29 dicembre 2010

Investimenti per l'anno nuovo

Osservando il turpemente triste debordare della catena di negozi "Compro Oro", mi rododendronavo per essere stato troppo pusillanime e condizionabile quando tre anni fa volevo convertire i miei pochi ma volatili risparmi nel metallo del diavolo, essendo sicuro dei tempi che sarebbero arrivati. Mai fidarsi dei consigli degli impiegati delle banche e di familiari e amici col pallino degli investimenti!

La cosa che conta di più nei fatti di soldi è quella di mai piangere sul latte versato (seguita a ruota da quella di non versare il latte, se possibile).

Il fatto è che, oggi come oggi, non c'è nulla su cui investire che non si trasformi in un modo per mettere a rischio i pochi averi già del loro orientati a trasformarsi rapidamente in carta straccia per fare ancora più ricchi i soliti speculatori, gli sciacalli della finanza e della politica e i loro amici cogenere amministratori delle grandi imprese, oltre all'immenso popolo dei funzionari leccapiedi e all'orda oceanica dei platelminteschi dirigenti pubblici, tutti accaniti sulla carogna di un paese immemore del tempo dei Manzi e dei Mattei.

Ci ho pensato a lungo e sono arrivato ad una conclusione che mi sembrava semplicistica, ma che più ci penso più mi convince e per questo la consiglio a tutti voi e vorrei anche consigliarla agli - in fondo non così pochi - italiani onesti che hanno qualche facoltà di influenzare gli indirizzi delle persone e delle scelte più generali.

Ci sono tre generi su cui ognuno di noi e tutti quanti insieme possiamo investire per sviluppare ricchezza individuale, ma soprattutto familiare e, in questo senso, transgenerazionale. Si tratta di:
  1. Investire in Tempo Libero
  2. Investire in Salute e Benessere
  3. Investire in Civiltà globale
Ho detto delle banalità? Capita spesso alle questioni più difficili da comprendere, per quanto risapute e ripetute, di essere prese per banali. Le implicazioni di questi consigli sono molteplici e varrebbe la pena per ognuno di noi di tenerle sullo sfondo per scoprirle meglio giorno per giorno, ma vorrei brevemente commentarne alcune a mo' d'esempio.

Per quanto riguarda il Tempo Libero, si tratta del bene primario che acquistiamo con i nostri sforzi, perché alla fine guadagnare per mangiare e mangiare per sopravvivere senza poi beneficiare in alcun modo del proprio tempo di vita che non sia quello di procurarsi da mangiare non ha alcun senso. A questo si aggiunga che un periodo recessivo come questo ha bisogno di pensieri e attività nuove e che quelle prodotte dalle attività tradizionali giunte ormai alla frutta (qualcun altro direbbe "alla canna del gas") sono ampiamente da ridimensionare. Il vero problema è che spesso sembra che non sappiamo come usarlo poi quel tempo libero (il cui valore economico oggi è altissimo): ci vuole un certo impegno per qualificarlo al massimo e questa è una sfida, ma se superiamo il condizionamento da "product life cycle"-dipendenza scopriamo che eravamo dei muli che giravano attorno al palo, anche dopo che la corda si era spezzata e che si tratta solo di togliersi i paraocchi perché il resto venga da sé.

Quanto al Benessere, sembra di dire una cosa scontata ("la salute prima di tutto"), ma non è così. In cambio di un costosissimo parcheggio in qualche resort salutistico che fa molto jet set, ci roviniamo il resto del tempo in una vita automobilistica, inquinata, a colpi di panini sanguinolenti, grassi e pesanti, senza rispetto della sicurezza e dell'igiene del lavoro e domestica. Oggi, ogni tanto riesco a farmi fare un massaggio, ma devo ancora organizzarmi per fare del movimento, per giocare, per rilassarmi e per conoscermi meglio prima che sia troppo tardi.

Infine, nulla ha senso se non viviamo in un contesto civile. In un paese di ladri come quello che cantava Venditti, sembra impossibile che ci siano finalità migliori di quella di arricchirsi ai danni dei vicini e perfino di amici e familiari. Eppure i paesi migliori che per me sono quelli di matrice protestante e calvinista come l'area scandinava e i Paesi Bassi, oltre alla vicina Svizzera che, con tutti i difetti e i limiti che ognuno di noi ha, sanno da sempre che il valore di una convivenza efficace è il capitale più lungo da accantonare e far rendere, ma che costituisce le fondamenta di tutto quello che gli costruisci sopra, e quanto più profonde sono tanto più serenamente e quindi solidamente si vive tutti. Se costruisci in zona sismica e senza fondamenta o se queste le fai superficiali e magari affondano nella sabbia, sopra ci puoi costruire l'abitazione egoisticamente e vanitosamente più sontuosa che vuoi che la tua casa non varrà niente, anche se chi ci passa davanti ti invidierà prendendo in giro l'altro che vive in un edificio modesto ma solido. Chi ci abita, la venderà presto al gonzo che si farà i debiti per una vita per scoprire che dopo qualche anno i debiti sono tutto quello che gli resterà, perché il resto si sarà sbriciolato, mentre andrà a bussare alla porta di quello deriso prima, accompagnato da un politico e un avvocato per esigere ospitalità seguendo la legge caricaturale di un noto ministro condensata in "Le tasse sono bellissime".

Eppure, se anche ti verrebbe voglia di fare strage dei parvenu goderecci ed egositi del craxismo e dell'edonismo reganiano, siamo costretti a trovare un compromesso per non affondare tutti insieme. Tutto va bene, ma a un patto soltanto: che i sacrifici di oggi - quelli almeno - vadano a capitale civile e non bisnèss' alla partenopamericana. Torniamo ad investire in Civiltà, come fecero i nostri genitori e i nostri avi che quando facevano sacrifici per la famiglia non si sentivano scemi o poveracci, ma piuttosto nel loro piccolo dei modesti supereroi di una vita dura ma dignitosa e non certo indegna come la maggior parte dei miti di massa di oggi!

Ecco l'augurio per il 2011. Investiamo in queste risorse (e in quelle collegate, come il risparmio energetico, la riduzione di sprechi e soprattutto di rifiuti, e le cose che sappiamo tutti) e, quandunque il mondo dovesse finire nel dicembre del 2012, scompariremo un po' meno poveri di quanto siamo oggi.

22 dicembre 2010

Batti il nemico rendendolo consumabile

Viviamo in un mondo dove siamo consumati a tutto, ma poi ci entusiasmiamo e ci indignamo a bacchetta e non senza una certa noia.

La notizia è che, nel giro di un giorno o due, l'applicazione Wikileaks per iOS (il sistema di iPhone, iPad e iPod Touch) ha visto l'alba e il tramonto senza godere del meriggio. Si trattava di un programmino fatto da terze parti che si faceva vendere a poco più di un euro e mezzo per pubblicare un giornalino da telefono con le notizie distribuite in lingua madre dal sito corsaro. Da Cupertino non si sono fatti aspettare e i portavoce di Apple hanno rimosso l'applicazione con la motivazione che "Un’applicazione deve rispettare tutte le leggi locali. Non può mettere un individuo o un gruppo di persone a rischi".

