudicarsi possibilità peraltro improbabili di continuità d'impiego. Si vive di incursioni: così è dal lato delle imprese e così dev'essere da quello dei lavoratori. Stagisti e contrattisti devono studiare attentamente i contratti e gli avvocati devono imparare ad aiutarli per inchiodare le imprese che dissimulano formazione o reclutamenti diversi da quello che mettono in atto.
Un consiglio, ragazzi: trovatevi fin da subito molte prove e soprattutto molti testimoni!
Altro terreno fertile per i nostri avvocati è lo stress e la depressione che l'ambiente lavorativo produce a causa di demansionamenti o mutamenti delle condizioni di rapporto di lavoro. Anche in questo caso sarà importante rispettare tutta una serie di passaggi, producendo opportune copie con ricevuta di ritorno delle proprie diagnosi da consegnare al datore di lavoro. Da quel momento in poi ogni azione sarà suscettibile di essere ricondotta al rispetto di quella diagnosi.
Per chi abbia visto il film francese L'apparenza inganna, dove un impiegato lasciava a pensare di essere gay e quindi di esporsi a comportamenti discriminatori, la situazione può essere più chiara. Anche per il personale femminile le occasioni non mancano, ma sarà bene documentarsi e trovare un legale preparato.
Bisogna inoltre saper distinguere fra discriminazione con sintomi psicopatologici e mobbing in quanto i primi sono conseguenze dirette di condizioni lavorative, mentre l'altro è un prodotto derivato, secondario, e intenzionalmente preparato, una conseguenza di un comportamento ostile reiterato. E ancora non basta: parlando di mobbing, bisogna sapere distinguere fra quest'ultimo e i fenomeni ad esso apparentati, anche se meno famosi, ovverosia il bossing, lo stalking e lo straining. E occorre sapere come dimostrarlo e seguire una procedura corretta per poter ottenere soddisfazione.
Certo sono molti i casi in cui oggi è giusto che i lavoratori vessati si rivalgano sul datore di lavoro per i danni subiti. Tuttavia, per chi pensasse che queste mie possono essere solo provocazioni, non è azzardato ricordare loro di come - e non soltanto negli USA - molte donne siano arrivate al punto di scegliere il consorte in base a quello che possono spuntare dalla causa del divorzio e a come, quindi, le cause possano diventare uno strumento di profitto, una vera e propria occupazione "professionale". Non è stravagante immaginare che lo stesso possa accadere con i contratti di lavoro.
Queste competenze non spettano soltanto ai legali; è opportuno che ne vengano a conoscenza, almeno nei loro lineamenti generali, anche i lavoratori potenzialmente interessati. Il fatto curioso è che sarà bene che le conoscano soprattutto i manager. Questi infatti si trovano posti fra il martello di un lavoratore che chiede che gli vengano riconosciuti i danni e l'incudine di un'azienda che non intende farlo. Chi prevarica chi? Non è certo l'azienda ad avere intrattenuto comportamenti persecutori nei confronti del dipendente. Sarà al povero manager servile che toccherà pagare! E a ben poco servirà spiegare che non c'erano alternative, che era stato implicitamente indotto da un'altra direzione a comportarsi in quel modo, che le scelte di programmazione economica e del personale…
Tutte scuse inutili: a pagare sarà lui, anche se fino ad oggi in genere l'azienda gli ha coperto le spalle (cosa che non necessariamente continuerà ad essere).
Tutti noi sappiamo che dopo le faccende Enron, Wordcom e Parmalat le imprese sono corse ai ripari con una serie di azioni essenzialmente di facciata, come i bilanci di sostenibilità e i codici etici d'impresa.
Il manager che abbia partecipato ad un corso di quest'ultimo tipo o che abbia firmato di aver ricevuto quel materiale è già implicitamente nei pasticci. Non solo perché l'azienda si laverà le mani dal rischio di essere chiamata in causa per alcune delle tante azioni non propriamente trasparenti che praticamente quasi tutte si trovano a far compiere ai loro manager che vogliano rimanere tali. L'altro rischio è quello di essere in prima persona reso unico responsabile dei comportamenti persecutori dai quali l'azienda, dopo aver fatto il corso e fatto firmare per la consegna del codice etico, prende una volta per tutte le distanze, anche se avrà messo il suo funzionario nella condizione di non sapere come comportarsi diversamente per ottemperare agli obiettivi organizzativi.
