Da circa una ventina d’anni dò prova di un coinvolgimento smoderato nelle vicende di Apple.
Un umanista, uno psicologo così appassionato di tecnologie a molti amici e colleghi è sembrato strano e sono in molti a prendermi per un fanatico della mela.
Ora al contrario accade che gli amici del Mac non apprezzino la vena critica spesso presente nei miei commenti e sono insoddisfatti per la scarsa attenzione di molti dettagli tecnici, quando “gli altri” lamentano proprio un eccesso di questi tecnicismi.
Ho cominciato a seguire gli eventi di Cupertino poco dopo la prima uscita di scena di Steve Jobs e già allora trovavo eccezionale quello che lì veniva fatto. Questo fino a che l’eredità del gruppo fondatore non si esaurì e le varie amministrazioni non condussero questo gioiello allo sbando.
Con il ritorno di Jobs il mio entusiasmo ha cominciato a risvegliarsi, abbandonando - ma soltanto gradualmente - le critiche. Questo è avvenuto a mano a mano che Steve ha perfezionato sempre più il suo gruppo, ricostruendo un team simile a quello che costruì il Macintosh, ma senza gli errori di gioventù di allora.
Il primo grande interprete del suo pensiero è stato sicuramente il designer inglese Jonathan Ive con il quale nacque la coppia perfetta, dal primo iMac azzurro all’iPad e al MacBook Air.
Questa squadra tradusse le visioni di Jobs sul futuro in presente.
E arriviamo al punto: quello che mi ha sempre attratto di Apple è la meraviglia che mi coglieva quando Jobs svelava, un pezzo alla volta, la sua precisa visione del futuro.
E quando egli concluse la sua iperbole con la rivelazione dell’iPad che sancì la fine dell’epoca del Personal Computer e del compimento delle tecnologie al servizio di quelle che chiamava le “arti liberali” ma che volevano dire la creatività e l’espansione della mente, assieme alla malinconia per la fine di una grande avventura c’era la meraviglia, appunto, di aver potuto scorgere il compimento del suo disegno.
Apple per me è stata la visione del futuro delle tecnologie a misura d’uomo (iniziata con Doug Engelbart, Alan Kay e tutto il gruppo Xerox), la dimostrazione che tutto questo poteva essere semplice come l’uovo di Colombo e che tante grandi imprese con in mano tutte le risorse non riuscivano a vedere altro che un modo per schiavizzare le persone trasformandole in automi.
L’ultima cosa che mi ha coinvolto in Apple è stato il modo geniale di organizzare il lavoro e l’innovazione; la capacità che non ha negato a nessuno di imparare come si fa a cambiare il mondo, anche se nessuno è stato al livello della loro perfezione.
Ma Jobs avrebbe fatto un cattivo lavoro se fosse finito con Apple: come avrebbe potuto mostrare il mondo del dopo-PC se Apple fosse stata la sola a seguirlo.
Oggi le facce del diamante Apple si sono frammentate e sono state raccolte da tante imprese: Google, Facebook, Samsung, ma soprattutto con grande stupore (soprattutto grazie all’apporto del poi dimissionario Ray Ozzie) sembra che ancora una volta Microsoft abbia imparato la lezione di Jobs e questa volta si direbbe proprio bene con Windows Phone e con il prossimo Windows 8.
Assisto agli ultimi raggi che risplendono dall’eredità di Steve, come questo di un mondo di autori autoproduttori e sul serio (non come le tante buone idee senza integrazione degli esordi dell’autopubblicazione) e mi dispiace che una società così forte si attacchi alla proprietà del testo. Nonostante errori come questi continuo a guardare il futuro attraverso il lavoro del gruppo Apple, ma osservo anche quelli - non moltissimi - che proseguono su quel solco.
Al momento è impossibile prescindere da Apple per guardare a quello che sarà il rapporto fra le persone e le tecnologie creative e confidenziali.
Tuttavia, grazie al loro lavoro, la forbice fra la visione e la vista, fra il disegno del futuro e l’uso del presente è decisamente prossima all’incrocio e chissà che non nasca qualcuno che, magari usando anche questi mezzi, mostri il superamento della società capitalistica occidentale che a detta di tutti è arrivata al capolinea.
È certo che le tecnologie sociali (come il telelavoro o la condivisione) sono un passo obbligato per arrivare a questa meta. Tuttavia questo dovrebbe prevedere un ritorno al tribale, ai potlac, al baratto a tutto quello che è open, dal software ai contenuti, ma questo non avverrà mai fino a che ci saranno persone che realizzano grandi ricchezze anche tramite lo sfruttamento della generosità e del disinteresse.
Questa è però storia di altri. Per ora spero di avere solamente fatto capire perché il mio verso Apple non è tecno-fanatismo e neppure brand-fanatismo, ma casomai “visio-dipendenza”.
11:27PM | URL: http://tmblr.co/Z78mDyFMYXnK
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