27 novembre 2010

Ancora su riforme e manifestazioni

Spargo un po' di pensieri molto personali sul tema delle proteste dei giovani, dell'istituzione scolastica e della cultura. Presunzione? E perché no?!

"Figlio mio, sono orgoglioso se difendi il tuo presente e fai rispettare il tuo futuro. Vorrei che questo fosse ben chiaro come premessa a tutto quello che segue. Una vita senza utopie è una vita da amebe e sprecare una vita è uno dei peggiori peccati capitali!"

"Nei miei ricordi non è la piazza che mi ha fatto crescere, ma la sua preparazione e la sua continuazione. Manifestare è la celebrazione festosa e/o rabbiosa del lavoro che l'ha preceduta, della riflessione e del confronto, dell'unione e della separazione, del pensiero e del cuore. Ti ci ritrovi? Se sì, insisti. Se no, ricomincia"

"Strumentalizzati? Non dire che non lo siete cascando nell'errore retorico della contrapposizione. Siamo tutti strumentalizzabili e strumentalizzati in ogni istante del giorno. È facile esserlo quando protesti come quando ti conformi. Se quelli che guadagnano grazie alla tua protesta però non sono lì con te in piazza quando protesti (magari perché così non perdono lo stipendio della giornata), allora un pensierino ce lo farei…"

" 'Lottare contro' è come lamentarsi per il piatto che si ha davanti con il rischio di finire per accettare il digiuno come unica alternativa. Se vuoi il futuro 'lotta per'! Sappi quello che vuoi, organizza le scelte combinando vincoli e risorse, individuando le priorità, avendo il coraggio di decidere tante rinunce: solo chi sa a cosa rinunciare può dire veramente di avere diritto di volere"

"La riforma Gelmini non è una vera riforma. Di buono ha che una volta tanto afferma che possiamo permetterci di cambiare (Andreotti diceva che ci sono due pazzi: quelli che si credono Napoleone e quelli che pensano di sanare le Ferrovie - cambiare la scuola? neanche i pazzi allucinano tanto). Il resto è un coacervo disorganico di pasticci. Molto probabilmente fallirà, ma in quel momento avrà raggiunto il suo vero obiettivo: distogliere l'attenzione dalla Finanziaria - anche se non si chiama più così. Questo più di tutto il resto è "non farsi strumentalizzare". Vuoi lottare? Lascia stare le pagliacciate e scegli come bersaglio la truffa economica che, non solamente un governo, ma una moltitudine di soggetti, un'intera generazione di egoisti intenta nei confronti della tua per poi aggiungere al danno la beffa di deridervi, magari chiamandovi 'bamboccioni', come potrai vedere, da uno scranno diverso, ma pur sempre dalla stessa anima nera!"

"Non sono gli insegnanti (magari due o tre per scuola, sì, ma non di più) a manifestare con voi, ma tanti precari: questo fatto ha molto meno a che vedere con istruzione e cultura e molto più con la negazione della crescita che vecchi benestanti perpetrano nei vostri confronti per vivere bene la loro vita fino all'ultimo, per la loro rabbiosa paura della morte, per il rifiuto della vecchiaia. I precari sono rimasti studenti: per questo sono a fianco a voi. Liberatevi assieme, ma per farlo dovete fare piazza pulita di questo modello economico"

"Perché le vostre manifestazioni fanno tanta simpatia fra i vostri genitori, al punto che in molti casi si mettono nei vostri panni, magari con qualche rigurgito nostalgico? Perché per una volta li liberate dal dilemma etico e politico. Possono parteggiare facile, proprio come fare il tifo, perché stare coi tuoi figli è facile e anche giusto. Perché stiamo vivendo in anni in cui complessità e complicazione ci rendono tutti impotenti: non si può mai fare una scelta senza portarsi dietro mille ragioni che la rendono impraticabile. Con la rivolta per la Gelmini sembra di essere tornati ai tempi della Grande Semplificazione: una volta tanto ai vostri genitori spunta l'opportunità di identificare il cattivo da una parte e il buono dall'altra senza problemi di coscienza - tanto più che quello che si va ad abbattere è stato messo lì proprio per quello scopo. Anche questa è una simulazione e aiuta a scaricare la rabbia e i sensi di colpa nei confronti del futuro dei figli"