Quello che mi sembrava interessante non è questa notizia - peraltro ampiamente scontata - quanto il fatto che dallo scandalo si sia passati al business. Si tratta Wikileaks come un giornale di gossip. Siamo oche all'ingrasso del meccanismo del pettegolezzo e ci dichiariamo annoiati, abituati come siamo a sentirci dire di tutto e tutto e il contrario di tutto che non ci stupiamo né ci indignamo di quello che è evidente, ma ci eccitiamo e ci scandalizziamo per degli stimoli in attesa di qualcosa di eccezionale che avviene solo nei telefilm americani (che per soddisfare questo bisogno superano se stessi nella sfida all'inverosimiglianza).

Alla fine anche Wikileaks è stato mangiato e digerito dalla macchina consumistica: perché mai dovrebbero far fuori Assange quando hanno già utilizzato le loro rivelazioni per abituare tutti ad accettare come poco appetibile, divertente, eccezionale persino le più terribili e dimostrate? Perché combatterlo, quando per annientarlo basta poterlo vendere come un videogioco?

Il mondo si cambia per contagio, dal qui e ora, da tu ed io: questo sì che è un vero film horror!

12 dicembre 2010

Foxconn supera la soglia di 1 milione di operai

"Le esportazioni della Cina hanno raggiunto un record il mese scorso, grazie alla crescente richiesta dei mercati occidentali. In ottobre il governo cinese dichiarò che le vendite erano cresciute del 19% rispetto all’anno precedente e che avevano superato 158 miliardi di euro"
Melablog
Ennio Martignago via iPhone


Location:Via Rivara,Torino,Italia

10 dicembre 2010

Quando la posta fa la differenza

È da sempre un braccio di ferro, ma anche una rivalità sinergica quella fra il browsing e il mailing. La differenza spesso la fanno le applicazioni, ma negli ultimi anni le applicazioni on line, il cosidetto Web 2.0, e i social network hanno segnato la differenza.

Se fino a qualche anno fa non sussisteva nessun dubbio sulla priorità del client di posta elettronica, le funzioni avanzate di Gmail e dopo di lui gli altri hanno ribaltato la situazione e molti di noi finiscono per usare più frequentemente l'interfaccia del browser per tenere conto delle comunicazioni.

A rimettere in discussione il tutto è stata poi l'ambizione di Mark Elliott Zuckerberg che sta trasformando sempre più il suo Facebook nello strumento di integrazione allways on dei contatti, un sincretismo fra posta, chat, blog e, ovviamente, social network.

A rimescolare le carte arriva NutshellMail. Si tratta di un'integratore di applicazioni on line, marcatamente di social network, che si occupa di trasmettere periodicamente, fino ad ogni ora, gli aggiornamenti dei propri principali account financo alle pagine Facebook, per consentirci di riceverli come digest nella propria casella e-mail.

La cosa funziona bene per sostituire i numerosi avvisi dei tanti servizi cui siamo iscritti e di cui ci siamo fatalmente scordati con un unico memorandum. Con alcuni siti va particolarmente bene - una cura particolare viene rivolta a Facebook, neanche a dirlo - mentre altri non sono sostituibili, in particolare chi ha un Twitter particolarmente ricco di follow non trarrà alcun beneficio da questo sistema.
La società ConstantContact ha realizzato su Youtube un proprio canale e uno per lo stesso NutshellMail dal quale si possono evincere le caratteristiche e i possibili utilizzi dell'applicazione che valgono più di molte parole.



Il prodotto, poi, potrebbe essere una buona idea per un futuro catalizzatore che sfrutti la posta elettronica per rianimare o anche fare compiere i primi passi alla condivisione e alla collaborazione nelle aziende e nelle organizzazioni, dove Wiki e Social Network hanno incontrato non poche difficoltà a penetrare, probabilmente proprio a causa dell'esagerata inflazione di strumenti (qui le sole alternative possono essere costituite, sicuramente da Yammer ma anche da Huddle).

Che sia solo "another brick in the wall" del Web 2.0 non lo si può sapere fino a che non saranno passati almeno un po' di mesi. Per ora possiamo constatare che si sta evidenziando di sicuro una grande carenza: una vera idea geniale per cambiare i nostri mail client e i PIM, rimasti tutto sommato ancora ai tempi di Notes - se non del primordiale PLATO.

09 dicembre 2010

Di rivoluzioni, banche e calciatori

Nel suo blog "ParoleFattiPensieri", Vittorio Pasteris è fra i pochi a rimarcare l'eco cisalpina dell'outing dell'attore ex-calciatore francese Eric Cantona, che in un'intervista pubblicata in rete propone una strategia semplice e incruenta per dare il via alla rivoluzione facendo saltare il sistema: che tutti, tutti insieme, si tolga il proprio denaro dalle banche dove riposa a tutto profitto dei manipolatori multinazionali e dei loro sgherri amministrativo-politici.


Fortunatamente non esistono solo i social network, dove le comunicazioni scompaiono in men che non si dica, perché se l'avessi scritto solo là (dove peraltro mi sono permesso parole più forti) non potrei dimostrare

Le grandi banche, quelle che stanno pignorando le case dei disoccupati, dopo avere prosciugato le casse dello Stato per tamponare i guai degli investimenti sui future nelle banche delle lobbies americane e avere dato a piene mani alle grandi imprese per lasciare le piccole a farsi sbranare, prese nel sandwich tra Amministrazioni canaglie insolventi e mercenari aguzzini targati Stato con l'etichetta Equitalia, queste vergini di Norimberga non hanno atteso molto per fare presente che non avrebbero erogato più di duemila euro alla volta.

Lo stesso Cantona si è ben guardato dall'andare, come promesso, a portar via i suoi di soldi dall'istituto dove riposano, forse perché lui è uno di quelli che avrebbero più da perdere se saltassero le banche.

Tuttavia, esiste sempre una variante meno rivoluzionaria, diciamo così, "riformista" alla proposta originaria: che tutti i dipendenti, assieme al popolo della Partita IVA (quest'ultimo peraltro sempre più bersagliato da pubblicità e ricatti), andando ad informarsi di quelle che sono meno slegate dai poteri forti e dalla catena di santantonio degli Istituti, portassero via tutti insieme i loro conti correnti riposti nei grandi Istituti Bancari i cui nomi sono noti ai più, e li andassero a depositare in quelle poche, ma non inesistenti piccole casse di risparmio locali (perché proprio queste non possono iniziare loro una campagna pubblicitaria del tipo "questa banca è realmente diversa perché fuori dai circuiti della speculazione"?).

Che soprattutto i dipendenti togliessero l'accredito dei loro stipendi dalle Grandi Banche per portarli in quelle piccole. Quest'ultima operazione non può andare incontro a nessun ostacolo, né rischio per il risparmiatore ed è abbastanza rapida per essere realizzata subito. Il suo impatto non darebbe seguito certamente ad alcuna rivoluzione, ma farebbe saltare nervi e poltrone a tutto il meccanismo economico che regge questa nuova oligarchia finanziaria despotica che si fregia immeritatamente del titolo di "democrazia"!

