Come fare del proprio tempo inutilizzato il nostro principale alleato
Nonostante si tenda a sostenere fino alla noia che la risorsa meno disponibile sul lavoro, e di conseguenza anche nella vita privata, sia il tempo, spesso non ci si rende conto fino a che punto questa sia una superstizione.
Il tempo è un bene che viene sempre usato e questo accade spesso nei modi meno nobili. Non è raro che ci si trovi ad “ammazzare il tempo”, nonostante si affermi che la noia è una condizione sconosciuta. Dal buon Sartre ad oggi quella della noia è una condizione esistenziale soggiacente alla nostra vita, ancor più incombente del timore della morte.
Così come il drammaturgo austriaco Thomas Bernard affermava che il lavoro è una terapia per l’uomo che più di ogni altra cosa teme il proprio tempo libero al punto da farsi coglere da cefalee ricorrenti nei fine settimana (e non sono poche le persone che stanno male solo nei momenti di libertà), qui affermiamo che molta della conclamata mancanza di tempo corrisponde a un manifesto dell’esorcizzazione della noia. Il tempo privo di occupazioni che ci rende fatalmente inclini ad avvicinarsi a noi stessi e a renderci consapevoli della vita che passa e dell’età, fa sì che ci domandiamo che cosa abbiamo combinato della nostra vita, apre un varco negli anni e ci porta a renderci conto che era solo ieri che eravamo adolescenti e che quello iato temporale ci consegna più vecchi come se ci fossimo appisolati per un attimo svegliandoci venti, trenta o più anni dopo.
Ricordiamo “quelle domeniche da solo in un cortile a passeggiar” e non possiamo spesso non concludere che, nel momento in cui non siamo presi dal tourbillon degli impegni che quasi automaticamente hanno preso il controllo della nostra giornata, “ora mi annoio più di allora: neanche un prete per chiacchierar”.
Eppure il lavoro non è il solo esorcismo alla noia. Occorre comprendere che questa condizione è tale nel momento in cui il tempo prende il sopravvento sul progetto. Non si tratta necessariamente di avere qualcosa da agire, ma piuttosto di poter qualificare soddisfacentemente i propri momenti di vita: infatti un periodo di riposo non è né un momento di attività, ma neppure una resa alla noia, tutt’altro: si tratta di uno dei modi più gradevoli di utilizzare il proprio tempo
Allora, prima di ritenere di avere i minuti contati e di non disporre di tempo sufficiente per fare ciò che desideriamo dovremmo procedere in maniera sperimentale.
La prima cosa da fare consiste nel verificare, misurandolo, il proprio “fattore T”.
Dotatevi di un’agenda, scegliete un po’ voi, a seconda delle inclinazioni, se elettronica o cartacea. Il fatto è che deve consentirvi di inserire il maggior numero di informazioni possibili potendo comunque averla sottomano in ogni momento.
Se ci pensate, le agende generalmente servono per preventivare il tempo, riservandone dei lassi per garantire la riuscita dei propri appuntamenti. Ben di rado, per non dire mai, vengono utilizzate per consuntivare il tempo già speso nelle proprie attività. Eppure si tratta di uno scopo non meno importante.
Va però compiuto correttamente. L’uso del nostro tempo non va misurato a grosse tranche, come se si trattasse di un bene all’ammasso. Se veramente lo riteniamo prezioso, dobbiamo centellinarlo e misurarne gli istanti. Pensate quanto siano stati importanti dei momenti brevissimi, come il colpo di fulmine in cui vi siete accorti di lui o di lei. Certo, non tutti gli istanti hanno questo valore, ma come viviamo il nostro tempo ha questa caratteristica: la possibilità di vivere come vuoti lunghi lassi che quindi scompaiono dalla nostra stessa memoria, nonostante siano durati giornate intere; oppure dilatare enormemente brevi momenti che assumono estensione e intensità del valore di mesi.
Già, perché la consapevolezza del tempo non è così regolare: ci sono degli attimi in cui, per le ragioni più disparate, siamo convinti che il tempo passi troppo lentamente. In altri, in cui non stiamo facendo nulla di particolare, magari navighiamo da un sito all’altro, siamo distratti al telefono mentre un collega ci sodomizza con discorsi del tutto irrilevanti e non abbiamo la forza o la motivazione sufficiente per interromperlo, ci accorgiamo solo dopo esserci ripresi che sono trascorsi un’infinità di minuti e che avremmo potuto o dovuto fare altro.
