29 settembre 2005

La Comunità è un'isola (di un arcipelago)

Chi fino a ieri parlava di e-learning viene sempre più spesso colto oggi a parlare di Communities of practice.
Saremmo portati a pensare che si tratti dell'ennesima questione di mode terminologiche, se non fosse un po' troppo sbrigativo.
Le comunità professionali esistono da ben prima che ci fosse l'e-learning e non hanno neppure subìto un legame con informatica e Internet tale da collegarle al fenomeno della new economy.
In realtà si può fare comunità di pratiche anche senza accendere nessuna macchina, anche solo trovandosi al caffé.
In pratica però i tempi hanno imposto l'uso di piattaforme e di dispositivi elettronici i più disparati. Le comunità si innestano negli e-portal, si connettono con i cellulari, con gli SMS, non disdegnano gli MMS e il VoIP, oltre a frequentare ovviamente focus, chat e tutte le "diavolerie" neeo-tecnologiche.
(...)
Nelle comunità ciò che conta veramente è l’oggi: il domani è solo la direzione dell’oggi e il passato, la storia, nient’altro che ciò che abbiamo lasciato, il luogo da cui ci stiamo allontanando, quanto vi è di non più valido, di non più utile, se non per ciò che è già entrato a far parte dei nostri comportamenti. La storia del gruppo ha valore proprio in funzione di quello che il gruppo è oggi, del senso di appartenenza, della cultura che si sviluppa, dei valori che vengono trasmessi e soprattutto del peso che ha una frequentazione pluriennale assume nei confronti dei neofiti. Al di là di questo, il passato è inutile: una business community vive dell’oggi, della capacità di inventare nuovi traguardi, di cambiare linguaggi, di scoprire nuovi territori. Che cos’è, se non stupida burocrazia, la speranza di impadronirsi del sapere dei propri professionisti costringendoli a perdere il proprio tempo nel trasferire le proprie informazioni pregresse all’azienda? Si otterrebbe solo di demotivare i professionisti, che così non guarderebbero più al domani, non innoverebbero più e perderebbero ogni entusiasmo. Non serve certo conoscere le informazioni sul sapere dei venditori per passare il testimone a un altro rappresentante dal momento che quel cliente sta con voi solo grazie al rapporto che si è creato in seguito a un lungo e paziente lavoro del venditore, alle sue caratteristiche personali oltre che professionali, e ai tempi e ai luoghi che l’hanno visto nascere e crescere.
Nonostante queste osservazioni dovrebbero essere auto-evidenti, purtroppo la dura legge per la quale la madre dei cretini è sempre incinta deve mettere tutti in guardia, premunendosi con strumenti concettuali e strategici di fronte all’assalto dei normalizzatori, dei manager e delle società della grande omologazione data-centrica.
Nelle aziende oggi si sta combattendo una dura battaglia etica e culturale i cui esiti sono tutt’altro che scontati.
(...)
Sarà bene, quindi, che del knowledge o della community dei venditori si occupi un progetto apposito realizzato da persone che conoscono cultura, linguaggio ed esigenze di quella popolazione; che ne sappiano rispettare i valori e i diritti reali; che si muovano nel territorio concreto di quella comunità professionale; che bilancino gli investimenti ben conoscendo i risultati che si possono ottenere e per nessuna ragione superando i confini che ne tutelano la convenienza. Questo gruppo di coordinamento saprà bene che molto del lavoro sarà affidato ai fruitori stessi che assorbiranno buona parte dei costi dell’operazione e saranno doppiamente soddisfatti comprendendo che, proprio perché fatta da loro, la comunità è un oggetto e un progetto che appartiene loro e sarà sempre a loro disposizione.
La sostenibilità realizzativa è situata dunque nella mente locale, quella del gruppo di gestione dedicato e centrato sul cliente e quella dei destinatari, artefici e beneficiari di un’operazione che, se finirà bene, corrisponderà al vantaggio dell’organizzazione nel suo insieme, proprio in ragione dell’empowerment professionale di coloro che vi si impegnano in maniera attiva e non parassitaria.
Separare e governare, lasciando autonomia operativa e di organizzazione ai popoli governati è la lezione che i Grandi Imperi che hanno funzionato possono offrire alle grandi imprese di oggi, in bilico fra la delegittimazione, lo svuotamento delle direzioni e il decentramento della gestione, da un lato, e la rifondazione su criteri di “autogestione” dei propri collaboratori, dall’altro: imperi sconosciuti a se stessi o arcipelaghi di villaggi, uomini, donne e bambini con un interesse comune. La qualità della vita.
Estratto dell'articolo (7 pagine) appena pubblicato dalla Rivista Italiana di E-Learning (n.10 settembre-ottobre 2005).
Versione digitale (1,7 MB) cortesemente concessa dall'editore per la consultazione e di cui non è consentita la diffusione pubblica.

