27 marzo 2011

Il Web 3.0 pensionerà la nostra specie

Intervistato da Jason Calacanis al Liveblogging SXSW, Tim O’Reilly ha spiegato il seguito del tormentone del Web 2.0 che, in mancanza di meglio, ha battezzato grattando il barile della sua originalità Web 3.0.

Chi ha qualche anno in più, e Tim ne ha abbastanza, dovrebbe ricordare, non solo il Web Semantico, ma anche la parabola precoce del cosiddetto M2M (che stava per la metafora del sistema di macchine a generazione autoreferenziale, machine-to-machine).

A fronte di un'intelligenza su network che, inflazionandolo, ha impoverito il valore di quello che ritenevamo più prezioso, come la comunicazione, l'informazione, la cultura, stiamo giungendo ad un'auto-generazione di referenze (i tag) che a loro volta mescolano i contenuti, confondendo le parole con le conoscenze, il consumo con l'elaborazione, la lettura con la meditazione.

Facendo eco all' Howard Rheingold di "SmartMobs" e al Don Norman de "Il computer invisibile", Tim nota come gli smartphone, la geolocalizzazione, i feed rss… stiano costruendo attorno a noi una rete neurale che vive e "pensa" al nostro fianco. Questo sta ribaltando i rapporti di forza: non è più lei che serve noi, ma siamo noi ad essere i suoi burattini, come la premonizione dei tempi mefistofelici intuiti da Rudolph Steiner un secolo fa.

Dobbiamo ricordare che Internet e il Web, qualsiasi sia il suo numero, non è né indispensabile, né invulnerabile. Pensiamo solo a quello che accadrebbe nel caso di un crash magnetico come quello ipotizzato da certi catastrofisti. Potremmo pensare che si tratti di un'eredità che la nostra specie, nella sua variante cosiddetta "occidentale", capitalistica, sovra-produttiva e consumistica, lascia alla storia. Ma Alessandria e la sua biblioteca, come forse Atlantide e la sua civiltà, sono rimaste cancellate e con esse la storia che avrebbero dovuto testimoniare. Internet, riprocessando tutto il riprocessabile, finirà come una funzione statistica per ridurre tutto ad un rumore di fondo.

Quello che dovrebbe interessarci, ma sembra che non sarà mai così, dovrebbe essere il nostro lavoro, la nostra capacità di pensare, di inventare il futuro… tutto quello che sapevamo fare prima di impigrirci nell'ultimo epifenomeno entropico della tecnologia.

Alle origini della nostra cultura vi era la trasmissione orale ed il passaggio a quella scritta veniva visto dai saggi antichi come un impoverimento, perché i Maestri non potevano trasmettere il proprio insegnamento senza la propria presenza. Questa maestria è tipica di molta formazione di tipo iniziatico, come ad esempio quella caratteristica dell'apprendimento della psicoterapia. I libri possono aiutare a ricordare quello che hai imparato, ma non insegnare. Per questo la scuola delle nostre Nazioni è un vuoto a perdere e con essa tutte le conoscenza che possano essere ridotte ad archivi semantici di parole e meccanismi bulimici consumistici.

Internet, nelle incarnazioni di qualsiasi Web 3.0, non potrà sostituire l'essenza della civiltà umana nelle sue luci ed ombre, ma solo chiudere la parabola della delega di un presidio faticoso: quello della condizione umana.

Personalmente mi domando perché scrivo ancora - su web o su carta, poco importa. Poi mi rispondo che il fine principale è quello di chiarirmi le idee, perché la mia coscienza sia testimone della storia che attraverso. In fondo Leibniz non aveva torto e neppure Maturana e Varela: siamo monadi autopoietiche; abbiamo in comune accoppiamenti strutturali, ma la storia che ci interessa è tutta dentro quel testimone della nostra esistenza che chiamiamo, non senza una certa promiscuità, coscienza.

Ormai quindici anni fa, tondi tondi, il sottoscritto scriveva in una delle parti da lui curate del lavoro corale Sesto Potere il paragrafo che segue. Non lo cito per rivendicare ridicoli riconoscimenti, ma solo per sottolineare come il "nuovo" che verrà sarà già stato vecchio molto tempo prima. La tecnologia è il dito che i geek stolti fissano per evitare di guardare la luna che da sopra sogghigna a guardare il nostro eterno infantilismo.