Un altro fenomeno che caratterizza la nostra vita umana è l’incapacità di renderci conto degli eventi realmente significativi. Siamo talmente presi dall’occupare il tempo con attività tendenzialmente routinarie che lasciamo sfuggire diverse occasioni irripetibili senza che neppure ce ne si accorga. Per accorgersi di quello che conta bisogna essere in grado di lasciarsi sorprendere ancora come bambini. Occorre riuscire a mantenere quello sguardo incantato che non ci fa anticipare gli eventi con categorie di spiegazione vecchie: si dev’essere in grado di guardare ai fatti della vita immaginando che ci sia del nuovo da scoprire in ogni cosa. Altrimenti si finisce per incappare in quel fenomeno che si trova bene descritto al termine del film “Il the nel deserto”, quando l’autore sostiene che nella nostra vita, quella luna che sta sopra la testa siamo convinti di avercela avuta sempre e consapevolmente con noi, mentre in realtà non sono più di una ventina le volte in cui ci siamo fermati a guardarla intenzionalmente, accorgendoci di lei e interessandocene, lasciandoci prendere da lei in maniera totale. Così sfuggono la maggior parte degli eventi della nostra vita, in maniera inconsapevole, come alberi troppo vicini al finestrino di un treno che viaggia troppo veloce con noi dentro ad annoiarci.
Tuttavia, non sempre c’è di che essere interessati, suggestionati, affascinati o coinvolti. O forse solamente non siamo veramente in grado di rendercene conto. Che fare allora? Che cosa fare quando tutto questo avviene sul lavoro? Se capita a casa il problema non si pone: c’è un buon libro, la tele, il cuscino, il gatto, oppure si può uscire. Ma sul lavoro, dove non c’è tempo, come spendere il tempo? Dopo esserci resi conto, agenda alla mano, che abbiamo molto tempo a disposizione che non usiamo, mettiamo in atto qualche sano proposito.
Innanzitutto, non facciamoci cogliere da sensi di colpa o dalla falsa coscienza, non pensiamo: “posso lavorare di più”. Il lavoro ha una sua percentuale nel tempo che siamo in grado di mettere a disposizione: se quei momenti liberi non li impegniamo al lavoro è quasi sicuramente perché è intervenuto un meccanismo di regolazione omeostatico che ha sospeso il tempo lavorativo per far rispettare gli equilibri personali. Forzarlo non farebbe del bene né a noi stessi, né al lavoro.
A questo punto, potremmo leggere un buon libro o coccolare il gatto, ma l’ambiente non si presta. Potremmo invece fare alcune di quelle attività per cui non siamo mai riusciti a trovare il tempo necessario che non chiedono altro che un luogo e la tranquillità necessaria.
L’attività più importante è l’allenamento alla consapevolezza di modo da poter rendersi conto di quello che c’è di nuovo nei fatti che ci avvengono, guardandoli con occhi rapiti di bimbo. Per fare questo occorre allenarsi a vedere e sentire quello che avviene nell’ambiente circostante senza giudicarlo, senza lasciare intervenire la funzione critica razionale. Sentire i discorsi come suoni puri, vedere le immagini come luci e colori e così via.
Un altro esercizio è l’osservazione della propria respirazione e, tramite questa, la consapevolezza di se stessi nel luogo in cui ci si sta trovando: il “qui e ora”. Esercizi di respirazione consapevole è possibile farli in ogni luogo, anche in quello più caotico.
Sarebbe un ottimo obiettivo riuscire ad esercitarsi nella concentrazione e nella meditazione. Simili esercizi alla lunga conducono a un funzionamento automatico, grazie al quale, proprio come per certe induzioni ipnotiche immediate si può arrivare a rispondere simultaneamente allo scattare di quei micro-intervalli di tempo, attivandosi con comportamenti utili per migliorare se stessi. Migliorare se stessi nella vita funziona anche sul lavoro, perché se riusciamo, ad esempio, a guardare ai fatti senza pregiudizi, potremmo riuscire a scoprire del nuovo nell’attività di tutti i giorni o a comprendere veramente quel cliente senza assimilarlo agli altri con ragionamenti statistici che lui magari non apprezzerebbe.