Purtroppo, non essendo calciatore e neppure in pensione, la mia proposta è destinata a morire tra le virgole di questo blog, ma pur soltanto contribuire a rendere consapevole qualche amico e lettore degli strumenti che avremmo in mano per non farci soggiogare del tutto dal circo mediatico della politica e della "crisilogia" ritengo possa essere un buon farmaco antidepressivo anche per loro e una buona soddisfazione per chi scrive.
un certo anticipo sulla plaudibile proposta del calciatore francese. C'è da dire che, pur al tempo della rete e pur essendo la fonte in rete, certi messaggi arrivano solo se sei almeno un calciatore in pensione.

05 dicembre 2010

Il solo potere

Mentre nella Roma del tardo impero i Senatori e le Famiglie tessevano alleanze ed equilibri, camaleontici - o capezzonici? - volta-faccia e s-facciati opportunismi, erigendo e abbattendo statue nel breve volgere di vita di una farfalla o di un'imperatore che Hegel avrebbe potuto consacrare nella sua Storia ruffiana, come batteri e platelminti e mosche e vermi, i veri eroi depredavano e mettevano accampamenti nel tessuto purulento di uomini e donne e bambini che non si accorgevano di nulla di tutto ciò, impegnati com'erano a non perdere il loro posto in prima fila alle cloache del loro potente del momento, non importa a quale Gente appartenesse, che niente poteva veramente al di là del piccolo potere che riusciva ad esercitare solo su quelli che aveva attorno. E più li umiliava e più accorrevano! Nessuna monarchia ha avuto tanti despoti nepotisti corrotti come una repubblica decadente. O forse non sono mai esistite né monarchie né repubbliche, ma solo illusioni. Prima fra tutte che l'uomo faccia la storia e che la storia faccia il mondo.

Alla fine, quando la lavagna è così sporca di disegni e di collegamenti mutuamente intoccabili, fatti col gesso da infinite mani su cui nessuno può più ricostruire un tratto coerente, allora i gessi non servono più! Solo lo straccio può! E quando è molto sporco, occorre anche l'acqua, e l'alcol, oppure cose ancora più forti. Al limite, si cambia lavagna, no?!

Alla fine avrà ragione di tutto l'Orda.
L'Orda sarà la sola logica: senza un'emozione s'imporrà nel tempo di un gesto.

La sola verità su tante ragioni è l'Atto, la grande febbre, l'epidemia. La ragione ultima è il Fatto, l'Evento, la Catastrofe. Le parole nulla possono sul rivolgimento e a scriverlo non sarà nessun uomo, ma l'Orda: non fu Attila, ma gli Unni, le mogli dei soldati, i figli, i loro cavalli, il rumore, l'odore del sangue… Come i Vichinghi, la Peste Nera, la Grande Guerra. Che cosa è rimasto dei poteri, dei banchieri e dei mafiosi che certo avranno abitato anche fra gli Atlantidei? Tutto sommerso, compreso il benché minimo segno di una loro remota, ma non troppo negli eterni tempi del pianeta, esistenza.

Il vero eroe tragico del nostro tramonto sono convinto che sia il Colonnello Kurtz e il suo disvelamento ultimo, il solo Demiurgo dietro tanti fantocci e simulacri di capi e di verità da Orda: «L'Orrore… l'Orrore!»


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27 novembre 2010

Ancora su riforme e manifestazioni

Spargo un po' di pensieri molto personali sul tema delle proteste dei giovani, dell'istituzione scolastica e della cultura. Presunzione? E perché no?!

"Figlio mio, sono orgoglioso se difendi il tuo presente e fai rispettare il tuo futuro. Vorrei che questo fosse ben chiaro come premessa a tutto quello che segue. Una vita senza utopie è una vita da amebe e sprecare una vita è uno dei peggiori peccati capitali!"

"Nei miei ricordi non è la piazza che mi ha fatto crescere, ma la sua preparazione e la sua continuazione. Manifestare è la celebrazione festosa e/o rabbiosa del lavoro che l'ha preceduta, della riflessione e del confronto, dell'unione e della separazione, del pensiero e del cuore. Ti ci ritrovi? Se sì, insisti. Se no, ricomincia"

"Strumentalizzati? Non dire che non lo siete cascando nell'errore retorico della contrapposizione. Siamo tutti strumentalizzabili e strumentalizzati in ogni istante del giorno. È facile esserlo quando protesti come quando ti conformi. Se quelli che guadagnano grazie alla tua protesta però non sono lì con te in piazza quando protesti (magari perché così non perdono lo stipendio della giornata), allora un pensierino ce lo farei…"

" 'Lottare contro' è come lamentarsi per il piatto che si ha davanti con il rischio di finire per accettare il digiuno come unica alternativa. Se vuoi il futuro 'lotta per'! Sappi quello che vuoi, organizza le scelte combinando vincoli e risorse, individuando le priorità, avendo il coraggio di decidere tante rinunce: solo chi sa a cosa rinunciare può dire veramente di avere diritto di volere"

"La riforma Gelmini non è una vera riforma. Di buono ha che una volta tanto afferma che possiamo permetterci di cambiare (Andreotti diceva che ci sono due pazzi: quelli che si credono Napoleone e quelli che pensano di sanare le Ferrovie - cambiare la scuola? neanche i pazzi allucinano tanto). Il resto è un coacervo disorganico di pasticci. Molto probabilmente fallirà, ma in quel momento avrà raggiunto il suo vero obiettivo: distogliere l'attenzione dalla Finanziaria - anche se non si chiama più così. Questo più di tutto il resto è "non farsi strumentalizzare". Vuoi lottare? Lascia stare le pagliacciate e scegli come bersaglio la truffa economica che, non solamente un governo, ma una moltitudine di soggetti, un'intera generazione di egoisti intenta nei confronti della tua per poi aggiungere al danno la beffa di deridervi, magari chiamandovi 'bamboccioni', come potrai vedere, da uno scranno diverso, ma pur sempre dalla stessa anima nera!"