È d'altronde vero che molti manager sono impreparati e spocchiosi nei riguardi di tali questioni presumendo di non dovere mai pagare e, grossolani e spesso volgari come sono, finiscono per metterla cantando la testa nelle fauci del giudice. Potrà invece loro essere utile non frequentare i corsi sul codice etico e rispedire al mittente il documento per cui ci si aspetta la firma.
Questo però non basterà e potrà essere bene che si informino, che cerchino dei consulenti in grado di guidarli nelle relazioni di lavoro e magari che se lo cerchino loro un bel corso, non sul codice etico, ma su come evitare di essere chiamato a rispondere di persecuzione nei confronti dei collaboratori.
Qualche anima pura si starà domandando: "Ma dove sono le human resources, le relazioni interne, la comunicazione interna e gli stessi sindacati?"
Bella domanda!…
Io un po' di risposte ce le avrei, ma penso di aver fin troppo scoperto le carte.
15 luglio 2007
La sfida della semplicità
Caro diario,
sono in vacanza sulla Costa Azzurra (che per le persone normali è un posto come un altro) e, invece di stare come tutti spaparanzato al sole, non riesco a fare a meno di darmi al consumismo. Tecno-consumista o intellettual-consumista, sempre un tossicodipendente sono. Mi consolo pensando che poteva andare peggio e invece, a parte qualche sigaretta, i miei vizi finiscono qui. Era una buona scusa per inforcare la moto e fare un giro fino a Monte Carlo dove c'è la FNAC, vera istituzione francofona nel settore. Dopo un inutile pellegrinaggio fra i gadget e una prima delusione negli scaffali informatici (ancor più smagriti e colonizzati dei nostri dall'innocuo fenomeno-Vista), mi indirizzo verso il secondo vizio.
A parte lo sviluppo di un'intera area dedicata allo "Sviluppo personale" stupefacentemente ricca di volumi fra i quali spiccano una quantità di titoli con la parola coach (-ing), e la invece più smunta zona dello "psi-", ho curiosato in quella ancor più povera dedicata all'organizzazione e alla consulenza d'impresa. Ho frugato fra le pagine alla ricerca di un libro che "avesse un'anima" tale da suggerirmi pensieri o riflessioni se non proprio nuove, almeno con un certo respiro. Quello che ho trovato sono soprattutto libri che cercano ognuno di fare passare una propria formula come una teoria o una tecnica inedita o originale. Non ho avuto l'impressione che ce ne fossero molte. Si sprecavano gli upgrade o le revisioni di temi di moda, primo fra tutti - come da un bel po' - l'intelligenza emotiva. Non sono comunque riuscito a trovare un libro ben organizzato in capitoli e paragrafi chiari che mi suggerisse di comprarlo.
Eppure di formule ce n'erano tante e sfogliando meglio ho scoperto quante fossero le teorie e le tecniche di cui ignoravo l'esistenza. La considerazione più triste era che, considerando l'età e i tanti percorsi intrapresi e poi messi da parte, c'erano troppe informazioni che ignoravo proprio in quelle teorie e tecniche che ero stato fra i primi a studiare, ad applicare e in molti casi a contribuire a diffondere e che quindi mi piccavo di conoscere ed utilizzare.
Sono uscito da quel negozio sconfortato e disorientato. Davvero!
Mi dicevo: "Ecco, vedi che non servi più a niente. Sei un vecchio archibugio e non puoi neppure andare a dire in giro che sai fare delle cose, mentre non sai fare nulla perché non sei aggiornato su niente. Per troppo tempo ti sei detto «impara l'arte e mettila da parte», ti sei convinto che quello che sai è in quello che sei e non in quello che hai imparato. Ti sei dato l'alibi che non c'era bisogno di altre tecniche o sistematizzazioni, perché quello che conta è il tuo esempio e alla fine la saggezza (o, come la chiama Piero Ferrucci, la Gentilezza) che fai trapelare nelle relazioni oppure le risorse che consenti alle persone di far scaturire da loro stesse. Forse è il caso che ti pensioni e che vivi di quel poco che ti basta in un angolo sperduto del mondo".
A parte quest'ultima considerazione che mi sembrava comunque abbastanza saggia da non venire trascurata troppo a lungo, me ne sono tornato alla mia spiaggetta con le orecchie basse.
Con il passare delle ore però la mia autostima si è poi ricomposta e ho deciso che avrei potuto sopravvivere a questa presunta ignoranza o vecchiaia intellettuale. A quel punto mi sono idealmente complimentato con i nuovi autori, i nuovi consulenti e i nuovi coach e ho augurato buona fortuna a tutti.