"Hans Moravec, responsabile del Mobile Robot Laboratory della Carnegie Mellon University, ciò a cui stiamo tendendo è di diventare de-gli Dei morti in qualche Olimpo a favore di una nuova specie robotica? Un po' come nel racconto di Borges, Le rovine circolari, in cui un mago trasformava il sogno di un essere nella sua concretizzazione reale, per poi scoprire che qualcuno aveva fatto un giorno lo stesso con lui? Veniamo dunque alla “fantascienza”. Nel suo libro Il gene egoista, Richard Dawkins concepisce un'umanità composta da ex-scimmie che, arrivate a modifi-carsi per ridurre gli atti e le decisioni ripetitive facendo uso di processi genetici, oggi sono giunte a creare una cultura talmente complessa da rendere obsoleti i tempi dell'evoluzione biologica. Per questo l'uomo oggi ha bisogno di macchine per “digerire tutta questa conoscenza”. Provate a domandarvi cosa accadrebbe se qualcuno da qualche parte nel mondo inventasse una macchina in grado di recepire dalla Rete delle reti tutte le conoscenze disponibili per poi elaborarle. Immaginiamo che si fossero inventati una serie di algoritmi combinatori che coniugassero le informazioni con degli schemi di significato per creare in continuazione nuovi testi, nuove teorie, nuovi racconti. Per scrivere le telenovela si fa già così. Siamo sicuri che sarebbe così impossibile creare una cultura delle macchine che si autoalimenti? Possiamo dirci certi che questa possa non risultare peggiore della cultura media di questo fine secolo? Ci troveremmo di fronte a una tale inflazione della conoscenza che la torre di Babele sarebbe paragonabile a una piccola disputa fra amici. Lo scollamento fra i nostri bisogni e la produzione culturale genererebbe un'esistenza paradossale e alienante. La cultura non verrebbe a essere più un bene, ma solo una forma di inquinamento. Lo scrittore di fantascenza Vernor Vinge sostiene che la curva di crescita delle conoscenze e della tecnologia, a causa di continue moltiplicazioni in tempi sempre più ristretti, arriverà a quello che egli chiama un “punto di singolarità”. Si tratta di quel momento in cui l'uomo non avrà più la capacità di assimilare e utilizzare l'informazione, le conoscenze e i mezzi per produrle e diffonderle finendo pertanto per separarsi dalla propria stessa cultura. Questa situazione, attesa per la prima metà del prossimo secolo, lascerà spazio solo all'imprevisto e all'assolutamente nuovo. A quanto cioè esca dai paradigmi culturali utilizzati finora. Qui si innesta la suggestione di Hans Moravec. Egli arriva a ipotizzare la realizzazione di quello che era il sogno di Nietzsche, il superamento della condizione umana. Le macchine portano avanti quell'evoluzione a cui non avrà più parte l'uomo, perché specie superata o perché grazie a que-sta delega avrà finito con il privilegiare altre mete. Potremo puntare a un ritorno allo stato primigenio, quello che precedette la nostra “missione” evolutiva, attraverso il recupero della dimensione tribale.