28 settembre 2005

NoWhere Memories

Spesso mi tocca trascurare gli appunti di Personal Coaching per mancanza di idee, assorbimento in altre attività o semplice stanchezza. Queste assenze possono dare l'idea che il diario sia stato chiuso.
Di fatto di diari ne ho aperti molti.
Alcuni sono stati effettivamente chiusi (kfore - Knowledge Convergence e NomadWare), mentre altri rimangono aperti, ma sono di fatto trascurati.
Uno di quelli a cui tengo di più è fra quelli a cui mi dedico più saltuariamente. Si chiama NoWhere Memories - Tracce sulla spiaggia dell'Anima e, come evoca il titolo, attiene a riflessioni più "interiori" o, se si preferisce, psicologiche.
Per una volta uso Personal Coaching per un advertising incrociato e spero di essere perdonato adducendone le ragioni essenzialmente sentimentali.

16 settembre 2005

Desensibilizzare è meglio che curare

Una regola da prendere sempre in considerazione, soprattutto nelle relazioni d'aiuto, è quella che spesso il problema consiste nella soluzione che è stata trovata a qualcosa che spesso un problema non è.
Ci si trova così ad affrontare problemi di natura relazionale, sessuale, lavorativa e così via senza considerare che è l'obiettivo che ci si dà a non essere corretto.

Viviamo in una società eretistica e ipertrofica. Soggetti a continue stimolazioni, viviamo ossessionati dal timore di non essere all'altezza o di non avere abbastanza. Ad esempio, indubbiamente la sessualità è una componente importante della vita, ma ne sentiamo il bisogno, più spesso vissuto come costante insoddisfazione, in funzione di una continua sollecitazione che non è una necessità autentica della nostra persona. Il più delle volte si tratta del frutto di continue sollecitazioni che ci provengono dalla strada, dalla televisione, dal costume delle persone che frequentiamo. Tutto questo perché mettere in discussione i luoghi comuni ci risulterebbe ancora più penoso che assecondarli.

La nostra vita è all'insegna di automatismi che ai nostri antenati erano pressoché sconosciuti. La vita è più semplice di come ci troviamo a viverla. Per vincere le frustrazioni del lavoro si finisce per assumersi maggiori responsabilità e per lavorare sempre di più. Eppure il lavoro ha dei costi che possono essere superiori alla retribuzione che ce ne deriva. Essere all'altezza del tenore sociale richiesto dal ruolo può essere talmente costoso che se ne sottraessimo il valore dallo stipendio scopriremmo di guadagnare meno dei nostri sottoposti. Lavorare di meno sarebbe la cura (sia per la salute che per i bilanci). Invece cerchiamo aiuto per poter vivere peggio. E il bello è che lo troviamo, anche. Psicoterapie interminabili, coaching esasperati, corsi di formazione artefatti, sessuologi ideologizzati ci aiutano a mantenere l'incubo delle nostre ossessioni.

Bisognerebbe sostituire la terapia delle nostre insoddisfazioni con una cura che ci salvi dalle assuefazioni "normali". La cura di cui la maggior parte di noi ha maggiormente bisogno è una terapia della de-sensibilizzazione. Imparare a "sentire di meno", a non reagire a qualsivoglia stimolo, a schermare i nostri sensi e la nostra coscienza dalle infinite contaminazioni dello stile di vita contemporaneo.
È difficile proporre un simile obiettivo a un cliente che si ritiene convinto della propria analisi e di una diagnosi così condivisa da quanti ha attorno. Eppure la mancanza di difese o l'uso improprio che il corpo (e la mente) di ognuno di noi ne fa sono il meccanismo che sta alla base delle patologie del secolo: virus, retro-virus e malattie auto-immunitarie.

Un modo per vivere meglio lo possiamo praticare tutti senza ricorrere a consulenti o terapisti: sottrarsi in maniera volontaria all'uso dei mezzi di sollecitazione automatica dei sensi e dei bisogni. È quasi come smettere di fumare, ma un po' più difficile, anche perché da nessuna parte si scrive: "l'auto uccide", "il televisore provoca l'alienazione", "il troppo lavoro danneggia gravemente te e chi ti sta intorno", "un certo amore crea dipendenza, non iniziare", come invece si trova su tutti i pacchetti di sigarette.

Paradossalmente è la "normalità" con cui vengono vissuti dal resto del mondo questi comportamenti che motiva la richiesta di aiuto.
D'altro canto si può a buona ragione affermare che molte delle patologie contemporanee - fisiche e psichiche - altro non sono che effetti dell'ipersensibilizzazione coattiva.
Invece di trattarli con delle cure che prendono sul serio il bisogno sarà bene smontare gli assunti, lavorare per scoprire i veri obiettivi della vita equilibrata per poi passare a studiare delle strategie e a mettere in pratica delle tattiche per desensibilizzarsi, per annullare l'automatismo dei desideri e per abbassare la soglia di reattività agli stimoli sensoriali e alle illusioni narcisistiche.