In seguito mi sono però domandato chi fossero i loro clienti. Manager e organizzazioni in crisi di identità, spesso disorientate, povere di idee, in un momento di cambiamento che non hanno ancora ben compreso. Ho immaginato anche che ne avessero provate tante e che avessero anche poca voglia di investire del proprio in revisioni interne e che quindi la via più semplice consistesse nella ricerca dell'ultima novità nella speranza che funzionasse meglio delle vecchie. E ho immaginato che anche i consulenti finiscano per adeguarsi a questa tendenza tirando fuori dal cilindro tecniche, terminologie e commistioni le più azzardate al confine del patetico pur di far immaginare di avere qualcosa di nuovo da proporre.
La speranza di tutti è che esista un deus ex-machina che fornisca una formula per nuove ricchezze, nuovi mercati, un ritorno di fortuna…
Effettivamente questa è una storia che non mi appartiene e non dipende dall'età o dagli aggiornamenti, ma dalle mie convinzioni più profonde. Il fatto che mi occupi di ipnosi fa sì che debba negare il mio aiuto a molte persone che con sempre maggiore frequenza al telefono o per e-mail mi dicono: "Lei fa ipnosi e allora può risolvermi questo o quel problema senza che debba far fatica e soprattutto senza il mio coinvolgimento cosciente, imponendosi alla mia volontà impenitente, portandomi a fare quello che non vorrei solo perché ho deciso che dev'essere così…". Queste storie non esistono: non esiste il lavoro senza impegno e senza fatica, al massimo quello per cui il coinvolgimento seppur faticoso è gradito; i risultati senza programmazione, coinvolgimento e onestà sono solo di due tipi: o rari colpi di fortuna, come vincere al Super Enalotto, oppure speculazioni, furti più o meno legittimati da un sistema sempre più fortemente parassitario che in genere non durano più del tempo di un arrembaggio; non esiste il fare gruppo senza coinvolgimento, né l'incentivazione del singolo senza incentivi, anche se tutti ci provano solo perché è l'ultima volpata del vicino di stanza.
Soprattutto non esiste una consulenza senza un consulente che metta in gioco se stesso - e non le sue slides, le sue esercitazioni e i suoi trucchi - e senza un'organizzazione o una persona che metta in gioco se stessa per quello che è e non per quello che vuol far vedere di se o fantastica di diventare senza fondamenti concreti.
Cosa rimane a me e a quelli, che credo non essere così pochi, che la pensano come me?
Probabilmente, la pazienza e la costanza, l'onestà e la gentilezza, la sobrietà e la modestia, l'autenticità e la semplicità, l'utopia e la strategia. Una parola che preferisco per riassumere tutti questi ingredienti penso sia proprio la semplicità.
Pensi, caro diario, che dopo tante sbronze di onnipotenza drogata si possa ripartire da lì?
Due passaggi di un noto Nazzareno con cui, caro diario, mi piacerebbe concludere queste riflessioni sono, citate alla bell'e meglio: "Siate candidi come colombe e astuti come serpenti" e "Siate come gli uccelli dei campi".
P.S.: però, non farle sapere in giro altrimenti non troverò più un lavoro da nessuno, neanche a pagarlo.
sono in vacanza sulla Costa Azzurra (che per le persone normali è un posto come un altro) e, invece di stare come tutti spaparanzato al sole, non riesco a fare a meno di darmi al consumismo. Tecno-consumista o intellettual-consumista, sempre un tossicodipendente sono. Mi consolo pensando che poteva andare peggio e invece, a parte qualche sigaretta, i miei vizi finiscono qui. Era una buona scusa per inforcare la moto e fare un giro fino a Monte Carlo dove c'è la FNAC, vera istituzione francofona nel settore. Dopo un inutile pellegrinaggio fra i gadget e una prima delusione negli scaffali informatici (ancor più smagriti e colonizzati dei nostri dall'innocuo fenomeno-Vista), mi indirizzo verso il secondo vizio.