Riusciremmo fra l’altro a non chiedere di più o di meno a quello che, dopotutto, è poi solo un lavoro come un altro.
Il tempo è un bene che viene sempre usato e questo accade spesso nei modi meno nobili. Non è raro che ci si trovi ad “ammazzare il tempo”, nonostante si affermi che la noia è una condizione sconosciuta. Dal buon Sartre ad oggi quella della noia è una condizione esistenziale soggiacente alla nostra vita, ancor più incombente del timore della morte.
Così come il drammaturgo austriaco Thomas Bernard affermava che il lavoro è una terapia per l’uomo che più di ogni altra cosa teme il proprio tempo libero al punto da farsi coglere da cefalee ricorrenti nei fine settimana (e non sono poche le persone che stanno male solo nei momenti di libertà), qui affermiamo che molta della conclamata mancanza di tempo corrisponde a un manifesto dell’esorcizzazione della noia. Il tempo privo di occupazioni che ci rende fatalmente inclini ad avvicinarsi a noi stessi e a renderci consapevoli della vita che passa e dell’età, fa sì che ci domandiamo che cosa abbiamo combinato della nostra vita, apre un varco negli anni e ci porta a renderci conto che era solo ieri che eravamo adolescenti e che quello iato temporale ci consegna più vecchi come se ci fossimo appisolati per un attimo svegliandoci venti, trenta o più anni dopo.
Ricordiamo “quelle domeniche da solo in un cortile a passeggiar” e non possiamo spesso non concludere che, nel momento in cui non siamo presi dal tourbillon degli impegni che quasi automaticamente hanno preso il controllo della nostra giornata, “ora mi annoio più di allora: neanche un prete per chiacchierar”.
Eppure il lavoro non è il solo esorcismo alla noia. Occorre comprendere che questa condizione è tale nel momento in cui il tempo prende il sopravvento sul progetto. Non si tratta necessariamente di avere qualcosa da agire, ma piuttosto di poter qualificare soddisfacentemente i propri momenti di vita: infatti un periodo di riposo non è né un momento di attività, ma neppure una resa alla noia, tutt’altro: si tratta di uno dei modi più gradevoli di utilizzare il proprio tempo
Allora, prima di ritenere di avere i minuti contati e di non disporre di tempo sufficiente per fare ciò che desideriamo dovremmo procedere in maniera sperimentale.
La prima cosa da fare consiste nel verificare, misurandolo, il proprio “fattore T”.
Dotatevi di un’agenda, scegliete un po’ voi, a seconda delle inclinazioni, se elettronica o cartacea. Il fatto è che deve consentirvi di inserire il maggior numero di informazioni possibili potendo comunque averla sottomano in ogni momento.
Se ci pensate, le agende generalmente servono per preventivare il tempo, riservandone dei lassi per garantire la riuscita dei propri appuntamenti. Ben di rado, per non dire mai, vengono utilizzate per consuntivare il tempo già speso nelle proprie attività. Eppure si tratta di uno scopo non meno importante.
Va però compiuto correttamente. L’uso del nostro tempo non va misurato a grosse tranche, come se si trattasse di un bene all’ammasso. Se veramente lo riteniamo prezioso, dobbiamo centellinarlo e misurarne gli istanti. Pensate quanto siano stati importanti dei momenti brevissimi, come il colpo di fulmine in cui vi siete accorti di lui o di lei. Certo, non tutti gli istanti hanno questo valore, ma come viviamo il nostro tempo ha questa caratteristica: la possibilità di vivere come vuoti lunghi lassi che quindi scompaiono dalla nostra stessa memoria, nonostante siano durati giornate intere; oppure dilatare enormemente brevi momenti che assumono estensione e intensità del valore di mesi.
Già, perché la consapevolezza del tempo non è così regolare: ci sono degli attimi in cui, per le ragioni più disparate, siamo convinti che il tempo passi troppo lentamente. In altri, in cui non stiamo facendo nulla di particolare, magari navighiamo da un sito all’altro, siamo distratti al telefono mentre un collega ci sodomizza con discorsi del tutto irrilevanti e non abbiamo la forza o la motivazione sufficiente per interromperlo, ci accorgiamo solo dopo esserci ripresi che sono trascorsi un’infinità di minuti e che avremmo potuto o dovuto fare altro.
