L'uomo-idolo dei nostri tempi, il più mitizzato, amato e odiato del Pianeta, Bill Gates, canzona la saggezza, mettendo a nudo il suo essere vulnerabilmente umano
Mi è comparso in sordina, durante uno svogliato zapping serotino, ma tutto subito non ci stava male fra le scatole di vacua prosopopea bonolisiana e le piroette di country-karate di un ranger confederato.
Come un'apparizione si era materializzato sulla window del mio schermo televisivo dal suo Redmond dei cieli, così, come se niente fosse. Nella tradizione della migliore teofania, il divino ti appare come, dove e quando meno te l'aspetti e questo minus quam era una cadrega da ufficio, esposto, senza apparenti difese, a sostenere il ginocchio accavallato a mo' di esaminando al cospetto di un Fazio furbescamente servile. Gli occhi sottili e freddamente chiari mal celavano il sospetto che ogni domanda rivoltagli suscitava, mentre le labbra strette sembravano tenere a freno quello che gli veniva da dire per ricondurlo sempre alla brochure dell'uomo-corporate, al santino dell'unto da Jhwh, il miracolo fatto carne, il messia del nuovo mondo che l'intervistatore non faceva nulla per minimizzare, coprendolo delle ovvietà che qualsiasi uomo della strada avrebbe espresso.
A cominciare dal Codice Hammer - un affare da esposizioni - per passare al tempo libero trascorso in quel "far l'amore con la persona che si ama di più" che, diversamente - ma non troppo - da Woody Allen, nel suo caso declina in "lavoro".
E, a parte il lavoro, a cosa dedica il suo tempo? Come le aspiranti "miss qualcheluogo" sono solite dire "la pace nel mondo", lui, meno politicizzato, declina in ''la lotta alle malattie".
Quale lavoro immagina per i suoi figli? Minimizzando, perché i figli di un messia sono quasi uno scherzo retorico, un ossimoro, spiega che possono fare quello che vogliono - tanto non ne avranno mica bisogno - anche la filosofia o le arti, se ritengono.
Come un ben più noto collega di miracoli, anche in lui la carne o il sesso non sembra possano aver avuto parte nel concepimento.
La genesi delle sue fortune? Aver avuto buoni genitori che hanno creduto in lui: che bravo figliolo a stelle e strisce!
Il resto è lavoro e amore per il lavoro vissuto sul campo di battaglia, come Bonaparte, a compilare codice fra i soldati semplici. E noi non possiamo non credere! Ciecamente. Passionalmente.
Poche sorprese e, alla fine, nessuna scoperta. Tutto sommato un dio banale, ma pur sempre un dio: non deve stupire la sua imperscrutabilità. Personalmente me lo immaginavo più basso, anche se l'affiancamento a Fazio certo aiuta.
Nessun messaggio inatteso. L'alfa e l'omega del creato si condensa in due parole: Tecnologia & Medicina. Nessuno spazio per Anima o Spirito da questo dio pragmatico in sentore di crepuscolo.
L'unico guizzo arriva quando l'anchor-man insiste su una domanda tesa a fargli dire se per lui le scienze umanistiche e in particolare la filosofia hanno un valore. Dopo avere ripetuto che tutto può avere valore dopo la tecnologia e la medicina si stizzisce quando Fazio suppone che, a parte la cura medica che arriva a posteriori, forse l'esercizio del pensiero e della saggezza che dovrebbero provenire dalla migliore filosofia potrebbe prevenire i mali e avere un'utilità pari se non maggiore dell'intervento tecnico del medico.
È qui che lo sguardo freddo del dio minore ha brillato per la prima volta di un istinto personale (per quanto possa esservi di personale in un dio), di una forma quasi astratta di passione, come un uragano racchiuso nella diga di una nuvola si lascia immaginare per qualche breve e lontano lampo che la circonfonda. C'era dell'ironia sprezzante nei suoi occhi quando dopo qualche secondo di silenzio di quelli pesanti ha risposto tuonando dimesso un "Ah sì? E come?" di sfida al suo temerario - forse - ma dinanzi a lui impotente - certo - interlocutore, immediatamente costretto a tacere pieno di vergogna.