“Contrariamente alle convinzioni dei fanatici dell'etica del lavoro, il nostro passato tribale ci ha preparato – spiega Moravec – a una vita da nababbi. La vita dei cacciatori-raccoglitori doveva essere davvero piacevole: un pomeriggio trascorso all'aperto a raccogliere fragole o a pescare – quello che noi uomini civilizzati facciamo il fine settimana – dava di che vivere per parecchi giorni. Molte delle attuali tendenze presenti nei Paesi industrializzati lasciano presagire un futuro in cui gli esseri umani saranno supportati da una ricca economia basata sul lavoro dei robot, come i nostri antenati erano supportati dall'ambiente naturale che li circondava”. (...) Ma è davvero possibile un ritorno alla dimensione tribale nel contesto dell'odierna società dei consumi? I cacciatori-raccoglitori vivevano in gruppi di trenta-quaranta individui all'interno di spazi immensi ed erano scarsamente interessati all'accrescimento della ricchezza materiale al di là del li-vello di sostentamento. Inoltre, contrariamente alla nostra civiltà che ha completamente perso la dimensione del sacro, la loro preoccupazione principale era legata ai valori religiosi e alle attività cerimo-niali e rituali. (da Valerio Saggini, “La mente Immobile”, Virtual, n. 27 gennaio 1996, pag. 78)
Se questo può sembrare uno scenario fantascientifico, secondo l'accreditato futurologo John Naisbitt il processo di tribalizzazione sarebbe già in atto. Nel suo nuovo libro questo neo-tribalismo, contrapposto e complementare all'ideologia universalista di origine illuministica, è funzionale alla volontà di superare la dimensione politica globale per approdare a un'etica dei gruppi. Le tendenze nazionalistiche sempre più diffuse sarebbero quindi da reinterpretare in chiave di appartenenze più vicine, del bisogno di forme di comunicazione più coartate e meno “globali” seppure in presenza di una contemporanea globalizzazione radicale. Per esemplificare, immaginiamo un mondo in cui, non solo ogni stato, ma ogni regione, provincia, città avessero delle frontiere. La frontiera stessa perderebbe tutta la sua attuale importanza e paradossalmente ci troveremmo a vivere in un mondo in cui i singoli riuscirebbero a comunicare, a scegliere ognuno per la propria vita e ad avere un pensiero legittimamente localista, senza più confini seri da legittimare e riaffermare violentemente. Eticamente ci potrebbe essere quindi coesistenza di solidarietà ed egoismo, di interessi universali e cura del privato. Si vivrebbe con meno preoccupazioni della proprietà e con una percezione territoriale più allargata, ridimensionando l'attuale mobilità selvaggia di singoli e di gruppi. In un mondo simile potrebbe aver luogo quel recupero dei valori umani altrimenti impossibile. Il bisogno di tribalità (come si può leggere, nel senso positivo del termine) lo si può ravvisare nel sempre più abitudinario ritorno alla tradizione e alle culture dei vecchi, e ancor più, nel recupero in nuove forme dell'espressione di religiosità. Il richiamo al tribalismo fa tendenza e così, sulle orme del miracolo commerciale di Wired, accade che persino una rivista di costume e tendenze nostrana, Village, si ponga come riferimento per le tribù contemporanee. Tutto sembra indicare che il punto di svolta possa essere dato dal supera-mento dell'identificazione delle funzioni mentali in quelle del calcolo e del problem solving. È convinzione diffusa che delle nostre sole potenzialità cerebrali si stia sfruttando solo una minima parte. Delegare al computer quelle tradizionali potrebbe lasciarci molto più tempo per lavorare a identificare e potenziare le altre. Prima fra tutte proprio quella coscienza vigile che ci fa dire (parafrasando il Cogito cartesiano) che siamo in quanto ne siamo consci.
tratto da: Martignago, Pasteris, Romagnolo, Sesto Potere, Apogeo Editore, Milano, 1997



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15 marzo 2011

Scheletri consumisti radiattivi

Guardateli!

In punto di morte, consumati da ogni forma di inquinamento, veleni chimici, radioattività, impegnati ad alzare il PIL e l'occupazione schiavista del nostro - MA DI CHI???!!! - paese!

Così li vogliono: Consumistici Zombies Radiattivi!

È così che vuoi tuo figlio?

Il loro no: sarà altrove nell'ora della catastrofe!

Quale escalation prevede il modello dei nuclearisti, ma anche dei carbonfossilisti?

Quanto dobbiamo aumentare i consumi per morire ricchi, non noi, certo, ma i nostri modelli di leadership?

Non ci basta mai.

Non ci dobbiamo credere a quello che ci raccontano! Resistiamo nelle convinzioni di eternità fino all'ultimo. I morti non sono morti o se sono morti è perché se lo meritavano, in fondo. "Loro sono gialli e hanno copiato tutto da noi fin dagli anni '60. Ecco perché sono finiti così"

"Noi siamo meglio!"

No, siamo solo degli stronzi, furfanti, presuntuosi, incapaci di fare la centesima parte di quello che hanno fatto loro e, giusta o sbagliata che sia, di avere una pallida idea del loro grado di socialità.

Eppure ci picchiamo di insegnare a tutti come si vive.

Consumatori moribondi che non ravvisano altro traguardo che l'innalzamento della produzione e l'abbassamento del price-cap che vuol dire far fuori tutto svalorizzandolo due volte: la prima esaurendolo come infinito e irrisorio se confrontato alle nostre esigenze di specie e di razza; la seconda riconoscendogli un valore sempre più inferiore, per pagare nulla esigenze più esasperate che esagerate.

