16 agosto 2007

Confidenze abbastanza intime (NMG 004 - 1-01-2005)

Come i personaggi di un film recente, anche il manager può avere bisogno di un rapporto confidenziale con uno sconosciuto partecipe


William Faber è un fiscalista. Una vita monotona dedicata al lavoro e al superamento della separazione dalla moglie, fino a che Anna non sbaglia porta e si rivolge a lui convinta di avere a che fare con lo psicoterapista che abita al lato opposto del corridoio. Il film di Leconte porta alle estreme conseguenze questa relazione basata sull’anonimato che eccita e protegge Anna. William invece è travolto da problemi etici che si fanno vieppiù personali a mano a mano che il rapporto procede, senza che le competenze professionali possano confortarlo in alcun modo.

In margine alla storia raccontata dal film Confidenze troppo intime si aprono delle parentesi che coinvolgono altre figure. Una di queste è proprio lo psicoterapista che, dopo aver perso la potenziale cliente, si trova a farsi pagare la supervisione da questo improvvisato consulente, psicologo improvvisato.

Proprio questa è la parte del film che interessa al personal coach. Il ruolo del fiscalista Luchini assomiglia così tanto a quello di molti manager e professionisti. La loro carriera prosegue in maniera soddisfacentemente indolore fino a che non si scoprono a ricoprire un ruolo improprio, quello del famoso principio di Peter, secondo il quale in azienda si fa carriera fino a che non sia arriva al punto di massima incompetenza. Al che ci si ferma e a volte si va in crisi.

Proprio come Luchini viene preso allo sbaraglio dalla conturbante Bonnaire, sedotto dall’ambiguità stessa della situazione, per nulla disposto ad arretrare di fronte alla sfida che però lo trova del tutto impreparato, anche il nostro responsabile o professionista, dopo aver trascorso una vita alla rassicurante ombra delle proprie competenze tecnico-professionali, si trova sguarnito a gestire una relazione interpersonale coinvolgente, ambigua e maledettamente non prevista dai manuali; deve confrontarsi con scelte deontologiche implicanti, dove il bianco non è bianco e il nero non è nero; deve pensare a strategie paradossali che mettono a rischio il destino della sua struttura, delle persone e anche di se stesso.

A questo punto, nei panni del commercialista, potrebbe tirarsi indietro e rinunciare al “grande gioco”: “In fondo chi me lo fa fare?” Ma sarebbe un fallimento.
Può anche proseguire nella dissimulazione: “Cos’avrebbe lo psicanalista che io non ho?” Ma il disagio e il peso di un ruolo imbarazzante graverebbe sulla sua salute e anche sul suo equilibrio.

È incredibile, ma spesso inevitabile: tocca al fiscalista, consulente egli stesso, rivolgersi a quello psichiatra e pagarne i servigi. Non dovrebbe essere strano per lui, visto che i suoi clienti fanno lo stesso. Tuttavia il suo rapporto professionale è lineare, comprensibile, pressocché obbligato perché dettato dalle regole della realtà, della legge, degli affari. Scegliersi il confidente invece è strano, non appartiene al suo copione: che se ne dovrebbe fare un uomo d’affari di uno psicologo? Non sono tanto i soldi che pesano, è quella frequentazione da nascondere, imbarazzante, addirittura vergognosa.

Eppure non ha nessun altra idea. Ha proprio bisogno di un aiuto, di confidarsi anche lui con qualcuno che non faccia parte del gioco stesso. Ha bisogno di un ascolto non coinvolto, ma partecipe, di uno sguardo distante per uscire dall’eccessivo coinvolgimento.

Sono poche parole, quelle che gli dice lo psichiatra, ma legano con un filo rosso i dubbi che il fiscalista aveva già elaborato. Dopo quei pochi incontri proseguirà da solo. Capirà che non può fare a meno di quelle confidenze con Anna. Il suo lavoro, la separazione, la solitudine stessa passano in secondo piano. Il senso della sua vita diventa quel ruolo improprio che sostiene senza strumentazione adeguata, scalzo, ma confortato dal sentimento di amore, per lei, certo, ma ancor più per il suo stesso strano destino: così umano, fragile, ma anche tenero.

Per un obiettivo come quello di “diventare ciò sei” vale la pena di giocarsi tutto, soprattutto le finte sicurezze di ieri!
...questo, almeno, sembra essere il messaggio finale del film, non si sa da quanti condiviso.

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