"Alla fine, per esemplificare concretamente, non protestate contro la Gelmini e non occupate i monumenti… lottate per l'abolizione dei Provveditorati e di tutte quelle paludi che sono feudi burocratici mangia-soldi e mortificatori della cultura vera; sai quanta scuola finanzieresti chiudendo i soli Provveditorati?! Occupate i Provveditoriati, cacciate via a calci nel culo i dirigenti della Provincia e di tutta l'amministrazione pubblica che ci rovinano la vita e le scuole con essa per avere un pretesto per esigere soldi, come quei professori che non vogliono essere valutati nello stesso modo in cui i burocrati vogliono valutarli solo per creare occasioni di potere e guadagno per loro e per qualche loro amico o protettore"

"Infine, anche se quello che scrivo può essere troppo facilmente frainteso, ti dico: «Non difendete la Scuola. Distruggete la scuola!». Abbattete l'istituzione scolastica. Disvelate la mistificazione che si nasconde dietro il pretesto della Cultura. Nessuno di quelli che ci comandano hanno imparato dalla Scuola. Credi nella Cultura, ora e sempre di più, ma non credere che questa ti venga data da una struttura, da una procedura, da un'istituzione. Nella maggior parte dei casi è la Scuola ad esser stata l'antesignano della televisione nell'appiattire la Cultura intesa come conquista personale e sociale. La Cultura vera è la più importante arma per distruggere questa Scuola dissoluta, le generazioni che ha creato e con essa l'Istituzione scolastica in generale. Non decidere da che parte stare guardando la TV, leggendo i giornali o sentendo le chiacchiere da sala d'attesa dei cosiddetti adulti. Impara da come imparavano i classici, ricordando che lo sono diventati - Classici - solo perché non hanno mai avuto nessuna istituzione scolastica e prima di dire la tua, prima di credere che perché si chiamano anarchici quelli lo siano veramente, prova a leggere almeno qualche pagina di Ivan Illich: non era un professore, era uno spirito libero. Se devi imparare qualcosa cerca di capire che cosa vuol dire essere libero e diventare saggio appassionato e a farlo in mezzo agli altri anche quando sembra impossibile. Se la Scuola come luogo d'incontro te lo consente, forse qualcosa di quella vale la pena salvarla, altrimenti usala per imparare! Che cosa? Imparare come si eludono le istituzioni e si riconquista il diritto di vivere una vita propria e non vissuta per procura"

"Sono ogni giorno più vecchio, ma non smetto di essere curioso e affamato. Quietamente, ma libero dagli schieramenti, appassionato delle persone reali e per niente delle facili verità. Mettiti al posto della mia età solo per un attimo e poi prova a costruire il tuo presente per come vorresti ricordarlo. Di sicuro non andrà come vorresti (e sarà certo per il meglio), ma sarà più tuo e, soprattutto sarai più sereno nel dimenticarlo domani, una volta per tutte, assieme alla Gelmini e ai bamboccioni e alla Scuola e alla maggior parte dei professori, dei compagni e delle compagne. Cultura è liberarsi dalle regole e dall'attaccamento, lottare per quello che fa parte di te e solo per quello"

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26 novembre 2010

Sosteniamo WikiLeaks

Lo staff di giornalisti "militanti" capeggiato dallo stesso Julian Assange, che da quando ha cominciato a diventare fastidioso per i servizi segreti statunitensi si è proditoriamente scoperto essere un violentatore ricercato, ha messo le mani su documenti che svelano gli intrecci diplomatico economici che porterebbero a nudo molte fra le principali dinamiche della dittatura mafiosa internazionale nota ai più come "Democrazia".