Eppure Fazio c'è riuscito: ha prodotto un piccolo squarcio nella brochure e ha mostrato uno scampolo dell'anima del nostro dio, sufficiente a lasciare immaginare le scarse dimensioni del restante.
Quante implicazioni in quel dileggio verso il pensiero e la saggezza!
Quanto fintamente ingenua la falsità. Certo, difficilmente un dio statunitense avrebbe potuto leggere Nemesi Medica di Illich o La Nascita della Clinica di Foucault, ma anche se così fosse stato avrebbe considerato quei libri fuorvianti. La terapia, come la tecnologia, sono indispensabili di per sé. Con lo sguardo rivolto al futuro di chi ne può scrivere, perché da dio, per quanto minore, gli è permesso di scrutarlo, aborre chi cerca nel passato le spiegazioni. La dimensione stessa della cura, quella amorevole che la pia infermiera rivolge al malato proprio come quella della madre verso il figlio non può che essere estranea alla sua logica centrata sull'intervento, sull'applicazione e sulla procedura, qualunque sia il tipo di tecnica che la esercita, informatica o medica.
E quanto falso è l'ecumenismo di questo animo benefattore, intento a lasciarsi credere di potere/volere migliorare la salute del mondo intero dimenticandosi che, proprio come l'informatica delle grandi compagnie, anche la medicina guarisce solo chi paga, specie negli Stati che fanno dell'abolizione di quel sostegno sociale costituito dalle tasse la propria bandiera per una svolta epocale.
Quelli che non hanno da pagare possono al più ambire a fare da cavie per le case farmaceutiche come capita ogni giorno nel buio del continente nero e com'era una volta fra gli immigrati europei raccontati in Faccia da turco. In quei posti neppure le nuove tecnologie arrivano; tutt'al più, dei volontari scappati da quel mondo di dei minori perseguendo in ideale etico, morale, ideologico, attento al presente reale della carne e dello spirito e non al fittizio sintetico futuro delle tecnologie.
Non è, infatti, certo la fede nella medicina che fa mettere in ballo la propria vita ai medici senza frontiere. Né la fede nella tecnologia è la leva che spinge tanti tecnici a partire per i paesi indebitati con la banca mondiale per consentire loro una vita decente, costruendo ospedali assieme a dighe e scuole.
Nessuno pretende che un dio, per quanto minore, si vada a sporcare le mani in prima persona, quando la sola polvere di una delle sue pepite potrebbe comperare quegli interi stati. Ma un dio che irride gli ideali dello spirito, che si fa beffe del pensiero, che canzona la saggezza, che altro è se non un "dio delle cose", un "dio del mondo", un piccolo-"Grande Seduttore"?
Nella migliore tradizione della sua teologia non abbiamo mai nominato la nostra apparizione, perché pronunciarne il nome invano è peccato.
Possiamo però dire che fra Ikea e Mediaset è l'essenza stessa dei valori scaduti della nostra infanzia innocente, uno stato, il nostro, che è come un "semplice", un debole di mente che si trovi alla consolle di comando di un mondo decadente dove, come nell'antica Roma, si crede al dio minore più utile a seconda del caso.
Una "Imitazione di dio" in finestra provvisoria a ponte fra gli dei importanti, i Grandi Dei, e i nuovi barbari, continuando a sperare nell'avvento dell'ultrauomo di cui parlava lo Zarathustra nietzschiano, perché questi fauni in decadenza sono ancora "umani", troppo umani.
Forse è proprio nel timore di questo uomo dei filosofi la ragione per cui il nostro dio minore delle tecniche ha tanto in uggia il pensiero.
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