31 luglio 2006

Oltre l'elogio dell'assenteismo

Quello dell'assenteismo è stato considerato da sempre un malanno da estirpare dai luoghi di lavoro. L'assenteista è stato visto in diversi modi, e comunque generalmente come un tipo disonesto, un mangiapane a tradimento.

Eppure dovremmo considerarlo in una maniera diversa.
È comprensibile che un'impresa non possa permettersi uno spreco come quello causato dai dipendenti assenteisti. Questo è un criterio economico che mostra di avere tutte le ragioni. Non altrettanto vale per la connotazione etico-morale.

Il lavoro salariato è un'invenzione dell'uomo che non ha nella natura dei fondamenti innati.
È quindi una persona normale quella che cerchi di evitare di lavorare.
L'assenteismo è soprattutto presente laddove il frutto del lavoro non è direttamente percepibile. Se mi procuro il cibo perché ho fame è naturale che veda gli effetti del mio operato e mi faccia convinto a ripeterlo ogni volta che ne ho bisogno.
Più difficile è convincere qualcuno che è giusto che lavori, non tanto per ottenere un prodotto, quanto per meritarsi lo stipendio a fine mese.
La coercizione, lungi dall'essere un deterrente, favorisce il desiderio di fuga, e quindi il fenomeno dell'assenteismo.

L'assenteista in molti casi è il vero lavoratore ecologico. In molti casi l'assenteismo non è solo un puro e semplice atto di evitamento, ma spesso un gesto di dissenso in una situazione in cui non sono possibili altre forme di espressione (la condizione schizogena del doppio legame Batesoniano - Double Bind).

Ricordo alcuni direttori di azienda in pensione o prossimi alla quiescenza che durante una cena si complimentavano l'un l'altro di quanto avessero messo in atto del motto - ai loro occhi deivertentissimo e giusto - che gli uomini si dividono in due grandi categorie i "piglia" (dove lo si può facilmente intuire, visto che l'enfasi sul triviale è una delle connotazioni distintive della sintassi di potere) e i "ficca".
Agli occhi di gran parte di queste direzioni le imprese sono dei trenini, una piccola parte della rete ferroviaria del ciclo aliment-anale nazionale, continentale, mondiale.

L'assenteista, prima ancora di essere uno che si astiene dal lavorare è uno che si astiene dalla partecipazione a questo meccanicismo sado-masochista inefficiente e parassitario. In questo senso non fa del male ai bilanci aziendali: fa del bene, piuttosto, in quanto riduce lo spreco di quest'attività residuale che è diventata presto dominante nelle organizzazioni del bel paese.
Come dire che in Italia ci sono picchi di assenteismo proporzionali all'immoralità del potere anti-economico.

Lungi dal proporre un'apologia dell'assenteismo, ne suggerisco l'interpretazione come sostanziale epifenomeno della direzione aziendale centrata sul potere, anziché sul risultato (out). Se la direzione lavorasse per il risultato ci sarebbero molti meno dipendenti assunti per riempire di risorse la giustificazione del potere del responsabile. L'assenza della persona necessaria si traduce in un'immediato effetto di visibilità. E soprattutto ci sarebbero meno sostituzioni di persone critiche con personale temporaneo incompetente.
Purtroppo il precariato, così in voga negli ultimi tempi, non fa che motivare l'assenteismo: non solo e non tanto quello dei precari stessi, quanto soprattutto quello degli equivalenti in ruolo che si trovano a fare quello che l'assunzione temporanea non riesce a realizzare, pur essendo implicitamente squalificati, in quanto equiparati a dei precari (in quanto tali non indispensabili).

Una buona direzione saprebbe che cosa far fare alle persone e come trasmettere la visibilità del proprio operato ai dipendenti. Lavorare "con te" e non "per te", questa è l'unica razionalità in grado di controbattere le ragioni nobili dell'assenteismo critico.