"Non sono gli insegnanti (magari due o tre per scuola, sì, ma non di più) a manifestare con voi, ma tanti precari: questo fatto ha molto meno a che vedere con istruzione e cultura e molto più con la negazione della crescita che vecchi benestanti perpetrano nei vostri confronti per vivere bene la loro vita fino all'ultimo, per la loro rabbiosa paura della morte, per il rifiuto della vecchiaia. I precari sono rimasti studenti: per questo sono a fianco a voi. Liberatevi assieme, ma per farlo dovete fare piazza pulita di questo modello economico"

"Perché le vostre manifestazioni fanno tanta simpatia fra i vostri genitori, al punto che in molti casi si mettono nei vostri panni, magari con qualche rigurgito nostalgico? Perché per una volta li liberate dal dilemma etico e politico. Possono parteggiare facile, proprio come fare il tifo, perché stare coi tuoi figli è facile e anche giusto. Perché stiamo vivendo in anni in cui complessità e complicazione ci rendono tutti impotenti: non si può mai fare una scelta senza portarsi dietro mille ragioni che la rendono impraticabile. Con la rivolta per la Gelmini sembra di essere tornati ai tempi della Grande Semplificazione: una volta tanto ai vostri genitori spunta l'opportunità di identificare il cattivo da una parte e il buono dall'altra senza problemi di coscienza - tanto più che quello che si va ad abbattere è stato messo lì proprio per quello scopo. Anche questa è una simulazione e aiuta a scaricare la rabbia e i sensi di colpa nei confronti del futuro dei figli"

"Alla fine, per esemplificare concretamente, non protestate contro la Gelmini e non occupate i monumenti… lottate per l'abolizione dei Provveditorati e di tutte quelle paludi che sono feudi burocratici mangia-soldi e mortificatori della cultura vera; sai quanta scuola finanzieresti chiudendo i soli Provveditorati?! Occupate i Provveditoriati, cacciate via a calci nel culo i dirigenti della Provincia e di tutta l'amministrazione pubblica che ci rovinano la vita e le scuole con essa per avere un pretesto per esigere soldi, come quei professori che non vogliono essere valutati nello stesso modo in cui i burocrati vogliono valutarli solo per creare occasioni di potere e guadagno per loro e per qualche loro amico o protettore"

"Infine, anche se quello che scrivo può essere troppo facilmente frainteso, ti dico: «Non difendete la Scuola. Distruggete la scuola!». Abbattete l'istituzione scolastica. Disvelate la mistificazione che si nasconde dietro il pretesto della Cultura. Nessuno di quelli che ci comandano hanno imparato dalla Scuola. Credi nella Cultura, ora e sempre di più, ma non credere che questa ti venga data da una struttura, da una procedura, da un'istituzione. Nella maggior parte dei casi è la Scuola ad esser stata l'antesignano della televisione nell'appiattire la Cultura intesa come conquista personale e sociale. La Cultura vera è la più importante arma per distruggere questa Scuola dissoluta, le generazioni che ha creato e con essa l'Istituzione scolastica in generale. Non decidere da che parte stare guardando la TV, leggendo i giornali o sentendo le chiacchiere da sala d'attesa dei cosiddetti adulti. Impara da come imparavano i classici, ricordando che lo sono diventati - Classici - solo perché non hanno mai avuto nessuna istituzione scolastica e prima di dire la tua, prima di credere che perché si chiamano anarchici quelli lo siano veramente, prova a leggere almeno qualche pagina di Ivan Illich: non era un professore, era uno spirito libero. Se devi imparare qualcosa cerca di capire che cosa vuol dire essere libero e diventare saggio appassionato e a farlo in mezzo agli altri anche quando sembra impossibile. Se la Scuola come luogo d'incontro te lo consente, forse qualcosa di quella vale la pena salvarla, altrimenti usala per imparare! Che cosa? Imparare come si eludono le istituzioni e si riconquista il diritto di vivere una vita propria e non vissuta per procura"

"Sono ogni giorno più vecchio, ma non smetto di essere curioso e affamato. Quietamente, ma libero dagli schieramenti, appassionato delle persone reali e per niente delle facili verità. Mettiti al posto della mia età solo per un attimo e poi prova a costruire il tuo presente per come vorresti ricordarlo. Di sicuro non andrà come vorresti (e sarà certo per il meglio), ma sarà più tuo e, soprattutto sarai più sereno nel dimenticarlo domani, una volta per tutte, assieme alla Gelmini e ai bamboccioni e alla Scuola e alla maggior parte dei professori, dei compagni e delle compagne. Cultura è liberarsi dalle regole e dall'attaccamento, lottare per quello che fa parte di te e solo per quello"

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26 novembre 2010

Sosteniamo WikiLeaks

Lo staff di giornalisti "militanti" capeggiato dallo stesso Julian Assange, che da quando ha cominciato a diventare fastidioso per i servizi segreti statunitensi si è proditoriamente scoperto essere un violentatore ricercato, ha messo le mani su documenti che svelano gli intrecci diplomatico economici che porterebbero a nudo molte fra le principali dinamiche della dittatura mafiosa internazionale nota ai più come "Democrazia".

È la definitiva fine, per chi ci credesse ancora, dell'età dell'innocenza degli Stati: si aprirà il coperchio della scatola di Pandora e si scoprirà la materia di cui sono fatti gli incubi? Sarà più probabile una persecuzione, l'oscuramento del sito, l'inibizione dei routing, altre persecuzioni giudiziarie, killer di Stato per le strade... Sono disfattista? Non credo proprio.

Che cosa possiamo fare noi altri, maggioranza silenziosa? Non perdiamo di vista WikiLeaks, non facciamoci obnubilare dal gossip mediatico (dal calcio, allo sciacallaggio sui delitti, alla prostituzione delle celebrità...) e continuiamo senza sosta a seguire le vicende, gli aggiornamenti di prima mano! Dentro potrebbero esserci proprio tutti i livelli, da quelli delle mafie, quelle russe, le cinesi e le nostrane, agli affari, dalle Isole Vergini, al Lussemburgo agli accordi dei Marchionne del mondo.

Forse non potremo fare rivoluzioni, ma la coscienza è importante, per quanto possa fare soffrire.



(...) Con la forza di un ricatto
L'uomo diventò qualcuno
(...)
Innalzò per un attimo il povero
Ad un ruolo difficile da mantenere
Poi lo lasciò cadere
A piangere e a urlare
Solo in mezzo al mare
Com'è profondo il mare

Poi da solo l'urlo
Diventò un tamburo
E il povero come un lampo
Nel cielo sicuro
Cominciò una guerra
Per conquistare
Quello scherzo di terra
Che il suo grande cuore
Doveva coltivare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare

Ma la terra
Gli fu portata via
Compresa quella rimasta addosso
Fu scaraventato
In un palazzo,in un fosso
Non ricordo bene
Poi una storia di catene
Bastonate
E chirurgia sperimentale
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare

Intanto un mistico
Forse un'aviatore
Inventò la commozione
E rimise d'accordo tutti
I belli con i brutti
Con qualche danno per i brutti
Che si videro consegnare
Un pezzo di specchio
Così da potersi guardare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare (...)
Lucio Dalla, 1977

25 novembre 2010

Il valore del codice etico aziendale e delle certificazioni di sostenibilità

Che cosa succeda al gruppo Menarini, come a Dolce e Gabbana, ve lo lascio approfondire nella cronaca dei rotocalchi cartacei e on line.

A circa un decennio da Enron ecco a che cosa servono le certificazioni di responsabilità sociale delle aziende!

Chi chiede conto delle certificazioni ai certificatori?

Quanti soldi girano con queste plastiche di ricostruzione della verginità?!

Quanto incidono sui fondi etici? E chi controlla l'etica dei gestori di fondi etici?