A parte lo sviluppo di un'intera area dedicata allo "Sviluppo personale" stupefacentemente ricca di volumi fra i quali spiccano una quantità di titoli con la parola coach (-ing), e la invece più smunta zona dello "psi-", ho curiosato in quella ancor più povera dedicata all'organizzazione e alla consulenza d'impresa. Ho frugato fra le pagine alla ricerca di un libro che "avesse un'anima" tale da suggerirmi pensieri o riflessioni se non proprio nuove, almeno con un certo respiro. Quello che ho trovato sono soprattutto libri che cercano ognuno di fare passare una propria formula come una teoria o una tecnica inedita o originale. Non ho avuto l'impressione che ce ne fossero molte. Si sprecavano gli upgrade o le revisioni di temi di moda, primo fra tutti - come da un bel po' - l'intelligenza emotiva. Non sono comunque riuscito a trovare un libro ben organizzato in capitoli e paragrafi chiari che mi suggerisse di comprarlo.
Eppure di formule ce n'erano tante e sfogliando meglio ho scoperto quante fossero le teorie e le tecniche di cui ignoravo l'esistenza. La considerazione più triste era che, considerando l'età e i tanti percorsi intrapresi e poi messi da parte, c'erano troppe informazioni che ignoravo proprio in quelle teorie e tecniche che ero stato fra i primi a studiare, ad applicare e in molti casi a contribuire a diffondere e che quindi mi piccavo di conoscere ed utilizzare.
Sono uscito da quel negozio sconfortato e disorientato. Davvero!
Mi dicevo: "Ecco, vedi che non servi più a niente. Sei un vecchio archibugio e non puoi neppure andare a dire in giro che sai fare delle cose, mentre non sai fare nulla perché non sei aggiornato su niente. Per troppo tempo ti sei detto «impara l'arte e mettila da parte», ti sei convinto che quello che sai è in quello che sei e non in quello che hai imparato. Ti sei dato l'alibi che non c'era bisogno di altre tecniche o sistematizzazioni, perché quello che conta è il tuo esempio e alla fine la saggezza (o, come la chiama Piero Ferrucci, la Gentilezza) che fai trapelare nelle relazioni oppure le risorse che consenti alle persone di far scaturire da loro stesse. Forse è il caso che ti pensioni e che vivi di quel poco che ti basta in un angolo sperduto del mondo".
A parte quest'ultima considerazione che mi sembrava comunque abbastanza saggia da non venire trascurata troppo a lungo, me ne sono tornato alla mia spiaggetta con le orecchie basse.
Con il passare delle ore però la mia autostima si è poi ricomposta e ho deciso che avrei potuto sopravvivere a questa presunta ignoranza o vecchiaia intellettuale. A quel punto mi sono idealmente complimentato con i nuovi autori, i nuovi consulenti e i nuovi coach e ho augurato buona fortuna a tutti.
In seguito mi sono però domandato chi fossero i loro clienti. Manager e organizzazioni in crisi di identità, spesso disorientate, povere di idee, in un momento di cambiamento che non hanno ancora ben compreso. Ho immaginato anche che ne avessero provate tante e che avessero anche poca voglia di investire del proprio in revisioni interne e che quindi la via più semplice consistesse nella ricerca dell'ultima novità nella speranza che funzionasse meglio delle vecchie. E ho immaginato che anche i consulenti finiscano per adeguarsi a questa tendenza tirando fuori dal cilindro tecniche, terminologie e commistioni le più azzardate al confine del patetico pur di far immaginare di avere qualcosa di nuovo da proporre.
La speranza di tutti è che esista un deus ex-machina che fornisca una formula per nuove ricchezze, nuovi mercati, un ritorno di fortuna…
Effettivamente questa è una storia che non mi appartiene e non dipende dall'età o dagli aggiornamenti, ma dalle mie convinzioni più profonde. Il fatto che mi occupi di ipnosi fa sì che debba negare il mio aiuto a molte persone che con sempre maggiore frequenza al telefono o per e-mail mi dicono: "Lei fa ipnosi e allora può risolvermi questo o quel problema senza che debba far fatica e soprattutto senza il mio coinvolgimento cosciente, imponendosi alla mia volontà impenitente, portandomi a fare quello che non vorrei solo perché ho deciso che dev'essere così…". Queste storie non esistono: non esiste il lavoro senza impegno e senza fatica, al massimo quello per cui il coinvolgimento seppur faticoso è gradito; i risultati senza programmazione, coinvolgimento e onestà sono solo di due tipi: o rari colpi di fortuna, come vincere al Super Enalotto, oppure speculazioni, furti più o meno legittimati da un sistema sempre più fortemente parassitario che in genere non durano più del tempo di un arrembaggio; non esiste il fare gruppo senza coinvolgimento, né l'incentivazione del singolo senza incentivi, anche se tutti ci provano solo perché è l'ultima volpata del vicino di stanza.