È la definitiva fine, per chi ci credesse ancora, dell'età dell'innocenza degli Stati: si aprirà il coperchio della scatola di Pandora e si scoprirà la materia di cui sono fatti gli incubi? Sarà più probabile una persecuzione, l'oscuramento del sito, l'inibizione dei routing, altre persecuzioni giudiziarie, killer di Stato per le strade... Sono disfattista? Non credo proprio.

Che cosa possiamo fare noi altri, maggioranza silenziosa? Non perdiamo di vista WikiLeaks, non facciamoci obnubilare dal gossip mediatico (dal calcio, allo sciacallaggio sui delitti, alla prostituzione delle celebrità...) e continuiamo senza sosta a seguire le vicende, gli aggiornamenti di prima mano! Dentro potrebbero esserci proprio tutti i livelli, da quelli delle mafie, quelle russe, le cinesi e le nostrane, agli affari, dalle Isole Vergini, al Lussemburgo agli accordi dei Marchionne del mondo.

Forse non potremo fare rivoluzioni, ma la coscienza è importante, per quanto possa fare soffrire.



(...) Con la forza di un ricatto
L'uomo diventò qualcuno
(...)
Innalzò per un attimo il povero
Ad un ruolo difficile da mantenere
Poi lo lasciò cadere
A piangere e a urlare
Solo in mezzo al mare
Com'è profondo il mare

Poi da solo l'urlo
Diventò un tamburo
E il povero come un lampo
Nel cielo sicuro
Cominciò una guerra
Per conquistare
Quello scherzo di terra
Che il suo grande cuore
Doveva coltivare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare

Ma la terra
Gli fu portata via
Compresa quella rimasta addosso
Fu scaraventato
In un palazzo,in un fosso
Non ricordo bene
Poi una storia di catene
Bastonate
E chirurgia sperimentale
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare

Intanto un mistico
Forse un'aviatore
Inventò la commozione
E rimise d'accordo tutti
I belli con i brutti
Con qualche danno per i brutti
Che si videro consegnare
Un pezzo di specchio
Così da potersi guardare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare (...)
Lucio Dalla, 1977

25 novembre 2010

Il valore del codice etico aziendale e delle certificazioni di sostenibilità

Che cosa succeda al gruppo Menarini, come a Dolce e Gabbana, ve lo lascio approfondire nella cronaca dei rotocalchi cartacei e on line.

A circa un decennio da Enron ecco a che cosa servono le certificazioni di responsabilità sociale delle aziende!

Chi chiede conto delle certificazioni ai certificatori?

Quanti soldi girano con queste plastiche di ricostruzione della verginità?!

Quanto incidono sui fondi etici? E chi controlla l'etica dei gestori di fondi etici?

Tangentopoli esce dalla porta e rientra dalla finestra, ma sbaglia chi pensa che il fenomeno sia tutto italiano: da Dallas a Firenze la strada è lunga, anche se c'è qualche "metalmeccanico", come ama definirsi, che sosterrebbe il contrario, e la catena alimentare offre opportunità a tanti di quegli operatori certificati e imprese certificate.

Un'azienda seria dovrebbe oggi chiedere conto degli influssi negativi che certificatori di comodo hanno nei confronti dei loro investimenti in responsabilità sociale. Nessuno busserà mai a quella porta.

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21 novembre 2010

Messaggio ad un amico…

…era per lui, ma poi ho pensato che non ne avrebbe avuto a male se lo condividevo con qualcun altro: gli amici che senti vicini in fondo non sono mai separati pur non conoscendosi.

«Sono nato senza alcun significato.

Poi mi hanno dato un nome e con esso sono stato contagiato.

Ho scoperto che cosa vuole dire separazione dopo che sono stato confinato nella gabbia del significato che mi hanno imposto e con la quale mi hanno obbligato ad identificarmi. Tutto quello che non stava nella mia etichetta lo avevo perso.

Per la prima volta ho provato la solitudine.