Tangentopoli esce dalla porta e rientra dalla finestra, ma sbaglia chi pensa che il fenomeno sia tutto italiano: da Dallas a Firenze la strada è lunga, anche se c'è qualche "metalmeccanico", come ama definirsi, che sosterrebbe il contrario, e la catena alimentare offre opportunità a tanti di quegli operatori certificati e imprese certificate.

Un'azienda seria dovrebbe oggi chiedere conto degli influssi negativi che certificatori di comodo hanno nei confronti dei loro investimenti in responsabilità sociale. Nessuno busserà mai a quella porta.

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21 novembre 2010

Messaggio ad un amico…

…era per lui, ma poi ho pensato che non ne avrebbe avuto a male se lo condividevo con qualcun altro: gli amici che senti vicini in fondo non sono mai separati pur non conoscendosi.

«Sono nato senza alcun significato.

Poi mi hanno dato un nome e con esso sono stato contagiato.

Ho scoperto che cosa vuole dire separazione dopo che sono stato confinato nella gabbia del significato che mi hanno imposto e con la quale mi hanno obbligato ad identificarmi. Tutto quello che non stava nella mia etichetta lo avevo perso.

Per la prima volta ho provato la solitudine.

Gli altri mi chiamavano per nome e quindi ho creduto che fosse un bene. Con il tempo ho capito che questo bene si chiamava amore e che per potere essere amato dovevi essere distinto… separato… dovevi sentirti solo!

Ho passato una vita a colmarmi di significato per compensare la maggior parte di quello che mi era stato sottratto per il mio bene, per essere amato. Ora che sono pieno di significati e che sono anche diventato un prestigiatore del significato, faccio trucchi per fame d'amore, ma non sono ancora sazio, non ho colmato il vuoto della mia separazione, ho a malapena graffiato la superficie di quello che sarei stato senza un nome.

"Il senso della vita": pasticcio retorico! La vita non sta nei suoi significati. Anche questo però è un significato? Forse… oppure no: può anche solo essere una storia, un racconto, un road movie: "getta il cuore dopo l'uscio e buttati fuori senza domandarti come andrà a finire il libro… se l'assassino sia veramente il maggiordomo…"

In tutti i telegiornali, quando capitano i disastri si finisce dicendo che si sta accertando di chi sia la colpa… come se scoprirlo ne conferisse un significato e che questo potesse liberarsi dalla paura e dall'orrore, come diceva il colonnello Kurtz-Brando.

Ogni giorno imparo ad essere più solo, a disintossicarmi dal bisogno di amore con cui ho cercato di curare quel vecchio contagio, nella presuntuosa speranza di morire libero dalla paura. Se di una certezza dovessi menar vanto in questo fasullo mondo di linguaggio e parole, è che curiamo il male con la stessa sostanza che ne è la causa, come se dovessimo vaccinarci, come per una cura omeopatica. Combattiamo, infettando di significato quello che non sembra averne, la paura derivante da non riuscire a identificare, ad etichettare, a "comprendere", ovvero a chiudere dentro, nel recinto delle parole, quello che altrimenti sarebbe puro fenomeno, senza realizzare che è il significato, e quindi l'etichetta del nome, la madre e il padre di tutte le paure e dell'orrore.

Solo nella solitudine che vince il significato si è veramente liberi dalle paure. Si coglie con il sentire che gli altri ci sono tutti dentro la mia solitudine satura e appassionata e che questa mi fa vivere meglio e più pienamente, con maggior senso di vicinanza anche lo stare in compagnia. Quanto è più "piena" la compagnia trascorsa nel silenzio consapevole, proprio perché è felicemente sgombro dalle parole e dall'astinenza per la loro assenza!

Ora che sono vecchio, un vecchio arrugginito prestigiatore, vedo che mi sono dannato tanto per scoprire che la felicità non è altro che una pace appassionata e che questa deriva dalla capacità di vivere una solitudine senza sofferenza, una solitudine senza il vuoto sporco della noia, ma totalmente immersa in quello luminoso della vita, una storia che finalmente non si risolve nella sua morale, che non voleva dire niente, o almeno, niente di speciale: felicemente in-significante!»

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Location:Via alla Chiesa,Torino,Italia

15 novembre 2010

Quella voglia di telelavoro: "Pronti a tagliarci lo stipendio" Miojob Repubblica

(…) "L'insolita scelta. Quello dell'accesso in remoto agli strumenti di lavoro è un argomento a cui tengono in molti. Posti di fronte alla scelta ipotetica tra due diverse offerte di lavoro, il 66 per cento è disposto a rinunciare al 10 per cento della retribuzione pur di avere la chance di lavorare con maggiore autonomia. In Italia la percentuale sale al 68 per cento. Tra i più pronti a rinunciare in cambio di autonomia, ci sono gli spagnoli (il 78 per cento) e gli indiani (78 per cento). Quelli che invece preferirebbero avere l'offerta con la retribuzione più elevata del 10 per cento sono i tedeschi (vedi tabella).
Di fronte al rifiuto. Ma cosa succede una volta che l'azienda ha negato al dipendente di lavorare da casa? Su alcuni gli effetti sono particolarmente significativi. C'è chi non lavora più con la stessa intensità di prima, c'è chi si sente spinto a cercare un altro lavoro. Qualcuno si deprime e ne risente come umore. Molti però, anche dopo tutte le risposte date, sembrano quasi abdicare al desiderio e confessare che, in fondo, questo, non è un tema cruciale. Forse con lo stesso malcelato cruccio con cui il lupo si riferisce all'uva inafferrabile."
(evidenziato da Massimo Manzari)

13 novembre 2010

Deflazionare i sistemi

Occorre deflazionare i computer. L'ordine di complessità raggiunto dal ricorso all'informatica è paradossalmente critico e invece di servire a superare le procedure e la burocrazia ne ha consentito la super-produzione. Rischiamo di fare la fine degli irlandesi che nel Medioevo vennero falcidiati dalla peste delle patate: mica che fosse una pestilenza che attaccava l'uomo… il fatto è che la loro economia, tutta la loro sussistenza alimentare si fondava quasi esclusivamente su quel tubero.

Lo stesso potrebbe accadere se la minaccia delle tempeste magnetiche si dovesse rivelare fondata. La terziarizzazione sta spingendo rapidamente strumenti e contenuti in erogatori centrali, i famosi Cloud. Uno dei principali ispiratori e progettisti di questo modello è Ray Ozzie, una delle migliori menti cibernetiche, che da poco ha abbandonato la sua posizione di vertice di Microsoft sostenendo che siamo all'alba di un giorno nuovo in cui bisogna lavorare a nuovi paradigmi di semplificazione. Siamo troppo dipendenti da modelli che oramai lavorano solo per innalzare complicazione e inflazione informativa il più delle volte indifferente al principio della realtà.

