12 giugno 2010

Un punto di vista della formazione alla sicurezza

Legge 626, normative, personale informato, avvertito, esperto…


Un'approccio alla sicurezza che non ha spostato di molto i risultati. Nelle grandi imprese il risultato è consistito nel diffondere la consapevolezza delle conseguenze derivanti dall'inosservanza delle norme. Nelle altre il suggerimento riguardo a come evitare i controlli.


La maggior parte dei manager e degli imprenditori non sono affatto insensibili al problema. La via praticata, ovvero quella della minaccia, della paura, della colpa… ha reso gradualmente tediosa, odiosa, ossessionante la tematica della sicurezza. Inoltre questa formazione costituisce un apparato di profezie che si auto-determinano. Come dire che fa più danni ascoltare e dare troppo peso a queste pratiche di colpa, perdono e salvezza escatologica, che non evitare di farla affidandoci al buon senso e al piacere del proprio lavoro.
1) Occorre ancorarla a sensazioni positive. La sicurezza è calda, comoda, bella… soprattutto piacevole, persino sexy!
2) Fare attenzione a distinguere e separare la questione della sicurezza da quella del rischio.
3) Assumere che la salute e la protezione dei colleghi sia una priorità di tutti i dipendenti e dell'azienda intesa come complesso delle persone che ci vivono dentro in modo da evitare la mendace equivalenza fra direzione e azienda.
4) Sviluppare una cultura della fiducia accettando la messa in discussione delle scelte e del gioco delle parti, perché non si può chiedere fiducia senza rendersi completamente disponibili alla trasparenza.
5) Definire l'insieme su cui si intende intervenire: quando le dimensioni dell'azienda sono troppo ampie si rende impossibile trovare qualcuno che si gioca la faccia, ovvero che risponda in prima persona, invece dei referenti locali, dei sindacalisti locali, dei coordinatori locali… consentono di sviluppare modelli di trasparenza percepibili e individuare interlocutori attendibili e sinceri.
I rischi sono diversi - i trattamenti pure
Trattare i rischi e quindi gli incidenti come se fosse sempre la stressa materia, ovvero il mancato rispetto delle norme, porta a errori di comprensione degli eventi e, ancor peggio, ad approcci al cambiamento deformanti. Può essere interessante usare come modello di riferimento la teoria dei giochi di Callois.
L'etiologia colposa: quando non si conoscono o non si seguono le regole per scelte individuali e quindi per una decisione specifica personale (a monte o a valle dell'intervento) tale da individuare e focalizzare la causa con facilità. L'intervento in questo caso sarà di tipo informativo, didascalico, pedagogico… l'intervento tradizionale, insomma.
L'etiologia antropologica. Un modo di lavorare è immerso nelle regole di un gruppo (ad esempio una squadra operativa) ed esiste un'intesa non formalizzata del modo di lavorare che è fondante del patrimonio relazionale-istituzionale di quel contesto culturale (gli antropologi del centro del secolo scorso avevano compreso che senza aspetti rituali, ad esempio a chi devono andare in spose le figlie, la cultura su cui si fondano le regole delle relazioni e dei rapporti di potere rischia di distruggerai e con essa anche la sopravvivenza de gruppo stesso). In questo caso l'approccio sarà di tipo sistemico con forte enfasi sugli aspetti comunicativi e relazionali.
Il terzo incidente è quello che spesso ha gli esiti peggiori: l'infortunato muore o si fa parecchi male. Si tratta generalmente di lavoratori dalla spiccata preparazione professionale che improvvisamente mettono in atto una gesto, una manovra, una superficialità inattese dal ruolo che poi vengono cancellate dalla mente come se in quel momento non era lui ad agire. In queste situazioni l'origine del difetto non è tanto nell'infortunato o nella cultura del clan con cui lavora.
Il terzo tipo ha una similitudine con delle dorme pre-psicotiche una specie di risucchio nel vortice del rischio e dell'audacia (l'ultimo livello della teoria dei giochi).
In genere l'infortunato dopo si domanderà che cosa sia accaduto e tenderà a ritenere di non esser stato lui provocare l'incidente.
Per questo caso occorre una ristrutturazione di visione e un lavoro sugli stati di conoscenza.
In questi casi è importante fare riferimento alla risorsa mentale della squadra o della coppia come campo mentale omogeneo e comune (K. Lewin; una sorta di multi-emisfero o di intelligenza comune (G. Bateson, P. Levy).


Ho avuto ultimamente due occasioni di introdurre e perfezionare degli interventi su queste abitudini e gli esiti sono stati di grande portata.

Nessun commento:

Posta un commento