Soprattutto non esiste una consulenza senza un consulente che metta in gioco se stesso - e non le sue slides, le sue esercitazioni e i suoi trucchi - e senza un'organizzazione o una persona che metta in gioco se stessa per quello che è e non per quello che vuol far vedere di se o fantastica di diventare senza fondamenti concreti.
Cosa rimane a me e a quelli, che credo non essere così pochi, che la pensano come me?
Probabilmente, la pazienza e la costanza, l'onestà e la gentilezza, la sobrietà e la modestia, l'autenticità e la semplicità, l'utopia e la strategia. Una parola che preferisco per riassumere tutti questi ingredienti penso sia proprio la semplicità.
Pensi, caro diario, che dopo tante sbronze di onnipotenza drogata si possa ripartire da lì?
Due passaggi di un noto Nazzareno con cui, caro diario, mi piacerebbe concludere queste riflessioni sono, citate alla bell'e meglio: "Siate candidi come colombe e astuti come serpenti" e "Siate come gli uccelli dei campi".
P.S.: però, non farle sapere in giro altrimenti non troverò più un lavoro da nessuno, neanche a pagarlo.
06 luglio 2007
Dallo sradicamento al suicidio sociale
La doppia faccia del suicidio sociale
Quello che, dopo gli esordi di Comte e Saint-Simon, può essere considerato il padre della moderna sociologia, Émile Durkheim, approfondendo le caratteristiche della società moderna e riferendosi soprattutto alla divisione del lavoro e al suicidio ha introdotto un concetto che, pur essendo stato reinterpretato dai principali sociologi e filosofi successivi, non è così noto e diffuso come altri e che pure potrebbe spiegare molto di quanto sta avvenendo nel mondo occidentale nei nostri giorni.
Letteralmente il termine anomia si potrebbe tradurre come assenza, annullamento delle regole condivise e originariamente fu inteso come una situazione presente nella società organica, intesa cioè come un soggetto unico integrato, l'organismo di cui i singoli e le istituzioni non sono che parti, basata sull'organizzazione di compiti suddivisi fra i suoi appartenenti quando il legante che consente alle sue parti di identificarsi viene messo in crisi. Diversamente dal suicidio che si origina da istanze personali, definito come patologico da Durkheim, il suicidio di origine sociale assomiglia a quello dei lemmings, quegli animaletti che vanno in corteo a buttarsi dalle rupi uccidendosi. Qualcosa del genere si è visto con il crollo di Wall Street e la conseguente depressione statunitense dei primi del novecento. Questo suicidio sociale può avvenire in conseguenza ad un eccesso nell'excalation delle aspirazioni che non trovano un adeguato soddisfacimento nelle risorse sociali, e in questo caso viene definito anomico, oppure fatalista quando manca una visione del futuro e l'avvenire appare completamente chiuso, con passioni violentemente compresse.
Questa sociologia si basava sui capisaldi del positivismo comtiano e dell'economicismo del primo ottocento, ma bisogna dire che proprio le analisi di Durkheim hanno favorito il cambiamento delle discipline sociologiche andando a influenzare gli esordi dell'Antropologia Culturale. E proprio a partire dalla nozione di cultura umana e sociale che l'anomia può assumere un senso più completo.
Il termine "Cultura" qui assume un significato più ampio e l'economia diventa una componente di un insieme che comprende essenzialmente il modo di fare le cose e interpretare il significato della persona all'interno della propria appartenenza sociale stratificata nel corso del tempo e nelle transizioni storiche della popolazione e della società. Potremmo genericamente parlare dei valori condivisi e interiorizzati nel modo di vivere.
Il concetto di cultura verrà poi studiato anche dalla scienza delle organizzazioni e delle imprese dove la definizione forse più interessante è quella che viene data da Edgar Schein come "l'insieme di assunti di base - inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell’organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi".
Potremmo quindi affermare che l'anomia è lo scarto che si verifica quando l 'eccesso di sviluppo e/o l'incapacità di rappresentazione del futuro individuale nel seno della propria appartenenza culturale rendono priva di significato e di valore l'esperienza del vivere.
A fronte di una situazione simile, fra le reazioni più ricorrenti vi sono la fuga (emigrazione, espatrio…), la malattia epidemiologica e il suicidio.
