21 luglio 2010

Quello che Tremonti dice e non dice

"Governo tecnico? Governo di unità nazionale? Sono figure che sembrano stagionalmente incastrarsi nella forma di una geometria variabile che ricorda un vecchio caleidoscopio. Avrei preferito proseguire il discorso che abbiamo iniziato come discorso sulla "democrazia dei contemporanei"..." dice Giulio Tremonti al giornalista di Repubblica Massimo Giannini che poco dopo darà prova di insofferenza per le teorie e passione solo per i caleidoscopi.
Nel frattempo Giulio, che veneziano non è, riesce a infilare un discorso molto confuso. Non essendo proprio lui, l'ésprit de geometrie fatto ministro, persona solita a discorsi confusi, ma spesso incline a messaggi esoterici, il vostro malpensante prova a decrittare quanto segue per il breve tempo prima che il giornalista lo riprenda dicendo "Ministro, per favore, passiamo dalla filosofia alla cronaca di questi giorni. Parliamo delle difficoltà dell'Italia e del suo governo. Qui si parla di crisi, di elezioni anticipate, di governi di transizione...".
Anche Il Post si è dedicato a "studiare" quest'intervista, anche qui però per studiare il Macchiavelli e le sue alleanze di burattinaio.
Il fatto è che lui la figura del burattinaio non la sottoscrive, anzi sostiene che si trovi molto lontano da un governo impotente che non sposa e non tradisce, ma entro il quale negozia, con l'occhio puntato ad altri scenari. Quali? Qui inizia la parte all'apparenza confusa:
"Se cambia la geografia, la politica non può restare uguale. La politica come è stata finora è stata costruita sulla base territoriale chiusa tipica dello Stato-nazione, su confini impermeabili che concentravano nello Stato il monopolio della forza. E la politica era la forma di esercizio e di controllo della forza. La stessa democrazia era rapporto tra rappresentanza e potere. Ora non è più così"
Ovvero, si sostiene che oggi la politica non è più in grado di governare la forza soprattutto perché questa sfugge ad una precisa geografia, esce dal territorio-Stato. La questione vale per tutti i governi e non solo per quello in vigore in Italia oggi.
"Non è così. Il mio ragionamento vale per tutti i governi. (...) Ed è questo il senso politico della "poliarchia" disegnata nell'enciclica "Caritas in veritate". È proprio questo quello che si sta facendo in Europa in questi mesi, in questi giorni, costruendo sopra gli Stati una nuova "architettura politica"
Una "poliarchia", condivide l'esoterismo del Vaticano, ovvero, non tanto una democrazia come verrebbe da credere prendendo le parole alla lettera ma una coralità a poche voci di oligarchie sovra governative. Detto in altri termini: non è il popolo a governare alla fine, ma una pluralità a scarto ridotto di poteri non riducibili ad un fattore unico (potere, forza, denaro, ideologia...), ma piuttosto ad un'identità di alleanze. Qual'è l'architettura politica dell'Europa?
"...soprattutto perché l'Europa, avviata a prendere la forma di un comune destino politico, presuppone e chiede comunque una base di stabilità e di forza. (...) Tipico il caso della Grecia: la fiducia europea è stata indirizzata verso il governo greco legittimamente eletto. La negatività, verso un ruolo esclusivo del Fondo monetario internazionale, era basata sulla diffidenza verso una formula che sarebbe stata più debole, proprio perché solo tecnica. La tecnica può essere solo complementare alla politica, e non sostitutiva"
Ecco le aggregazioni in gioco: un'Europa che prenderebbe le distanze dal potentato lobbistico del FMI statunitense in nome di un'ideologia democratica sovranazionale. Ovvero, due aggregazioni di poteri e salvadanai al tavolo del mega negoziato. Ma se quello dei governi è solo, come nel mito della caverna, un riflesso dei movimenti reali, quelli lontani dell'iperuranio della "poliarchia", perché parlare ancora di democrazia?
"La democrazia dei contemporanei è diversa da quella "classica", e questa a sua volta era diversa dalla democrazia della agorà. E pure sempre è necessaria, la democrazia. Ed è ancora senza alternative - la democrazia - pur dentro la intensissima "mutatio rerum" che viviamo e vediamo. Intensa nel presente come mai nel passato, dalla tecnologia alla geografia"
Vale a dire che quello della "democrazia" è ormai l'unico contenitore linguistico con il quale si possa esprimere il discorso politico e dei poteri, ma in quanto contenitore è una cosa diversa dal modello classico. La composizione del potere è lontano dalle convenzioni linguistiche tipiche dei convenevoli democratici. Diventa sfiggente, talora stocastico, filtrato com'è da fattori meno controllabili perché all'apparenza imprevedibili nonostante ai più appaiano quasi meccanicistici:
"L'iPad muta le facoltà mentali, crea nuovi palinsesti, produce in un istante qualcosa di simile a quello che per farsi ci ha messo tre secoli, nel passaggio dal libro a stampa alla luce elettrica. Per suo conto, Google vale e conta strategicamente ormai come e forse più di uno Stato G7. E poi è cambiata di colpo la geografia economica e politica"
Ecco comparire in trasluce le composizioni politiche dello stato-Google fra Cinesi e Imprenditoria Clintoniana, i confronti fra motori e social network, fra modelli partecipativi (come cantava Gaber: "Libertà è partecipazione", ma anche "Libertà obbligatoria", una sorta di arruolamento). La difficile programmabilità delle tendenze, i flussi stocastici delle migrazioni a stormi nelle reti; un paesaggio sfuggente fatto di influenzamenti e di pressioni di opinione lontane dalla programmabilità della carta stampata di ieri e a tendere anche dei teleschermi.

Difficile dire quanto Tremonti ci sia o ci faccia. Di certo ci spinge a non guardare al muro della caverna dei giochi di cronaca politica e a dipingere il governo come un commercialista diplomatico che si trova a comporre equilibri complessi che sono ben diversi dagli schieramenti e che ad essi sopravvivono e comunque finirebbero comunque per condizionarli.

D'altro canto sono molto più vicini fra loro un Tremonti e un Bersani che, quando si sono trovati a toccare gli interessi di categorie e lobby molto paesane e molto pesanti, dagli studi notarili di ieri ai funzionari pubblici di oggi, sono stati strozzati proprio dai loro stessi schieramenti a trovare compromessi insoddisfacenti. Ecco che forse proprio lì sta guardando Tremonti, ad una nuova geografia del potere formalmente democratico che gli consenta di lavorare a più ampio respiro, un respiro europeo, dove negoziare con le lobbies economiche di riferimento statunitense e quelle locali alla fine non meno forti. Una figura tenace, strategica, ma anche "esotica", dalla "maladie d'ailleur", come dice Paolo Conte, una specie di Truman Burbank che sogna le Figi mentre fa la sua parte consapevole in un sistema mediatico di finzioni.

Lasciando lui alle indecisioni del suo destino, rimane a noi da domandarci se ci sia meno finzione a cascare nel gioco fasullo degli equilibri politici puramente apparenti, ad influenzare le coscienze in rete o se dedicarci al luddismo occupando le strade. Più probabilmente nulla di tutto ciò.

Nessun commento:

Posta un commento