Gli altri mi chiamavano per nome e quindi ho creduto che fosse un bene. Con il tempo ho capito che questo bene si chiamava amore e che per potere essere amato dovevi essere distinto… separato… dovevi sentirti solo!

Ho passato una vita a colmarmi di significato per compensare la maggior parte di quello che mi era stato sottratto per il mio bene, per essere amato. Ora che sono pieno di significati e che sono anche diventato un prestigiatore del significato, faccio trucchi per fame d'amore, ma non sono ancora sazio, non ho colmato il vuoto della mia separazione, ho a malapena graffiato la superficie di quello che sarei stato senza un nome.

"Il senso della vita": pasticcio retorico! La vita non sta nei suoi significati. Anche questo però è un significato? Forse… oppure no: può anche solo essere una storia, un racconto, un road movie: "getta il cuore dopo l'uscio e buttati fuori senza domandarti come andrà a finire il libro… se l'assassino sia veramente il maggiordomo…"

In tutti i telegiornali, quando capitano i disastri si finisce dicendo che si sta accertando di chi sia la colpa… come se scoprirlo ne conferisse un significato e che questo potesse liberarsi dalla paura e dall'orrore, come diceva il colonnello Kurtz-Brando.

Ogni giorno imparo ad essere più solo, a disintossicarmi dal bisogno di amore con cui ho cercato di curare quel vecchio contagio, nella presuntuosa speranza di morire libero dalla paura. Se di una certezza dovessi menar vanto in questo fasullo mondo di linguaggio e parole, è che curiamo il male con la stessa sostanza che ne è la causa, come se dovessimo vaccinarci, come per una cura omeopatica. Combattiamo, infettando di significato quello che non sembra averne, la paura derivante da non riuscire a identificare, ad etichettare, a "comprendere", ovvero a chiudere dentro, nel recinto delle parole, quello che altrimenti sarebbe puro fenomeno, senza realizzare che è il significato, e quindi l'etichetta del nome, la madre e il padre di tutte le paure e dell'orrore.

Solo nella solitudine che vince il significato si è veramente liberi dalle paure. Si coglie con il sentire che gli altri ci sono tutti dentro la mia solitudine satura e appassionata e che questa mi fa vivere meglio e più pienamente, con maggior senso di vicinanza anche lo stare in compagnia. Quanto è più "piena" la compagnia trascorsa nel silenzio consapevole, proprio perché è felicemente sgombro dalle parole e dall'astinenza per la loro assenza!

Ora che sono vecchio, un vecchio arrugginito prestigiatore, vedo che mi sono dannato tanto per scoprire che la felicità non è altro che una pace appassionata e che questa deriva dalla capacità di vivere una solitudine senza sofferenza, una solitudine senza il vuoto sporco della noia, ma totalmente immersa in quello luminoso della vita, una storia che finalmente non si risolve nella sua morale, che non voleva dire niente, o almeno, niente di speciale: felicemente in-significante!»

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Location:Via alla Chiesa,Torino,Italia

15 novembre 2010

Quella voglia di telelavoro: "Pronti a tagliarci lo stipendio" Miojob Repubblica

(…) "L'insolita scelta. Quello dell'accesso in remoto agli strumenti di lavoro è un argomento a cui tengono in molti. Posti di fronte alla scelta ipotetica tra due diverse offerte di lavoro, il 66 per cento è disposto a rinunciare al 10 per cento della retribuzione pur di avere la chance di lavorare con maggiore autonomia. In Italia la percentuale sale al 68 per cento. Tra i più pronti a rinunciare in cambio di autonomia, ci sono gli spagnoli (il 78 per cento) e gli indiani (78 per cento). Quelli che invece preferirebbero avere l'offerta con la retribuzione più elevata del 10 per cento sono i tedeschi (vedi tabella).
Di fronte al rifiuto. Ma cosa succede una volta che l'azienda ha negato al dipendente di lavorare da casa? Su alcuni gli effetti sono particolarmente significativi. C'è chi non lavora più con la stessa intensità di prima, c'è chi si sente spinto a cercare un altro lavoro. Qualcuno si deprime e ne risente come umore. Molti però, anche dopo tutte le risposte date, sembrano quasi abdicare al desiderio e confessare che, in fondo, questo, non è un tema cruciale. Forse con lo stesso malcelato cruccio con cui il lupo si riferisce all'uva inafferrabile."
(evidenziato da Massimo Manzari)