Lo sradicamento del nuovo millennio
A una considerazione simile giungeva tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 il visionario padre dell'Antroposofia - che fra l'altro spicca come una delle più riuscite teorie macro-economiche - Rudolf Steiner, quando asseriva che lo spirito del tempo si era andato a fissare nel nuovo continente dove avrebbe portato ai massimi livelli il sapere tecnologico e le sue realizzazioni. Tuttavia, proseguiva, questo miglioramento delle condizioni di vita sarebbe andato a detrimento della cultura sociale e le prime conseguenze di impoverimento o addirittura della perdita della cultura occidentale si sarebbero viste nella seconda metà del secolo con un indebolimento strutturale personale e collettivo e il proliferare fuori controllo di nuove patologie.
A questo fenomeno sarebbe coincisa l'avanzata di un governo "arimanico-mefistofelico" del mondo caratterizzato dall'espropriazione del libero arbitrio individuale e quindi della responsbilità soggettiva della vita che si realizzava, non attraverso delle dittature, ma con un'automazione delle decisioni tramite strumenti di calcolo svuotati dei valori.
Che cosa osserviamo nei paesi occidentali in questo inizio di millennio se non la crescita di fenomeni di anomia? Già Merton e i suoi seguaci ne hanno identificato l'insorgere nella modernizzazione della Cina degli anni '90, la convivenza civile nel Sud Africa del dopo apartheid, la situazione dell'Argentina e di altri Paesi dell'America Latina e i processi indotti in Europa occidentale dalla globalizzazione e dell'immigrazione dai Paesi extraeuropei, la transizione alla democrazia nei Paesi dell'Est europeo (si pensi all'osservazione che fa uno dei protagonisti del film "Le vite degli altri" quando scopre che nella Germania dell'Est della Stasi si sono cominciate a nascondere le statistiche dei suicidi).
Per arrivare più vicini a noi non è difficile riscontrare una forte anomia nella perdita dei punti di riferimento culturali che in Italia, come e ancor più di molti altri paesi, si sta verificando. L'insoddisfazione di una crescita delle condizioni di vita a fronte di una difficile individuazione di obiettivi realistici generali porta, da un lato, ad un'excalation insostenibile della ricchezza e del successo del tutto incommensurata alle possibilità di fruizione ragionevoli per una persona, un eccesso di successo e di desiderio di potere che non può essere per tutti e che diventa superiore alla possibilità di beneficiarne, traducendosi nell'effetto opposto. Questo genera in tutti gli strati sociali un desiderio drogato di apparire e di arricchirsi che fa dimenticare i valori e i comportamenti naturali per il proprio genere e la propria cultura.
D'altro lato, abbiamo una gioventù troppo spesso indifferente alla costruzione del quotidiano perché concentrata su modelli e obiettivi troppo spinti e comunque insoddisfacenti (calciatori e veline, ecc.). Scorgiamo questa difficoltà anche all'interno delle imprese, dove sono scomparsi i livelli intermedi e con essi l'ambizione a crescere per una carriera ragionevole. Al contrario, la crescita economica e di potere è ad appannaggio di un gruppo sempre più ristretto di top manager che diventano autoreferenziali, lontani dai bisogni economici ed imprenditoriali.
A fronte del miraggio per pochi di uno sviluppo abnorme abbiamo una fascia di popolazione sempre più estesa e purtroppo in una crescita vertiginosa che è appena iniziata per la quale la povertà e l'incapacità di sbarcare il lunario non è che il dato più evidente. Il pericolo principale per questi nuovi poveri e per la massa ancora più gigantesca dei nuovi impotenti è l'impossibilità di desiderare qualcosa di ragionevolmente raggiungibile a cui tendere, l'incapacità di rappresentarsi un futuro in una cultura a cui sentono di non appartenere più e che percepiscono essere indifferente al loro domani e alla loro esistenza.
In questa popolazione di nuovi impotenti anomici non vi sono solo disoccupati e sotto-pagati, ma anche ceti medi, professionisti e benestanti intermedi che perdono il desiderio di investire, di scommettere, di aspirare, di inventare, di intraprendere, per questa perdita di appartenenza, per l'assenza di desiderio, per la difficoltà di immaginare un futuro che comprenda loro e i loro figli in una società e in una cultura da cui si sentono alienati, impossibilitati ad influenzarla e a trasformarla in qualcosa che appartenga anche a loro. E le conseguenze di questa impotenza dei gruppi di influenza e di conoscenza è quello che porterà ad un irreparabile ed irreversibile rapido declino l'intero paese.