Di che cosa stiamo parlando la nostra coscienza più o meno autentica, più o meno falsa, lo sa. Ma ho il disgusto a sentire riecheggiare ancora la loro spregevole voce:
"La paura non fermi il nucleare", "Sarebbe un errore lasciarsi sopraffare dall'ansia e dall'emotività", "L'incidente è dovuto alla tenuta dell'edificio", "C'è sempre qualche sciacallo pronto a speculare sulle disgrazie altrui, cercando di terrorizzare l'opinione pubblica e condizionare le istituzioni".
Un pugno di persone consuma la quasi totalità delle risorse del resto del mondo e la punta di un'unghia di quel pugno assorbe la quasi totalità della ricchezza della mano e quindi del resto del mondo.
  • Crescere è un'altra cosa!
  • Crescere è staccare la spina!
  • Crescere è rinunciare al superfluo!
Esiliamoli a calci nei denti, se ci resta ancora un po' di moralità, un po' di etica, un po' di civiltà, un po' di religiosità.
All'esilio tutti quelli che viaggiano con l'autista: come vorrei vederli sbranarsi a vicenda, cannibali di potere, in qualche paradiso fiscale o sull'Isola Cavallo o Lavezzi.

Questo è quello che la mia pancia vorrebbe, ma lo so, il germe della corruzione e dell'egoismo è anche dentro di me e di tutti noi.
Basterebbe solo curarlo, estirparlo, non soffrire più di questa fame di egoismo per fare sì che i parassiti si dissolvano al sole e al vento!

Altrimenti guardiamoci morire di consumi e dei loro effetti: il morbo dei consumatori sta bussando anche alla nostra porta.

Se anche l'ultima scelta fosse quella di come morire, beh, sarebbe già molto riuscire a farlo con la serenità che deriva dall'essere più autentico, più onesto, più pulito.

Farlo senza vergognarmi troppo della mia vita.

Io al posto loro, proprio non ci riuscirei. Non ci riuscirei mai!

08 marzo 2011

Una guida per scegliere il lettore di libri digitali

Non dite che non ci avete mai pensato se fosse o meno il caso di prendere in considerazione l'acquisto di un e-book reader!
Un po' perché è uno dei giocattoli del momento, un po' per provare di nascosto l'effetto che fa, un po' per vedere se fa come con l'iPod, il potere di avere quintali di libreria in tasca e il cambio libro ovunque, dal treno al gabinetto. Soprattutto l'idea di eliminare carta, non solo per i consumi, ma in particolare per lo spazio sempre più tiranno delle nostre case. La questione è tutt'altro che semplice e fa passare la voglia a tutti. Per me è stato così fino a ieri, quando ho deciso di capirci qualcosa di più e, come al solito, ho pensato che il ragionamento potesse essere utilmente condiviso.
Per arrivare ai dispositivi, i cosiddetti e-book reader, bisogna prenderla da lontano, da questo mondo pazzo del mercato digitale.


Il mercato
Steve Jobs ha aperto l'ultimo keynote di Apple dando una notizia riguardo alla commercializzazione degli e-book attraverso la propria piattaforma di e-commerce interfacciata al programma iBook disponibile per iPad (oltre che per iPhone e iPod Touch). Nonostante il nostro guru non manchi mai di dispensare attributi entusiastici ed esaltanti nel magnificare ogni virgola dei propri prodotti, al riguardo si è limitato a dimostrare il successo ottenuto usando il numero degli editori che hanno aderito alla libreria della Mela. Che le vendite possano fare il paio con musica e applicazioni, questo neppure lui lo ha affermato. Il libro rimane un settore difficile e delicato.


Il mercato del libro digitale si è scoperto essere scarsamente dipendente dall'evoluzione di quello elettronico: a vendere è la libreria. Anche qui, però, le cose sono tutt'altro che facili. Chi vende tanto per ora ha solo un nome: Amazon. Quello che li premia è essere stati i primi: non i primi a mettercisi, ma indubbiamente i primi a capire come possono funzionare le cose. Il negozio della vendita per ora solo "fisica" degli epigoni di Bezos è da poco sbarcato in Italia e già ci prende alla gola l'adrenalina proveniente dai grandi canali dell'editoria e non solo di quella (segue a ruota quello dell'elettronica e dei media in genere).
Sul mercato del testo digitale, il negoziante italiano è ancora sguarnito e lo rimarrà ancora per i pochi mesi che gli operatori nostrani avranno a disposizione per recuperare posizioni. Lo scenario non è allegro. Ci sono due o tre grandi agglomerati con poche idee chiare se escludiamo quella più dannosa di tutte: il lobbismo che verso il Paese porta indietro all'epoca dei comuni e verso l'Europa dà prova di quanto siamo provinciali a confronto degli USA.