Una nuova filosofia delle risorse umane prevede che si lavori quel che serve, in quanti - e competenti - si rendono necessari per un risultato percepibile e riconosciuto in un sistema d'impresa bilanciato e dinamico, più smart che heavy, più intelligente che potente.

24 luglio 2006

A proposito di solitudini...

...più o meno in questi giorni, correva il 1999, scrivevo per l'Intranet dell'azienda in cui operavo un articolo dal titolo post-bertolucciano "Io corro da solo".
Si trattava di una riflessione sul cambiamento della cultura organizzativa per quanto attiene l'etica del lavoratore e del manager (che alla fine era e sempre più è diventato un lavoratore come altri).
Questa è un'istigazione a leggerlo "sette anni dopo" (e per alcuni amici a ri-leggerlo) per confrontare il disappunto di allora con l'indifferenza di oggi. Che sia un po' come la storia della rana che messa nella pentola a freddo si lascia cuocere diversamente da quanto farebbe se la si buttasse nell'acqua bollente?
Oppure erano tutti piagnistei immotivati e la nave va...?
Sarei curioso di conosce la vostra prospettiva personale (come al solito inseribile in commento).
Un pensierino per le ferie o per appesantire la canicola. Prima di ricominciare perché, si sa, "Roma rinascerà più bella e più superba che pria".

Chi ha voglia di leggere il pezzo lo trova qua

Per gli altri, qualche breve estratto.
"La cultura della mediazione e della dialettica é la piú avversata dal liberismo capitalistico estremo nello stesso modo in cui é combattuta dai brigatisti. Se Menenio Agrippa fosse vissuto oggi sarebbe stato giustiziato da un nucleo armato plebeo o ridotto ad accattonare dalle lobbies capitalistiche patrizie. E qualcuno pensa che sarebbe stato meglio cosí."
"Allora io corro da solo, fra delusioni giovanili e impotenze senili.
Corro da solo senza un'anima che mi guardi, che mi dica se ciò che faccio è male o bene; nessuno che mi mostri quello che ha fatto lui, o che prenda a discutere del lavoro comune o dell'azienda a cui si apparterrebbe.
Corro da solo il mio rally fermandomi sempre meno, su auto bollenti e rumorose dai sedili di ferro, dopo avere licenziato il navigatore in modo da avere tutta la gloria per me e rendere sempre piú soddisfatti gli spettatori sugli spalti, affamati dello spettacolo che solo la sofferenza e la morte possono offrire, e per arricchire un team delle corse fatto di gente che neppure conosco.
Io corro da solo, pigiando a fondo sull'acceleratore, ebbro della vertigine del mio destino che mi aspetta dietro una qualsiasi di quelle curve e che ora assorbe del tutto la mia dolorosa mente stanca.
Io corro da solo, e la velocità cancella il mondo attorno e la vita davanti."

16 luglio 2006

Non sei solo

Come ogni mattina esci di casa e non vedi la gente intorno a te. Pensi a quello che devi fare e non sai come farai a farcela, un altro giorno ancora.
Le persone che passano sono anche loro probabilmente immerse in pensieri come i tuoi, oppure a loro va bene così e sei solo tu che sei un satellite uscito dall'orbita. Ti sfiora lontano un ricordo dell'infanzia: una strada bianca tuo padre e tua madre giovani accanto a te e ti senti stretto da un abbraccio anche quando siete lontani perché il loro sorriso è dentro di te. Lasci allora che questa memoria dolce si giri in nostalgia e rimpianto per quello che è perso e non tornerà.
Adesso invece nulla riesce a darti quella sensazione, neppure la tua famiglia. Tutto il resto è invece fatica, un insieme di eventi che complottano contro di te. Dai capi ai colleghi di lavoro, dalle tasse ai ladri, dalla città sempre meno sicura all'incertezza sul giorno di domani, gli avvocati e i medici…
Tutte le cose pesano sopra di te come un ciclopico amante che ti schiaccia e vuole tutto di te, a cominciare dalla tua anima.
Ci sono giorni che nascono così e sembra impossibile fermarli. Eppure il giorno dopo o forse anche qualche ora dopo, non appena qualcosa torna a giocare a tuo favore, diventa tutto più facile, anche se dentro di te ti ripeti che non durerà.
E ci sono giorni che si susseguono così, pesanti, e neppure la notte ti salva perché continui a sognare la tua persecuzione. Allora pensi che non ci sia più speranza, che alla condanna di Sisifo non ci sia scampo. E rinunci e ti viene voglia di gridare, di scappare, di uccidere e di fare qualsiasi cosa o di non fare definitivamente più nulla.