Per non finire devastata, azienda deve sostituire l'automazione con la semplificazione che stiamo scoprendo essere due cose profondamente diverse: l'automazione rende geometrica l'escalation dell'informazione, ma non serve assolutamente a produrre significato che non sia standardizzato e, in quanto tale, privo di valore aggiunto. Questo deve venire gestito dalle persone che spesso si trovano a tradurne in eccedenza quando la maggior parte di esso è irrilevante. Se hai solo un martello per ragionare sei costretto a trattare tutti i problemi come chiodi! - banalizzando l'esistenza e perdendone la governabilità. Non ci sarebbe stato bisogno di arrivare fino a qui per capirlo. Lo psicologo premio Nobel per l'economia faceva l'esempio di un caso degli anni '60 quando delle sedi diplomatiche lamentavano le scarse risorse per trattare l'aumento di dati e informazioni conseguente l'informatizzazione. Laddove il consulente spingeva per uno snellimento delle informazioni alle sole dotate di rilievo si arrivò a decuplicare le risorse con la conseguenza che la crescita di informazioni conseguita in un lustro si decuplicò in alcuni mesi. Il modello attualmente meno meccanicista è probabilmente quello di Apple, sia perché si ispira ai principi dei cibernetici (da Wiener a Bateson, Doug Engelbart, Alan Kay…) che spingono allo sviluppo basato sulla crescita della persona umana invece che su quello dei suoi averi che si realizza con la clonazione automatizzata, sia perché è l'azienda più zen della nostra storia, essendo Steve Jobs seguace del precetto che si evolve implementando nella sottrazione, rinunciando a quanto non è indispensabile e potenziando quello che viene più usato e rende di più. Rimaniamo comunque ben lontani dal cambiamento di paradigma che servirebbe oggi.

La parte pessimistica del discorso è che per farlo non si può partire dai sistemi: questi per rinunciare all'entropia dovrebbero fare Hara-Kiri e non avverrà mai. Bisogna partire dal quotidiano. Questo non lo cambiano i generali, ma i sergenti indifferenti alla carriera. Non si tratta di buttare alle ortiche quanto realizzato finora gettando il bambino assieme all'acqua sporca, ma di deflazionare la dipendenza dall'informazione e dalla comunicazione elettronica. Facciamo alcuni esempi pratici.

1) Oggi buona parte dei compiti e dei programmi di lavoro passano attraverso la posta elettronica. Sono generalmente mal scritti con allegati organizzati per slides (nome in codice : "ti mando un pauerpoint!"), con citazioni infinite di altri messaggi tipicamente di altri argomenti e chi li riceve non li capisce, spesso fraintende porta avanti il lavoro male, ma lo inoltra in CC ad altri colleghi che quindi lo proseguono male. Tuttavia, non essendoci più risorse di tempo e personale non si discute né in corso d'opera, né all'inizio, ma neppure alla fine: ci si tiene i lavori mal fatti e si dà il via a nuovi gruppi di progetto e nuove procedure.
Soluzione: ricorriamo alle e-mail con la stessa frequenza con cui si scrivevano e si spedivano le lettere. Ovvero solo quando è indispensabile: in genere a inizio e fine lavoro. Non spediamo in CC, ma andiamo a prendere le persone interessate e spieghiamo quello che alla sola persona responsabile è arrivato e organizziamoci parlando a voce. Poi verifichiamo con i colleghi di quando in quando, più volte nella settimana, come sta procedendo la loro parte. Il capo torni ad affiancare i collaboratori e a fare da coach.

2) Dirigenti e funzionari sono sempre più oberati nell'attività di produrre continuamente slide per questo non seguono più le persone, non riorganizzano, non esplorano soluzioni e il più delle volte non conoscono neppure i problemi reali, ma solo le loro rappresentazioni numeriche.
Soluzione: riduciamo l'impegno anche per i quadri; diventiamo meno dipendenti dalle proiezioni: un mio amico mi spiegava 15 anni fa di quando era andato in Cina e del fatto che i suoi compagni di viaggio giravano con le calcolatrici, mentre lui ragionava per stime e approssimazioni, negoziando a ogni piè sospinto riuscendo così a non farsi raggirare, pratica per la quale i locali erano notevolmente abili.

3) Le difficoltà aumentano e non vengono più gestite. Il più delle volte vengono segnalate inserendole in dei knowledge base mal digerite, dove nessuno andrà a correggerle e forse neppure a leggere, ma quando capiterà sarà ancora peggio perché si indicheranno errori o soluzioni mal spiegare come best practice combinando disastri.
Soluzione: lasciamo stare i computer come strumenti di secondo livello, o di riserva, e torniamo alla scuola, a insegnare il lavoro, a spingere sulla professionalità e verifichiamo le competenze. Andiamo in cantina e facciamo riaffiorare le bacheche, lasciando le piattaforme alle attività di segreteria. Nei corsi di formazione sostituiamo i proiettori di slide con le lavagne a fogli mobili, ma ancor di più all'eloquenza evocativa per potere arrivare alla fase di ascolto.

Più in generale, facciamo in modo di ridurre il periodo della giornata che un responsabile dedica al computer (in tutte le espressioni, dalla posta, alla documentazione, alle demo) a non più del 20% del suo tempo e troviamo il modo per rendere di valore qualitativo almeno il 60% del rimanente).
- Postato con BlogPress per iPad

09 novembre 2010

Gurufobia

Sto leggendo un libro che promette di essere interessante, non fosse che il suo primo scritto, Futurizza la tua impresa, è stato veramente ricco di spunti in parte poco seguiti ancora oggi. Può darsi che più avanti le mie aspettative vengano compensate, ma per ora ammetto che David Siegel mi sta provocando una crisi di rigetto che provo sempre più frequentemente nel leggere i lavori di questi guru del Counseling 2.0 marcatamente statunitensi.

Che siano prolissi a danno delle foreste (un po' meno oggi che alcuni come il sottoscritto consumano i prodotti d'oltre oceano sotto forma di e-book) questa è storia di sempre: se devono scrivere le ricette con le cipolle devono scannerizzare la storia della cucina, delle forchette, la coltivazione della cipolla, la botanica, la gastroenterologia e mille altre nozioni di cui faremmo volentieri a meno quando ci basta sapere come fare la zuppa di cipolle. Il problema - per loro - è che per quello non si venderebbe un libro, ma a malapena un articolo di rivista.
Ora questi guru post-moderni hanno preso l'abitudine di gonfiarci di case history che sono come certi ristoranti di montagna che ti riempiono di farinacei e fritti per aumentare il senso di sazietà e darti l'impressione di aver speso bene i tuoi soldi, mentre sei stato trattato come un tacchino da ingrasso.

All'inizio pensavo che potesse dipendere dal mio cattivo inglese e così ho cominciato a leggere con attenzione ossessiva, da liceale, ma non ho fatto che confermare la mia prima impressione.

Sono libri agli estrogeni pieni di riferimenti del tutto ininfluenti al fine della tesi che sostengono. Citazioni di manager di grandi imprese (già, perché se sono meno di Microsoft, IBM o UPS non valgono, mentre così ogni fesseria che comunicano ha valore solo per il nome) che snocciolano soluzioni di comune furbizia managerial-partenopea vestite di trend neo-tecnologico, come se un cellulare con il lettore di barre magnetiche fosse una rivoluzione dei servizi al cliente e dimostrasse che quest'ultimo avesse il governo del processo, mentre è solamente costretto a comprarsi anche uno smartphone per fare la spesa dove una volta (ma fortunatamente non sono ancora scomparsi) c'era un gentile commesso che lo istruiva senza sforzo e con la possibilità di confronto.