Un altro fenomeno che caratterizza la nostra vita umana è l’incapacità di renderci conto degli eventi realmente significativi. Siamo talmente presi dall’occupare il tempo con attività tendenzialmente routinarie che lasciamo sfuggire diverse occasioni irripetibili senza che neppure ce ne si accorga. Per accorgersi di quello che conta bisogna essere in grado di lasciarsi sorprendere ancora come bambini. Occorre riuscire a mantenere quello sguardo incantato che non ci fa anticipare gli eventi con categorie di spiegazione vecchie: si dev’essere in grado di guardare ai fatti della vita immaginando che ci sia del nuovo da scoprire in ogni cosa. Altrimenti si finisce per incappare in quel fenomeno che si trova bene descritto al termine del film “Il the nel deserto”, quando l’autore sostiene che nella nostra vita, quella luna che sta sopra la testa siamo convinti di avercela avuta sempre e consapevolmente con noi, mentre in realtà non sono più di una ventina le volte in cui ci siamo fermati a guardarla intenzionalmente, accorgendoci di lei e interessandocene, lasciandoci prendere da lei in maniera totale. Così sfuggono la maggior parte degli eventi della nostra vita, in maniera inconsapevole, come alberi troppo vicini al finestrino di un treno che viaggia troppo veloce con noi dentro ad annoiarci.
Tuttavia, non sempre c’è di che essere interessati, suggestionati, affascinati o coinvolti. O forse solamente non siamo veramente in grado di rendercene conto. Che fare allora? Che cosa fare quando tutto questo avviene sul lavoro? Se capita a casa il problema non si pone: c’è un buon libro, la tele, il cuscino, il gatto, oppure si può uscire. Ma sul lavoro, dove non c’è tempo, come spendere il tempo? Dopo esserci resi conto, agenda alla mano, che abbiamo molto tempo a disposizione che non usiamo, mettiamo in atto qualche sano proposito.
Innanzitutto, non facciamoci cogliere da sensi di colpa o dalla falsa coscienza, non pensiamo: “posso lavorare di più”. Il lavoro ha una sua percentuale nel tempo che siamo in grado di mettere a disposizione: se quei momenti liberi non li impegniamo al lavoro è quasi sicuramente perché è intervenuto un meccanismo di regolazione omeostatico che ha sospeso il tempo lavorativo per far rispettare gli equilibri personali. Forzarlo non farebbe del bene né a noi stessi, né al lavoro.
A questo punto, potremmo leggere un buon libro o coccolare il gatto, ma l’ambiente non si presta. Potremmo invece fare alcune di quelle attività per cui non siamo mai riusciti a trovare il tempo necessario che non chiedono altro che un luogo e la tranquillità necessaria.
L’attività più importante è l’allenamento alla consapevolezza di modo da poter rendersi conto di quello che c’è di nuovo nei fatti che ci avvengono, guardandoli con occhi rapiti di bimbo. Per fare questo occorre allenarsi a vedere e sentire quello che avviene nell’ambiente circostante senza giudicarlo, senza lasciare intervenire la funzione critica razionale. Sentire i discorsi come suoni puri, vedere le immagini come luci e colori e così via.
Un altro esercizio è l’osservazione della propria respirazione e, tramite questa, la consapevolezza di se stessi nel luogo in cui ci si sta trovando: il “qui e ora”. Esercizi di respirazione consapevole è possibile farli in ogni luogo, anche in quello più caotico.
Sarebbe un ottimo obiettivo riuscire ad esercitarsi nella concentrazione e nella meditazione. Simili esercizi alla lunga conducono a un funzionamento automatico, grazie al quale, proprio come per certe induzioni ipnotiche immediate si può arrivare a rispondere simultaneamente allo scattare di quei micro-intervalli di tempo, attivandosi con comportamenti utili per migliorare se stessi. Migliorare se stessi nella vita funziona anche sul lavoro, perché se riusciamo, ad esempio, a guardare ai fatti senza pregiudizi, potremmo riuscire a scoprire del nuovo nell’attività di tutti i giorni o a comprendere veramente quel cliente senza assimilarlo agli altri con ragionamenti statistici che lui magari non apprezzerebbe.
Riusciremmo fra l’altro a non chiedere di più o di meno a quello che, dopotutto, è poi solo un lavoro come un altro.
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