13 novembre 2010

Deflazionare i sistemi

Occorre deflazionare i computer. L'ordine di complessità raggiunto dal ricorso all'informatica è paradossalmente critico e invece di servire a superare le procedure e la burocrazia ne ha consentito la super-produzione. Rischiamo di fare la fine degli irlandesi che nel Medioevo vennero falcidiati dalla peste delle patate: mica che fosse una pestilenza che attaccava l'uomo… il fatto è che la loro economia, tutta la loro sussistenza alimentare si fondava quasi esclusivamente su quel tubero.

Lo stesso potrebbe accadere se la minaccia delle tempeste magnetiche si dovesse rivelare fondata. La terziarizzazione sta spingendo rapidamente strumenti e contenuti in erogatori centrali, i famosi Cloud. Uno dei principali ispiratori e progettisti di questo modello è Ray Ozzie, una delle migliori menti cibernetiche, che da poco ha abbandonato la sua posizione di vertice di Microsoft sostenendo che siamo all'alba di un giorno nuovo in cui bisogna lavorare a nuovi paradigmi di semplificazione. Siamo troppo dipendenti da modelli che oramai lavorano solo per innalzare complicazione e inflazione informativa il più delle volte indifferente al principio della realtà.

Per non finire devastata, azienda deve sostituire l'automazione con la semplificazione che stiamo scoprendo essere due cose profondamente diverse: l'automazione rende geometrica l'escalation dell'informazione, ma non serve assolutamente a produrre significato che non sia standardizzato e, in quanto tale, privo di valore aggiunto. Questo deve venire gestito dalle persone che spesso si trovano a tradurne in eccedenza quando la maggior parte di esso è irrilevante. Se hai solo un martello per ragionare sei costretto a trattare tutti i problemi come chiodi! - banalizzando l'esistenza e perdendone la governabilità. Non ci sarebbe stato bisogno di arrivare fino a qui per capirlo. Lo psicologo premio Nobel per l'economia faceva l'esempio di un caso degli anni '60 quando delle sedi diplomatiche lamentavano le scarse risorse per trattare l'aumento di dati e informazioni conseguente l'informatizzazione. Laddove il consulente spingeva per uno snellimento delle informazioni alle sole dotate di rilievo si arrivò a decuplicare le risorse con la conseguenza che la crescita di informazioni conseguita in un lustro si decuplicò in alcuni mesi. Il modello attualmente meno meccanicista è probabilmente quello di Apple, sia perché si ispira ai principi dei cibernetici (da Wiener a Bateson, Doug Engelbart, Alan Kay…) che spingono allo sviluppo basato sulla crescita della persona umana invece che su quello dei suoi averi che si realizza con la clonazione automatizzata, sia perché è l'azienda più zen della nostra storia, essendo Steve Jobs seguace del precetto che si evolve implementando nella sottrazione, rinunciando a quanto non è indispensabile e potenziando quello che viene più usato e rende di più. Rimaniamo comunque ben lontani dal cambiamento di paradigma che servirebbe oggi.

La parte pessimistica del discorso è che per farlo non si può partire dai sistemi: questi per rinunciare all'entropia dovrebbero fare Hara-Kiri e non avverrà mai. Bisogna partire dal quotidiano. Questo non lo cambiano i generali, ma i sergenti indifferenti alla carriera. Non si tratta di buttare alle ortiche quanto realizzato finora gettando il bambino assieme all'acqua sporca, ma di deflazionare la dipendenza dall'informazione e dalla comunicazione elettronica. Facciamo alcuni esempi pratici.