I prodotti
Tuttavia, non è di mercato che voglio qui parlare. Vorrei parlare di regali, da fare e da farsi.
Quando si pensa a un e-book reader, prima di tutto bisogna essere consapevoli di quello che ci si legge e di dove lo si va a prendere.
Amazon ha capito che a regalarlo, il lettore, ci avrebbero comunque guadagnato un'esagerazione. Invece di regalarlo, comunque, lo ha messo più o meno a prezzo di costo e così facendo ha bruciato il commercio elettronico di marca. Se Amazon ti offre un ottimo reader a più o meno 130 bigliettoni, come fai a far pagare il tuo tre volte tanto, come nel caso delle marche più blasonate, da Sony a Samsung?


Possono dire quello che vogliono che il loro è migliore, perché alla fine se andate a prenderli in mano ve ne accorgete subito - e questa è la prima importante considerazione generale - che gli e-book reader tutti, chi più e chi meno, sono delle baracchette da due soldi. Ti viene da chiederti perché dar loro svariate decine di euro, figurati tre o quattro centinaia o più ancora. Sono convinto che in men che non si dica gli e-reader faranno la fine delle calcolatrici da tasca che negli anni '70 costavano un autentico patrimonio e nei '90 le trovavi nei fustini di detersivo.


Per questa ragione i grandi produttori si stanno abbastanza rapidamente tirando indietro dalla corsa all'e-reader per lasciare posto a etichette quanto mai anonime che celano display e circuiti integrati prodotti più o meno tutti a tot al quintale. Le marche passano a cimentarsi in un altro comparto, quello dei tablet. E qui ce la giochiamo fra i 10" del modello iPad fino ai 7" del modello Galaxy. Qui sì che si può sparare la cifra che si vuole facendosi forti di una spiccata varietà di tecnologie.


Occorre però dirlo una volta per tutte, su un tablet si possono fare le cose più interessanti e divertenti. Ci sono colori, musica, video… tutto parla con il resto e con il mondo. Un lettore accanito, un lettore vero, però, non potrà mai uscire soddisfatto da questa esperienza. Un e-book reader è tale perché ha dovuto gioco forza rinunciare ad essere altro: un computer o un tablet, un libro o una TV… e questa rinuncia lo premia a diventare presto l'unico prodotto per la lettura di documenti e libri a tempo pieno. Non si può dire lo stesso per riviste, libri fotografici, portfolio e neppure per i rotocalchi. Per questi l'unica soluzione rimane l'iPad (e le sue imitazioni).


Eccoci così alla seconda considerazione: quella fra tablet e e-reader non è una scelta alternativa, o l'uno o l'altro, ma caso mai fra quello che serve a me per le cose che consulto o piuttosto fra quale dei due avrà la precedenza nell'acquisto rispetto all'altro.
Solo fino a un decennio fa, circa, prima del concetto di Digital Hub presentato da Jobs proprio nel 2001, la scelta di un mezzo elettronico escludeva quasi tutti gli altri. Oggi fanno parte tutti insieme di un ambiente complessivo, una specie di matrioska dove la bambola più grande è un desktop da 27 pollici e la più piccola è in realtà una famigliola di dispositivi, dallo smartphone generalista agli apparecchi specializzati in foto, musica ecc…


Per leggere il giornale, non ci sono problemi ad usare il telefono touch screen, ma il tablet va meglio, così come, per quanto i secondi abbiano webcam e casse, sarà il primo ad essere più adeguato per fotografare, geolocalizzare, taggare e ascoltare musica. E così via.


Come scegliere l'e-reader
Gradualmente ci stiamo avvicinando al negozio.
Insomma, siamo arrivati alla considerazione che, per quanto siano chincaglieria costosa sono anche l'unica vera alternativa alla lettura cartacea. Sono un prodotto paradossale perché si trovano nei negozi di elettronica i cui mercanti non sanno nulla delle specificità del mercato dei libri, ma chi ha bisogno di venderli sono i librai, venditori che non sanno nulla di display, connettività e scala di grigi. Un vero paradosso: osservate il reparto di qualche Mediaworld, Unieuro, Fnac e similari… Li tengono nelle teche o sui bancali generalmente tutti spenti e scollegati, ignorandone caratteristiche e differenze, mentre fanno affermazioni confuse e del tutto imprecise, a volte con il disgusto che riservano per qualcosa che sa di scuola e professoressa d'italiano.