Come questo libro tanti altri, da Wikinomics in poi sono bolge di casi del tutto incongruenti finalizzati ad imbonire gli incapaci, anche quando le due informazioni in croce che si possono comunicare potrebbero avere qualche interesse.

Ma questi incapaci esistono? Sono tanti? Che peso rivestono? Sì, sì e "dipende"!

Mentre scrivo questa nota sto viaggiando per Milano in una Freccia Rossa, noto treno per schiavi pendolari del micro-management. Ho dovuto ricorrere alle cuffie non perché avessi voglia di sentire musica, ma perché ero stanco dei contenuti delle telefonate di venditori, avvocati, commercialisti che propinavano formule anglofone usa e getta.

Viviamo immersi in un bagno primordiale di frasi fatte e di luoghi comuni, mondi non virtuosi, ma neppure virtuali, essenzialmente velleitari dove ad anglismi che sono puri significanti avulsi da ogni significato non viene fatto corrispondere alcun oggetto, sia esso una cosa, un fatto, una popolazione o una persona.

Che c'entra questo con il mio libro che, mondato di tutto questo inutile surplus, a saperlo leggere separando il grano dalla crusca poi brutto non è e magari anche utile? Il fatto è che i nostri forzati questa operazione non la fanno, anzi, il più delle volte, non riuscendo a comprendere il grano, costruiscono mondi di crusca che di buono hanno, al più, l'effetto lassativo che un correlato fisico, anche solo allegorico, capita che ce l'abbiano. Terribili semplificatori, impoveriscono la nostra vita con automazione di principi vuoti. L'unica nostra garanzia, l'ultimo baluardo di sopravvivenza restano i materiali, le funzioni corporali, le persone che parlano di quello che succede loro e nondimeno quello di cui sentono parlare dai media.

Ti preoccupa il destino della musica venduta? Vai in un negozio, comprati uno strumento e impara a fattela da te: per quanto male tu possa strimpellare sarà migliore di tanti prodotti industriali confezionati ed esaltati. Smettila di mangiare l'immagine esasperata di cibi stereotipati: apprezza l'odore, il tatto e il sapore spesso poco delicato di quelli originari.

Facciamola finita di fare sperare che una formula o una procedura di nuova formula sostituisca la fatica del gesto, perché lo farà solo con una fatica ancor più frustrante che in compenso non servirà a nessuno, visto che da un pasticcere che ti venda una torta al supply chain non andresti a far merenda.

Infine, attenzione al semantic web e a quello che gli gira attorno: appiattirà il mondo facendo di noi niente più che dei polli d'allevamento attaccati alla mangiatoia di qualche piattaforma.

08 novembre 2010

25 ottobre 2010

Lucino Gallino su Marchionne e le strategie di delocalizzazione della FIAT

"L'ad Marchionne ha anche detto - così riportano le cronache - che se le anomalie della gestione degli stabilimenti italiani cessassero, sarebbe disposto a portare il salario dei dipendenti a livello dei nostri paesi vicini. Questi sono la Francia, la Svizzera e l'Austria. Poco più in là c'è la Germania. Ora, nel 2008, il salario annuo lordo dei dipendenti dell'industria e dei servizi, esclusa pubblica amministrazione, istruzione, sistema sanitario e simili, era - a parità di potere d'acquisto - di circa 23.000 euro in Italia, 30.000 in Francia, 35-36.000 in Svizzera e Austria, 42.000 in Germania. Portare i nostri salari a livello dei vicini significherebbe dunque aumentarli tra il 30 e l'80 per cento.
Roba da correre subito, se uno ci crede, a sottoscrivere il piano Fabbrica Italia. Se non fosse che quel piano dovrebbe prima spiegare come si raddoppia o magari si triplica l'utilizzazione degli stabilimenti Fiat in Italia"

24 ottobre 2010

New York come Sodoma e Gomorra I candidati contro la Grande Mela - Corriere della Sera

Forse riusciremo a contenere il disastro della nostra generazione prima del 2012, oppure messa fuori dalla porta, l'ingordigia rientrerà dalla finestra accompagnata da tutta la violenza che ci siamo risparmiati negli ultimi 65 anni?

"A PEZZI - In tutti, la Grande Mela e i suoi abitanti ne escono letteralmente a pezzi. Una reclame devastante per l'immagine della città che il sindaco Michael Bloomberg ha faticato tanto a ricostruire. «L'impatto negativo di questi spot sull'immaginario collettivo dell'America durerà ben oltre le elezioni - mette in guardia Glenn Richardson Jr., docente di scienze politiche alla Kutztown University e autore di Pulp Politics: How Political Advertising Tellles the Story of American Politics -. Gli americani sono stati bombardati da associazioni negative su New York, destinate a restare»"




Alla faccia del bisogno di knowledge worker

"Nonostante la crisi economica e l'aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, (in Italia ricorda Confartigianato nei due anni di crisi i disoccupati tra i 15 e i 34 anni sono aumentati di 216.000 unità) ci sono mestieri quindi per i quali il posto di lavoro è sostanzialmente assicurato e questo avviene prevalentemente per le attività tipicamente artigiane. Su circa 1.500 nuovi installatori di infissi necessari alle aziende - si legge nella ricerca - ne mancano all'appello oltre l'83% mentre per i panettieri artigianali (attività faticosa soprattutto per gli orari notturni) è difficile coprire il 39,4% dei 1.040 nuovi posti. Senza considerare attività comunque richiestissime come quella dell'infermiere, la Confartigianato, guardando alle proprie aziende, sottolinea la carenza di gelatai e pasticceri (mancano il 29,1% dei 1.750 cercati dalle imprese) ma anche di sarti e tagliatori artigianali (manca il 21,9% dei 1.960 specialisti richiesti dalle aziende). Difficile anche reperire estetisti e parrucchieri (vuoti il 21% dei posti) e falegnami specializzati (mancano il 19,8%). Meno complicato trovare baristi (mancano il 14,2% dei 7.030 posti disponibili) e camerieri (resta vuoto il 14,1% dei posti offerti dalle aziende)."
http://www.corriere.it/economia/10_ottobre_23/mestieri-introvabili-studio_12d15cc0-deda-11df-99d6-00144f02aabc.shtml

Mandiamo i figli alle università per farli finire nei contact center a 400€/mese con orari infami ad elevato tenore di stress e nessuno sviluppo professionale, lasciando bacini occupazionali con ampi spazi negoziali ad immigrati che stanno già diventando i nuovi benestanti.

Che cosa c'è che non quadra in tutto questo? Io direi che una sempre meno sostenibile sovrapposizione fra conoscenza e mestiere è una cosa. Il fallimento del mito del consumismo e dell'esubero produttivo che regge grandi imprese che vivono sempre più dei nostri sussidi e sempre meno dei risultati, è l'altra.