Ora non rimarrebbe che prendere uno a uno i nuovi fenomeni sociali ed economici (dal disinvestimento agli studi superiori al desiderio dei soldi facili, dai consumi eccessivi e distribuiti di eccitanti, primo fra tutti la cocaina, alla distribuzione quasi epidemiologica di anti-depressivi, dalla crisi delle istituzioni e della famiglia alla pedofilia - come excalation del desiderio libidico - dalla speculazione sui giovani lavoratori all'incapacità di generare ricerca, e così via) e domandarsi se possono appartenere alla categoria delle conseguenze o delle cause dell'anomia epocale del mondo occidentale, oppure se possono costituire una risorsa per superarla e per dare una svolta vivibile verso una cultura condivisibile cui si possa accettare di appartenere e di contribuire.
Quello che, dopo gli esordi di Comte e Saint-Simon, può essere considerato il padre della moderna sociologia, Émile Durkheim, approfondendo le caratteristiche della società moderna e riferendosi soprattutto alla divisione del lavoro e al suicidio ha introdotto un concetto che, pur essendo stato reinterpretato dai principali sociologi e filosofi successivi, non è così noto e diffuso come altri e che pure potrebbe spiegare molto di quanto sta avvenendo nel mondo occidentale nei nostri giorni.
Letteralmente il termine anomia si potrebbe tradurre come assenza, annullamento delle regole condivise e originariamente fu inteso come una situazione presente nella società organica, intesa cioè come un soggetto unico integrato, l'organismo di cui i singoli e le istituzioni non sono che parti, basata sull'organizzazione di compiti suddivisi fra i suoi appartenenti quando il legante che consente alle sue parti di identificarsi viene messo in crisi. Diversamente dal suicidio che si origina da istanze personali, definito come patologico da Durkheim, il suicidio di origine sociale assomiglia a quello dei lemmings, quegli animaletti che vanno in corteo a buttarsi dalle rupi uccidendosi. Qualcosa del genere si è visto con il crollo di Wall Street e la conseguente depressione statunitense dei primi del novecento. Questo suicidio sociale può avvenire in conseguenza ad un eccesso nell'excalation delle aspirazioni che non trovano un adeguato soddisfacimento nelle risorse sociali, e in questo caso viene definito anomico, oppure fatalista quando manca una visione del futuro e l'avvenire appare completamente chiuso, con passioni violentemente compresse.
Questa sociologia si basava sui capisaldi del positivismo comtiano e dell'economicismo del primo ottocento, ma bisogna dire che proprio le analisi di Durkheim hanno favorito il cambiamento delle discipline sociologiche andando a influenzare gli esordi dell'Antropologia Culturale. E proprio a partire dalla nozione di cultura umana e sociale che l'anomia può assumere un senso più completo.
Il termine "Cultura" qui assume un significato più ampio e l'economia diventa una componente di un insieme che comprende essenzialmente il modo di fare le cose e interpretare il significato della persona all'interno della propria appartenenza sociale stratificata nel corso del tempo e nelle transizioni storiche della popolazione e della società. Potremmo genericamente parlare dei valori condivisi e interiorizzati nel modo di vivere.
Il concetto di cultura verrà poi studiato anche dalla scienza delle organizzazioni e delle imprese dove la definizione forse più interessante è quella che viene data da Edgar Schein come "l'insieme di assunti di base - inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno – che si è rivelato così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano nell’organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi".
Potremmo quindi affermare che l'anomia è lo scarto che si verifica quando l 'eccesso di sviluppo e/o l'incapacità di rappresentazione del futuro individuale nel seno della propria appartenenza culturale rendono priva di significato e di valore l'esperienza del vivere.
A fronte di una situazione simile, fra le reazioni più ricorrenti vi sono la fuga (emigrazione, espatrio…), la malattia epidemiologica e il suicidio.
Lo sradicamento del nuovo millennio
A una considerazione simile giungeva tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 il visionario padre dell'Antroposofia - che fra l'altro spicca come una delle più riuscite teorie macro-economiche - Rudolf Steiner, quando asseriva che lo spirito del tempo si era andato a fissare nel nuovo continente dove avrebbe portato ai massimi livelli il sapere tecnologico e le sue realizzazioni. Tuttavia, proseguiva, questo miglioramento delle condizioni di vita sarebbe andato a detrimento della cultura sociale e le prime conseguenze di impoverimento o addirittura della perdita della cultura occidentale si sarebbero viste nella seconda metà del secolo con un indebolimento strutturale personale e collettivo e il proliferare fuori controllo di nuove patologie.