Che cosa dovrebbero dire i negozianti a un cliente come me?
Ecco quello che direi io al posto loro:


«Quello che devi guardare in un e-book reader sono poche, pochissime cose:1. che consenta di comprare libri italiani e di farlo senza pasticciare con computer e portali vari (e questo esclude per il momento il gioiellino-Kindle di Amazon) e, visto che i nostri editori sono inutilmente sospettosi e per nulla lungimiranti, dovrà supportare i formati con la protezione dei diritti (DRM, soprattutto Adobe) epub e PDF2. dovrà pesare più o meno come un libro e dovrà essere quanto più tascabile possibile in rapporto alla leggibilità (in relazione alla vista), da un lato, e alla capienza (per non cambiare pagina ogni due parole); che siano più in generale ergonomici, nel posizionamento dei tasti, nel tipo di touch screen, nell'uso meno innaturale possibile della penna per quelli che l'hanno adottata3. di non spenderci troppo, innanzitutto, perché fra una stagione o due non varranno più nulla e poi perché fra altrettanto tempo saranno drammaticamente superati, badando bene che siano robusti, specie sul versante schermo4. che ci si legga senza stancare la vista nel maggior numero delle situazioni comuni: in poche parole, che non usino la tecnologia dei computer per gli schermi (anche se oggi si distingue ancora fra erogatori di libri e quelli di riviste e multimedia in genere - ottimo compromesso i tablet da 7" come il Galaxy); in breve, emulazione d'inchiostro su pagina al massimo di toni di grigio possibile e che il refresh dello schermo sia rapido e senza fulminazioni luminose (e questo non sono in tanti al momento a permetterlo)5. che siano collegabili ad Internet, possibilmente oltre che con il Wi-Fi, anche con il 3G (Internet via telefonia mobile) e non solo per comprare i libri, ma soprattutto per andare su Wikipedia, IMDB o semplicemente Google quando nel libro trovi qualcosa che non sai»

«Dopo questi cinque punti principali, allora, ma solo allora potrai prendere in considerazione quelli secondari, come l'estetica, il fatto che consentano di prendere appunti, magari sulla pagina stessa, come il Samsung, di evidenziare, ascoltare gli mp3 leggere il testo scritto o recitare gli audiolibri, godersi i fumetti per bene, vedere alla bell'e meglio foto e disegni e addirittura di farne di avere funzioni di handwriting e magari la tastiera virtuale o di essere dotati di microfono per annotare vocalmente»


Se poi conoscete qualcuno che ce l'ha, fatevelo prestare una sera e godetevi almeno un'oretta di lettura, perché non tutti trarranno piacere dalla sostituzione della carta e sarà bene scoprire di che tipo sei prima di aggiungere un altro dispositivo elettronico destinato all'inutilizzo dopo aver sborsato un quarto di migliaio di euro.


Infine i prodotti: i miei preferiti da 6" sono (tralasciando il Kindle, del tutto inadeguato al mercato commerciale e specialistico in lingua italiana):
LeggoIBS, come migliore offerta proveniente dalla libreria: sarà poco bello e tutt'altro che rapido, ma ha tutte le cose che servono ad un prezzo conveniente sotto i 200€.
Onyx Boox 60, una macchina molto veloce, molto leggera, con il migliore cambio pagina e tanti servizi specie in rete, allo stesso ordine di prezzo.
Samsung E60 seguito di non molto dai modelli Sony (decisamente menomati dalla mancanza di collegamenti in rete) per la costruzione, la robustezza e la tecnologia, che comprende la dotazione di memoria e le prestazioni del processore, anche se gli altri requisiti non sono eccellenti, ma soprattutto il prezzo è ancora alto, anche se piano piano tente all'asintoto con i modelli precedenti: quando questo avverrà, probabilmente quelle marche avranno già lasciato il settore. Esiste anche un modello 10".


Ma poi ci sono una miriade di sotto-marche che non sono da valutare: domani resteranno poco famose ma ci faranno leggere con prodotti usa e getta, come un accendino o un rasoio. Anche i celluari sembravano dover diventare usa e getta, ma poi tutti questi prodotti hanno presto o tardi fatto coppia con quelli blasonati, senza che uno abbia mai del tutto escluso l'altro.


Presto detto, e ora: Buone coccole!