(da Cambiare.org

01 settembre 2005

Manager senza testimoni

Per massimizzare i profiti abbatendo i costi, le imprese - marcatamente quelle di grandi dimensioni - hanno trasformato la propria struttura in questo modo:
  1. Incentivando all'inverosimile i profitti di un top management sempre più ristretto con meccanismi di partecipazione esasperata agli utili aziendali (stock options)
  2. Delegando a fornitori esterni deregolamentati le attività della base (ridotta così ai minimi termini)
  3. Facendo scomparire tutto quello che stava in mezzo.

In mezzo vuol dire il livello manageriale intermedio, ma non solo.
La scomparsa del "mezzo" vuol dire anche quella dell'età di mezzo.
Assistiamo sempre più frequentemente all'ascesa di una generazione di giovani manager che, a fronte di responsabilità non da poco, vengono assunti o affittati in regime di precarietà sottopagata.
Questi neo-manager il più delle volte si trovano a camminare sul filo senza rete, senza cioé la protezione e il contributo che arriva dall'esperienza di quelle figure che sapevano che cosa vuol dire essere manager, quel che significa azienda e, nello specifico, quell'azienda.
Le sole risorse di cui dispongono sono un bagaglio formativo velleitario, scolastico oppure liofilizzato da qualche società di formazione usa e getta, quando addirittura inesistente.
Nessuna "formazione" teorica può supplire a quella che si genera nella socializzazione che trasmette la cultura professionale e d'impresa assieme a una deontologia sempre più spesso povera di fondamenti e motivazioni (imprese che praticano l'ideologia della predazione motivano lo sviluppo di generazioni di manager scaltriti nella pratica della predazione interna e del cannibalismo - après moi le deluge).

In compenso, i manager di mezzo che non sono andati in pensione anticipatamente per fare altro (lavoro o tempo libero) sono spesso accolti dalle medie imprese che hanno motivazioni di sostenibilità e di sopravvivenza e magari anche di successo.

Da tempo Peter Drucker ha previsto il superamento della grande impresa.
L'unico "mezzo" che rimane è la media impresa, presa fra Scilla e Cariddi del ricatto delle grandi corporate e delle possibilità di cartello che il mercato consente.
Accanto a forme di organizzazione innovative, in gran parte di là da venire probabilmente - eccezioni a parte - questa è una delle poche dimensioni dove esistano ancora degli spazi manageriali in cui sia ancora possibile il passaggio di testimone con la generazione di mezzo (peraltro già in via di estinzione).

L'impresa irresponsabile di Gallino

Si ricomincia.
Un anno nuovo carico di incertezze si profila costringendoci a trovare un modo per trasformare le incertezze in opportunità.
A portare avanti questa sfida erculea sono chiamati necessariamente quelli che occupano una posizione manageriale.
Nell'ultimo decennio, però, è profondamente cambiato il senso del ruolo di manager, soprattutto nelle grandi imprese.
È necessario più che mai farsi un'idea chiara dello scenario in cui si è chiamati ad opeerare.
Al di là di ottimismi o pessimismi, quello che potremmo chiamare il vate della trasformazione industriale che ancora all'inizio degli anni '80 descriveva quello che oggi abbiamo sotto gli occhi ha messo per iscritto le sue ultime riflessioni.
È un lavoro che tutti noi che abbiamo a che fare con le imprese di oggi non possiamo proprio ignorare.
Andatelo a comprare e leggetelo - costa anche poco. Ecco i dati:
Gallino L., L'impresa irresponsabile, Einaudi, Torino, 2005. Collana Gli struzzi. Pagine XX-271. Prezzo € 15,00.
(acquisti online: http://www.unilibro.it/find_buy/libro/einaudi/l_impresa_irresponsabile.asp?sku=12091607&idaff=0 - http://www.lafeltrinelli.it/istituzionale/catalogo/scheda_prodotto.aspx?i=2194289 - http://www.bol.it/libri/scheda/ea978880617537.html )
Alcune recensioni:
http://www.repubblica.it/2005/f/sezioni/spettacoli_e_cultura/libri17/libri17/libri17.html
http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=4287&numero=999
http://www.impresaprogetto.it/portal/page/categoryItem?contentId=43851
http://it.groups.yahoo.com/group/sociologiscalzi/message/28
http://www.benedettodellavedova.com/blog_archive/000628.html
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=TUTTIEDIT&TOPIC_TIPO=E&TOPIC_ID=43938
http://www.cosinrete.it/2005_08/cosinrete2542_07.htm
Articolo di Gallino sul tema:
http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/48/48A20040303.html