28 aprile 2011

L'Ufficio fra le Nuvole

Leggi l'articolo originale completo di immagini su QuotidianoPiemontese nella mia rubrica UserFriendly

Alzi un dito chi non ha ancora mai sentito parlare di Cloud Computing? … Mi sembra di non vedere così tante mani alzate. Ora proviamo a verificare quanti hanno capito di che cosa si tratti. In questo caso di mani ne vedo ancor meno.


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La storia delle nuvole (Cloud) dove si troverebbero i computer ve la sentirete raccontare in tanti modi. In effetti è un prisma che ha più facce, tre delle quali sono le principali: quella tecnica, quella commerciale e quella dei servizi.

Innanzitutto vi troverete in giro un mucchio di letteratura che riduce la questione al puro ambiente tecnico in ultima analisi paragonabile a quella che fino ad oggi si era soliti chiamare Server Farm, una batteria di risorse di calcolo e soprattutto di archiviazione come quella di Google. Non è un caso, infatti, che proprio le società maggiormente dotate di questi apparati in ragione del loro preesistente business, come appunto Amazon o Google, siano state le prime a sviluppare una propria idea di Clouding. Ma allora perché non chiamarla Server Farm?

Perchè c'è di mezzo una rappresentazione di risorse sfumate eterogenee e in parte non-proprietarie che costituiscono questo ecosistema-nuvola al quale i dispositivi di tutti attingono e contribuiscono. In realtà la cosa non sta andando in questa direzione, almeno non per tutti: molti non apprezzano condivisione e biunivocità, prediligendo un sano sistema di scambio commerciale lineare e unilaterale, fidelizzante. "Tu sei nel mio Cloud" diranno presto Microsoft, Apple, HP e magari un giorno anche i più aperti come Google.
Ma allora che differenza c'è in questo aspetto commerciale-sistemistico con i vecchi terminali (che sarebbero i nostri computer), i NetPC di Larry Allison (e poi lo stesso Gates), o iTunes e Amazon? Una certa maggiore misticanza aleatoria che connota la caratteristica della proposta - appunto - commerciale dei "Clouders".

C'è poi una terza variante, che è quella che piace a me e a quelli che la pensano come UserFriendly.
Il Cloud può esaltare il dispositivo che usiamo nel momento stesso in cui ce ne rende indipendenti. Questo sarà presto chiaro a chi usa la musica. Oggi se hai un iPhone, un iPod, un iPad e un computer e vuoi condividere la stessa musica dovrai allinearli ogni volta e se te ne dimentichi, alla fine non saprai più dove si trova quello che hai voglia di ascoltare. Se poi si deteriora l'archivio sono fatti tuoi. Avendo tutta la tua roba nella nuvoletta il problema non si pone più.

Bello, vero?
…A ben guardare, nelle pratica mica tanto!



24 aprile 2011

La ricerca della Bellezza

Fra le tante virtù, la Bellezza è forse la meno nobilitata, ma certo la più ricercata. È quella cui il potente e il ricco maggiormente anelano impadronirsi il tempo sufficiente per non vederla cambiare, un po' seguendo la stessa logica per cui il violento desidera sfregiarla.

Il giovane desidera esaltarla, simulandola, mascherandola, accentuandola per venderla meglio, per sentirsi qualcuno, per comprarsi con essa una quota a parte di potere, una scommessa sul domani; e poi, quando l'età prende piede, anche lui non si rassegnerà al destino e ne vorrà comprare una parte in più presso stregoni antichi e moderni armati di creme e bisturi.

Le civiltà si fondano e maturano grazie ad altre virtù come il coraggio e l'integrità, ma poi alla loro decadenza si adagiano a comprare bellezza e piacere.

Quale bellezza può esserci in una molle proprietà orgiastica? Che bellezza può essere quella dissimulata, comprata, pagata fra satiri politici o accademici, fra capitalisti, latifondisti di persone, laidi tronfi dei materassi di denari e dell'arroganza di "posso e voglio"?

Non certo quella di cui cantano poeti e filosofi, psicologi e mistici. Quella Bellezza che manda in estasi i santi come Giovanni della Croce o Teresa d'Avila, ma anche quella che ha ispirato la Venere dalle Acque o l'altero David.

Insomma, il fatto che della bellezza venga fatto un uso squallido non esaurisce la grande virtù della "Bellezza". Non di meno, la virtù altrettanto importante sta in chi la guarda. La Bellezza è infatti prima di tutto una condizione interna all'osservatore capace di coglierla e di restituirla come proiezione dell' "oggetto" ammirato.

La Bellezza è una capacità che è dentro di noi, prima che in un tramonto, in un fiore, nelle vie di una città, nel suono del silenzio o nei tratti armonici e caratteristici di una creatura umana.

Per questo la bellezza che attira il politico, il ricco, il primario, l'accademico o il potente proietta nella desiderata e nel desiderato le doti estetiche della sua anima; e la volgarità che spesso trova fuori di sé mostra a tutti quanta volgarità sia dentro di sé.

Poveri di spirito, molti uomini e molte donne dei nostri anni ridono e dileggiano discorsi simili. Rimandano all'invidia di chi non può, banalizzano il bello come un desiderio valido per tutti, pensano che ci siano classifiche: il divo più bello, la stella più desiderata. L'universalità di una tale superstizione presume che il "volgo" abbia un'idea comune di quello che è bello: per questo una tale virtù è "volgare" per principio stesso.