A questo fenomeno sarebbe coincisa l'avanzata di un governo "arimanico-mefistofelico" del mondo caratterizzato dall'espropriazione del libero arbitrio individuale e quindi della responsbilità soggettiva della vita che si realizzava, non attraverso delle dittature, ma con un'automazione delle decisioni tramite strumenti di calcolo svuotati dei valori.
Che cosa osserviamo nei paesi occidentali in questo inizio di millennio se non la crescita di fenomeni di anomia? Già Merton e i suoi seguaci ne hanno identificato l'insorgere nella modernizzazione della Cina degli anni '90, la convivenza civile nel Sud Africa del dopo apartheid, la situazione dell'Argentina e di altri Paesi dell'America Latina e i processi indotti in Europa occidentale dalla globalizzazione e dell'immigrazione dai Paesi extraeuropei, la transizione alla democrazia nei Paesi dell'Est europeo (si pensi all'osservazione che fa uno dei protagonisti del film "Le vite degli altri" quando scopre che nella Germania dell'Est della Stasi si sono cominciate a nascondere le statistiche dei suicidi).
Per arrivare più vicini a noi non è difficile riscontrare una forte anomia nella perdita dei punti di riferimento culturali che in Italia, come e ancor più di molti altri paesi, si sta verificando. L'insoddisfazione di una crescita delle condizioni di vita a fronte di una difficile individuazione di obiettivi realistici generali porta, da un lato, ad un'excalation insostenibile della ricchezza e del successo del tutto incommensurata alle possibilità di fruizione ragionevoli per una persona, un eccesso di successo e di desiderio di potere che non può essere per tutti e che diventa superiore alla possibilità di beneficiarne, traducendosi nell'effetto opposto. Questo genera in tutti gli strati sociali un desiderio drogato di apparire e di arricchirsi che fa dimenticare i valori e i comportamenti naturali per il proprio genere e la propria cultura.
D'altro lato, abbiamo una gioventù troppo spesso indifferente alla costruzione del quotidiano perché concentrata su modelli e obiettivi troppo spinti e comunque insoddisfacenti (calciatori e veline, ecc.). Scorgiamo questa difficoltà anche all'interno delle imprese, dove sono scomparsi i livelli intermedi e con essi l'ambizione a crescere per una carriera ragionevole. Al contrario, la crescita economica e di potere è ad appannaggio di un gruppo sempre più ristretto di top manager che diventano autoreferenziali, lontani dai bisogni economici ed imprenditoriali.
A fronte del miraggio per pochi di uno sviluppo abnorme abbiamo una fascia di popolazione sempre più estesa e purtroppo in una crescita vertiginosa che è appena iniziata per la quale la povertà e l'incapacità di sbarcare il lunario non è che il dato più evidente. Il pericolo principale per questi nuovi poveri e per la massa ancora più gigantesca dei nuovi impotenti è l'impossibilità di desiderare qualcosa di ragionevolmente raggiungibile a cui tendere, l'incapacità di rappresentarsi un futuro in una cultura a cui sentono di non appartenere più e che percepiscono essere indifferente al loro domani e alla loro esistenza.
In questa popolazione di nuovi impotenti anomici non vi sono solo disoccupati e sotto-pagati, ma anche ceti medi, professionisti e benestanti intermedi che perdono il desiderio di investire, di scommettere, di aspirare, di inventare, di intraprendere, per questa perdita di appartenenza, per l'assenza di desiderio, per la difficoltà di immaginare un futuro che comprenda loro e i loro figli in una società e in una cultura da cui si sentono alienati, impossibilitati ad influenzarla e a trasformarla in qualcosa che appartenga anche a loro. E le conseguenze di questa impotenza dei gruppi di influenza e di conoscenza è quello che porterà ad un irreparabile ed irreversibile rapido declino l'intero paese.
Ora non rimarrebbe che prendere uno a uno i nuovi fenomeni sociali ed economici (dal disinvestimento agli studi superiori al desiderio dei soldi facili, dai consumi eccessivi e distribuiti di eccitanti, primo fra tutti la cocaina, alla distribuzione quasi epidemiologica di anti-depressivi, dalla crisi delle istituzioni e della famiglia alla pedofilia - come excalation del desiderio libidico - dalla speculazione sui giovani lavoratori all'incapacità di generare ricerca, e così via) e domandarsi se possono appartenere alla categoria delle conseguenze o delle cause dell'anomia epocale del mondo occidentale, oppure se possono costituire una risorsa per superarla e per dare una svolta vivibile verso una cultura condivisibile cui si possa accettare di appartenere e di contribuire.
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