1) Oggi buona parte dei compiti e dei programmi di lavoro passano attraverso la posta elettronica. Sono generalmente mal scritti con allegati organizzati per slides (nome in codice : "ti mando un pauerpoint!"), con citazioni infinite di altri messaggi tipicamente di altri argomenti e chi li riceve non li capisce, spesso fraintende porta avanti il lavoro male, ma lo inoltra in CC ad altri colleghi che quindi lo proseguono male. Tuttavia, non essendoci più risorse di tempo e personale non si discute né in corso d'opera, né all'inizio, ma neppure alla fine: ci si tiene i lavori mal fatti e si dà il via a nuovi gruppi di progetto e nuove procedure.
Soluzione: ricorriamo alle e-mail con la stessa frequenza con cui si scrivevano e si spedivano le lettere. Ovvero solo quando è indispensabile: in genere a inizio e fine lavoro. Non spediamo in CC, ma andiamo a prendere le persone interessate e spieghiamo quello che alla sola persona responsabile è arrivato e organizziamoci parlando a voce. Poi verifichiamo con i colleghi di quando in quando, più volte nella settimana, come sta procedendo la loro parte. Il capo torni ad affiancare i collaboratori e a fare da coach.

2) Dirigenti e funzionari sono sempre più oberati nell'attività di produrre continuamente slide per questo non seguono più le persone, non riorganizzano, non esplorano soluzioni e il più delle volte non conoscono neppure i problemi reali, ma solo le loro rappresentazioni numeriche.
Soluzione: riduciamo l'impegno anche per i quadri; diventiamo meno dipendenti dalle proiezioni: un mio amico mi spiegava 15 anni fa di quando era andato in Cina e del fatto che i suoi compagni di viaggio giravano con le calcolatrici, mentre lui ragionava per stime e approssimazioni, negoziando a ogni piè sospinto riuscendo così a non farsi raggirare, pratica per la quale i locali erano notevolmente abili.

3) Le difficoltà aumentano e non vengono più gestite. Il più delle volte vengono segnalate inserendole in dei knowledge base mal digerite, dove nessuno andrà a correggerle e forse neppure a leggere, ma quando capiterà sarà ancora peggio perché si indicheranno errori o soluzioni mal spiegare come best practice combinando disastri.
Soluzione: lasciamo stare i computer come strumenti di secondo livello, o di riserva, e torniamo alla scuola, a insegnare il lavoro, a spingere sulla professionalità e verifichiamo le competenze. Andiamo in cantina e facciamo riaffiorare le bacheche, lasciando le piattaforme alle attività di segreteria. Nei corsi di formazione sostituiamo i proiettori di slide con le lavagne a fogli mobili, ma ancor di più all'eloquenza evocativa per potere arrivare alla fase di ascolto.

Più in generale, facciamo in modo di ridurre il periodo della giornata che un responsabile dedica al computer (in tutte le espressioni, dalla posta, alla documentazione, alle demo) a non più del 20% del suo tempo e troviamo il modo per rendere di valore qualitativo almeno il 60% del rimanente).
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09 novembre 2010

Gurufobia

Sto leggendo un libro che promette di essere interessante, non fosse che il suo primo scritto, Futurizza la tua impresa, è stato veramente ricco di spunti in parte poco seguiti ancora oggi. Può darsi che più avanti le mie aspettative vengano compensate, ma per ora ammetto che David Siegel mi sta provocando una crisi di rigetto che provo sempre più frequentemente nel leggere i lavori di questi guru del Counseling 2.0 marcatamente statunitensi.

Che siano prolissi a danno delle foreste (un po' meno oggi che alcuni come il sottoscritto consumano i prodotti d'oltre oceano sotto forma di e-book) questa è storia di sempre: se devono scrivere le ricette con le cipolle devono scannerizzare la storia della cucina, delle forchette, la coltivazione della cipolla, la botanica, la gastroenterologia e mille altre nozioni di cui faremmo volentieri a meno quando ci basta sapere come fare la zuppa di cipolle. Il problema - per loro - è che per quello non si venderebbe un libro, ma a malapena un articolo di rivista.
Ora questi guru post-moderni hanno preso l'abitudine di gonfiarci di case history che sono come certi ristoranti di montagna che ti riempiono di farinacei e fritti per aumentare il senso di sazietà e darti l'impressione di aver speso bene i tuoi soldi, mentre sei stato trattato come un tacchino da ingrasso.

