Quando il coaching è centrato sul coach abbiamo a che fare con degli esponenti della scuola yang del coaching.
I maestri di questo approccio sono particolarmente generosi di sé, nella convinzione che sia fondamentale fornire ai propri assistiti delle prove “tangibili” del loro contributo. Questa concretezza si esprime sotto forma di istruzioni, contenuti, sperimentazioni pratiche, esercitazioni lavorative o ludiche.
Il verbo della scuola yang non si esprime mai in forma passiva: solo attiva. Quelli preferiti sono fare, dire, parlare, illustrare, intervenire…
I più esperti sono quelli che conoscono il maggior numero di aneddoti, barzellette, citazioni, espedienti faceti per ingraziarsi i partecipanti divertendoli e rendendo loro leggero l’effluvio di contenuti.
Spesso provengono da una consumata esperienza di formazione.
Fanno grande uso delle tecniche e delle tecnologie, dalla slide al computer, dall’esercizio corporeo o relazionale alle esperienze outdoor.
Non sopportano i silenzi del gruppo che vivono in maniera imbarazzante e colpevole.
Sono ottimi maestri concreti, indispensabili nell’addestramento e nell’apprendistato, come pure per far fare bella figura all’ufficio formazione con i gruppi di dirigenti, tipicamente più propensi a fare da spettatori che da attori e poco inclini alla riflessione, al silenzio e alla messa in discussione di se stessi.
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