E ora io che voglio e che posso fare in tutto questo? Probabilmente non molto, perché alla fine capita così anche a me. Quello che conta è piuttosto quello che possono fare le risorse che sono in te.
Così voglio chiederti di leggere con lentezza quanto segue, più piano di come stai facendo adesso, perché c'è bisogno che trovi dentro di te il corrispettivo delle mie parole, l'esperienza dalla parte della tua esperienza, la memoria buona della tua esistenza.
Desidero solo chiederti di fermarti per un attimo, di sederti comodo e di non pensare più. Di sorridere anche se non ti hanno raccontato una barzelletta e non ti sembra ci sia nulla da sorridere. Sorridi e lasciati prendere più che puoi tutto il tuo corpo da quel sorriso lieve.
E poi diventa consapevole che sei sempre esistito, probabilmente da un'infinita serie di vite. Che ti è già successo di tutto e che ogni volta pensavi che quella volta lì non ce l'avresti proprio più fatta. E invece poi magari è peggiorata ulteriormente. E nonostante questo sei sopravvissuto. Pensa che anche oggi stai diventando ciò che sei e che non devi essere più perfetto di ciò che sei. E pensa che l'imperfezione di ciò che stai divenendo è la tua perfezione, ed è bella, comunque sia.
Poi guarda attorno a te con gli occhi della mente. Sorridi e sfuoca lo sguardo. Se osservi bene scoprirai di essere circondato da fantasmi felici.
Sono le figure che ti hanno amato e che ancora ti amano. Bambini, donne, uomini, anziani… nonni e nipoti, amici e amanti, compagni di viaggio e incontri casuali di qualche minuto…
Le persone di quei fantasmi possono essersi perse, scomparse, oppure possono addirittura averti poi tradito o ferito, ma quelle immagini ancora ti amano e fanno parte di te. Non cercare mai di ucciderle o di farle scomparire! Sono vive e sono sempre esistite, perché fanno parte di te.

Ora te ne puoi accorgere: non sei solo! Non sei mai stato solo! E nei momenti più bui, quando lo scoraggiamento ti sembrerà universale, neppure allora sarai mai solo. Non sarai mai stato solo neppure per un attimo di tutte le tue vite.
Le figure che hai incontrato e che incontrerai sono qui e la guida che abita in te le conosce tutte ed è consapevole della loro forza. Attorno a te navigano le energie dei maestri che accompagnano gli uomini e le donne da quando sono bambini fino a quando non calcano più il terreno. E la tua anima viaggia sempre abbracciata a loro e sa di non essere sola neppure quando la tua mente si dispera e annega nel buio della mancanza di fiducia.
Ogni volta che ti racconterai la bugie che nella vita conta questo o quello, che se non arrivi lì nulla sarà mai importato, che tu hai dei problemi reali e concreti e che tutte queste sono favole senza realtà… ogni volta che lo farai - e lo fari, stai certo, se mai non lo stessi facendo già - la guida che è dentro di te (puoi chiamarlo inconscio, se vuoi) ne sarà consapevole e con una botta in testa quando meno te lo aspetti, ti costringerà a fermarti e cercherà di fartelo ricordare, di fartelo ammettere.

Sappilo sempre!
Non sei solo, non lo sei stato mai e mai lo sarai.