All'inizio pensavo che potesse dipendere dal mio cattivo inglese e così ho cominciato a leggere con attenzione ossessiva, da liceale, ma non ho fatto che confermare la mia prima impressione.

Sono libri agli estrogeni pieni di riferimenti del tutto ininfluenti al fine della tesi che sostengono. Citazioni di manager di grandi imprese (già, perché se sono meno di Microsoft, IBM o UPS non valgono, mentre così ogni fesseria che comunicano ha valore solo per il nome) che snocciolano soluzioni di comune furbizia managerial-partenopea vestite di trend neo-tecnologico, come se un cellulare con il lettore di barre magnetiche fosse una rivoluzione dei servizi al cliente e dimostrasse che quest'ultimo avesse il governo del processo, mentre è solamente costretto a comprarsi anche uno smartphone per fare la spesa dove una volta (ma fortunatamente non sono ancora scomparsi) c'era un gentile commesso che lo istruiva senza sforzo e con la possibilità di confronto.

Come questo libro tanti altri, da Wikinomics in poi sono bolge di casi del tutto incongruenti finalizzati ad imbonire gli incapaci, anche quando le due informazioni in croce che si possono comunicare potrebbero avere qualche interesse.

Ma questi incapaci esistono? Sono tanti? Che peso rivestono? Sì, sì e "dipende"!

Mentre scrivo questa nota sto viaggiando per Milano in una Freccia Rossa, noto treno per schiavi pendolari del micro-management. Ho dovuto ricorrere alle cuffie non perché avessi voglia di sentire musica, ma perché ero stanco dei contenuti delle telefonate di venditori, avvocati, commercialisti che propinavano formule anglofone usa e getta.

Viviamo immersi in un bagno primordiale di frasi fatte e di luoghi comuni, mondi non virtuosi, ma neppure virtuali, essenzialmente velleitari dove ad anglismi che sono puri significanti avulsi da ogni significato non viene fatto corrispondere alcun oggetto, sia esso una cosa, un fatto, una popolazione o una persona.

Che c'entra questo con il mio libro che, mondato di tutto questo inutile surplus, a saperlo leggere separando il grano dalla crusca poi brutto non è e magari anche utile? Il fatto è che i nostri forzati questa operazione non la fanno, anzi, il più delle volte, non riuscendo a comprendere il grano, costruiscono mondi di crusca che di buono hanno, al più, l'effetto lassativo che un correlato fisico, anche solo allegorico, capita che ce l'abbiano. Terribili semplificatori, impoveriscono la nostra vita con automazione di principi vuoti. L'unica nostra garanzia, l'ultimo baluardo di sopravvivenza restano i materiali, le funzioni corporali, le persone che parlano di quello che succede loro e nondimeno quello di cui sentono parlare dai media.

Ti preoccupa il destino della musica venduta? Vai in un negozio, comprati uno strumento e impara a fattela da te: per quanto male tu possa strimpellare sarà migliore di tanti prodotti industriali confezionati ed esaltati. Smettila di mangiare l'immagine esasperata di cibi stereotipati: apprezza l'odore, il tatto e il sapore spesso poco delicato di quelli originari.

Facciamola finita di fare sperare che una formula o una procedura di nuova formula sostituisca la fatica del gesto, perché lo farà solo con una fatica ancor più frustrante che in compenso non servirà a nessuno, visto che da un pasticcere che ti venda una torta al supply chain non andresti a far merenda.

Infine, attenzione al semantic web e a quello che gli gira attorno: appiattirà il mondo facendo di noi niente più che dei polli d'allevamento attaccati alla mangiatoia di qualche piattaforma.

08 novembre 2010