Chi consulti un sito pornografico scoprirà che è quasi infinito il numero di donne e uomini che rispondono al requisito del volgo. Falli di ogni guisa e muscoli pieni, curve arrotondate e sicurezza di sé; seni pieni, turgidi, a coppa, a pera; culi imperiali, delicati, floreali; ani, vulve, verghe… quanta bellezza! che inflazione! Tutto questo ha un senso compreso fra il metabolico e il ludico. Ho poi un grande rispetto per la pornografia: non quella dei mercanti di possesso, ma quella essenziale, quella radicale raccontata da conoscitori profondi della crudele istintiva basicità della natura animale degli esseri. Ma questa è un'altra storia che appartiene ad un mondo indistinto, un pleroma di fango e carne che si trova agli antipodi netti della Bellezza e che non desidera altro che riportarla a quelle origini prenatali.

Il pensiero di fare mia la bella appartiene forse e tutt'al più alla mia adolescenza. Con gli anni e molto presto, in fondo, ho perso l'irrazionale anelito di potere fare mia la bellezza semplicemente possedendola: fidanzandomi o copulando.

Quando accanto a te per la strada passa un bell'uomo o una bella donna, poco importa che abbia il sesso con cui ti accoppieresti, come un arco riflesso condizionato chiami "desiderio" il guizzo che sorge dalle tue viscere. Si tratta però di un sentimento che non va da dentro a fuori, ma che rimbalza da fuori a dentro prima di uscire nuovamente all'esterno. Ossia, desideri essere come lui o come lei, ma soprattutto desideri essere desiderato perché così proveresti il sentimento di avere in te la desiderabilità che scambi troppo facilmente per bellezza. Quel desiderio è fratello siamese della comune invidia che poi virerà in gelosia.

Questa ridicola e triviale speranza del possesso della bellezza nasconde un pensiero magico di partecipazione per incorporazione, come se impadronendosene attraverso l'atto ludico simbolico della penetrazione si venisse a parteciparla e addirittura a parteciparne tutti, come nelle orge esoteriche.

Ma la Bellezza è come un lucciola che desideri afferrarla per essere un po' anche tu luminoso e nel momento in cui lo fai la uccidi e in quell'istante stesso perdi anche la sua luce.

La mia Bellezza è altrove.

Cerco una Bellezza intima, privata, riservata, fuori dall'evidenza di tutti.

La mia Bellezza che sono in fondo io.

Credo di avere raggiunto un traguardo nel momento stesso in cui ho maturato una "mia" idea di bellezza. Un tempo era confusa, complicata, incerta. Oggi invece potrei esprimerla in una formula, una sorta di sillogismo.

Per me la Bellezza è "manas", é energia spirituale che anima forme imperfette traducendo l'originalità dell'imperfezione in richiamo.

Questo manas, questa energia attrattiva è quello che io e forse molti altri chiamiamo "fascino".

Una donna bella è quella che per me ha Fascino e non quella piacente per uno standard formale apparentemente universale, ma in ultima dipendente dai gusti di un'epoca o dalle mode trasmesse dai media della nostra generazione.

Il primo passaggio è quindi il FASCINO.

Questo Fascino si disperde immediatamente in assenza dell'Intelligenza. Non il quoziente intellettivo, l'intelligenza combinatoria delle macchine calcolatrici, ma quella dello sguardo che riduce la realtà alla propria angolatura, all'interpretazione fulminante della propria estetica. L'intelligenza che lascia dietro di sé l'alone di incompiuto che perviene dal rispetto del dubbio, dal culto del dubbio. Perché senza aleatorietà non può esserci vero fascino: il dubbio e l'incompiuto è quel vuoto in cui subito la nostra fantasia si tuffa a pesce per riempirlo, per parteciparlo.

Il secondo passaggio è dunque l'INTELLIGENZA.

Infine, tuttavia, questa intelligenza potrebbe essere furbizia che dissimula il fascino. Una condizione tipica della seduzione, la dissimulazione che serve per truffare la sensibilità dell'altro, il più squallido dei più diffusi stratagemmi che la presunzione di possesso esercita per fare del male, in fondo più violenta dello stupro, perché dove lo stupro offende solo il corpo, questa, oltre al corpo stesso, deturpa e sfregia l'anima, la fiducia in sé e nel proprio sentimento interno di Bellezza.

Nessuna Bellezza è in fondo possibile senza l'ultimo e più importante ingrediente: l'AUTENTICITÀ!

Essere autentico e autenticamente Bellezza significa non avere bisogno di essere completato per amare - usiamo una volta sola questa difficile parola. Vuol dire muoversi con una naturalezza propria. Vuol dire provare una sana ironia per il desiderio altrui e anche per il proprio e soprattutto essere immediati e chiari, limpidi nel riconoscere la Bellezza Autentica fuori di sé, come per un diapason che risuoni la stessa nota, e nello stesso tempo puri nel lasciarla andare a percorrere libera la propria strada, paga il più delle volte di averla riconosciuta e qualche volta conosciuta (in senso non necessariamente biblico) meglio.

Per me la Bellezza è dunque figlia del fascino intelligentemente incompiuto pregno di pura autenticità.

Con l'età sono felice di sapere riconoscere nel mio prossimo sempre meglio un raggio di quella Bellezza che me la fa riscoprire come parte di me stesso. Il giorno in cui non sarò più capace di riconoscere quella bellezza sarò meno vivo. La vera povertà che spesso chiamiamo vecchiaia è in fondo non riuscire più a vedere ogni giorno e per ogni dove questa bellezza intorno e dentro me.

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