Può esserci amore per i "vecchi" mestieri soffocati nell'epoca del boom e dell'urbanizzazione degli anni '60? Quanti low e middle manager con un rapporto fra tempo occupato e responsabilità, da un lato, e stipendi sempre più impiegatizi a fronte di una vita personale inesistente, dall'altro, dopo una cura contro assuefazione e dipendenza da logiche aziendali, accetterebbero con piacere di mettere su una pasticceria?

Che ci sia qualcosa di drogato e manipolato nei nostri modelli di sviluppo, non è più un mistero per nessuno. Quale ne possa essere la cura, questo sì. Una vita più semplice ed essenziale, forse. Da dove partire? Da chi? Quando?

- Postato con BlogPress per iPad

26 settembre 2010

E alla fine venne Huddle




Dopo la positiva esperienza in corso con Yammer, sto per accingermi a sperimentare Huddle, un'interessante metafora di workspace nomadic-enabled (naturalmente anche per iPad).



Non tremino ancora le vittime dei miei esperimenti: per ora sono ancora in cerca di informatori. Qualcuno ha esperienze in merito.



-- Postato con BlogPress dal mio iPad

21 settembre 2010

L’ebook in classe non risolve, ma almeno aiuta

http://www.apogeonline.com/webzine/2010/09/21/lebook-in-classe-non-risolve-ma-almeno-aiuta

Non basta distribuire lettori di libri digitali, se poi manca la visione di sistema. Ma l'ebook è più di un semplice supporto alternativo per i soliti libri di testo. E potrebbe essere la testa d'ariete per nuove forme di istruzione e di apprendimento...

20 settembre 2010

iPad al lavoro - una valutazione a 5 mesi di collaudo - Prima parte: Rivoluzione iPad


iPad al lavoro - una valutazione a 5 mesi di collaudo




Prima parte: Rivoluzione iPad






Ancora adesso che siamo già in autunno, mi trovo di frequente a leggere articoli intitolati "Testato iPad per un giorno intero solo con quello" oppure "Una settimana a usare solo l'iPad".
Sono ormai 5 mesi che, al di là della routine dell'ufficio dove comunque per tutto quello che non ha a vedere con ERP e database castigati dalla sicurezza filo-Microsoft, per le attività che chiamerò "autore" (o di authoring, per "cissarmi" un po'), non uso altro che il mio impagabile iPad. Ogni giorni scopro cose nuove, nonostante lo usi in piena intensità fin dal primo giorno. Non è mai stato uno sforzo e non potrei fare altro che costringerlo lavorare tutti i giorni dalla sera alla mattina. Nonostante questo, non ha avuto un momento di cedimento né un decadimento di usura. È anche vero che lo tratto con l'amorevole cura che non ho mai avuto per altri oggetti, come l'automobile, ad esempio; tuttavia non è una fatica: casomai, ahimè, come ogni amore, un costo.


Non ho mai scritto il diario di un periodo passato solo con l'iPad; penso solo perché era talmente naturale usarlo per farci altro che mi sembrava una perdita di tempo. Caso mai avrei potuto scrivere "La fine dei miei tanti netbook", oppure "Il piacere che ogni tanto si renda indispensabile il mio iMac 24" ", oppure "Come un MacBook Pro nuovo di pacca sia finito a fare la ruota di scorta nonostante sia sempre una bellezza"…


Oggi, però vorrei testimoniare qualcosa che ho sempre avuto chiara senza mai spingermi a puntualizzarla abbastanza: 




"Considero l'iPad come lo strumento principe del lavoro di authoring"



In questo campo eccelle più che ogni altro settore. Se l'iPhone è il prêt-à-porter per tutto quello che è di rapido consumo e l'iPod Touch è l'oggetto di riferimento per i giovani tra giochi, musica, filmati, social network e… vabbè, diciamo questa parola, "scuola", iPad, nonostante faccia anche giocare, ascoltare la musica, vedere i film molto bene e sia l'ideale per gli studenti un po' più lavorativi come certi universitari e rari liceali, dà il massimo di sé nel cosiddetto business. A me questa parola piace poco, ben sapendo che spesso quel che chiamiamo così sono attività coatte e ripetitive, come buttare dati in tabelle o piattaforme appiattenti da manovalanza periferica acefala al servizio dei sistemi informativi.
Preferisco parlare di authoring, in quanto non solo il giornalista, lo scrittore o l'artista possono definirsi "autori", ma come loro chiunque svolga un'attività professionale dotata di una qualche originalità (non-ripetitiva o terminale-dipendente). Per tutti costoro iPad è il companion perfetto. Per molti di loro, come il sottoscritto, è il desktop ancor più che il laptop (o notebook) ad essere il companion dell'iPad. Un ritorno in auge del dimenticato desktop, ma anche la scoperta di oggetti come il Mac Mini usato da server e NAS e, a questo proposito, anche del Time Capsule. iPad, a capo di tutti gli iDevices, apre le porte a sistemi interconnessi di rete (aziendale, domestica, geografica…) su tutta la quale domina sempre più incontrastata l'emergente nozione ancora "understand-in-progress" di Cloud Network. Adesso però basta con le citazioni tecnologiche!


In definitiva, chi lavora creando con la sua testa (so che non sono poi così tanti), se non ha ancora un iPad non dovrebbe perdere un secondo ancora a procurarselo (con o senza 3G - a seconda di com'è attrezzato - e con almeno 32 GB di memoria).  





Le ragioni sono molte e le metterò qui subito in ordine d'importanza. In futuro, nelle parti successive di questo articolo dedicate rispettivamente alle avvertenze e alle speranza, il primo, e alle applicazioni business per iPad, il secondo, non sarò neppure avaro di difetti da segnalare, ben sapendo che sono così pochi per un oggetto che al suo esordio ha fatto centro - e che centro! - al primo colpo. 




I dieci assi


Neversleep





Che cos'è che fa la differenza fra un desktop e un notebook? C'è qualcosa di ancora più importante del fatto che te lo puoi portare dietro, o che per lo meno ci fa il paio: il fatto che non hai bisogno di attaccarlo alla corrente più di una volta al giorno! Quello che ho scritto finora con continue interruzioni per far altro con o senza iPad, dalla posta, al Web, alla musica… mi ha fatto consumare in circa 3 ore il 10% della carica. Un notebook con la batteria consumata diventa subito un desktop per lillipuziani. Il fatto è che dopo qualche mese il miglior notebook non riesce a stare acceso più d'un paio d'ore senza alimentatore (l'elemento più pesante della borsa). Questo ti comporta che da un uso all'altro è meglio spegnerlo e quando ci lavori senza corrente è opportuno fare in fretta prima di raggiungere una nuova presa. Le aziende hanno ormai sostituito i desktop con i notebook. Lo hanno fatto per trasformarli in computer da scrivania che gli impiegati possono portarsi dietro per lavorare anche da casa e perché costano la stessa cifra se non meno. Non conosco aziende tradizionali che sostituiscano i portatili con la frequenza opportuna, ma di certo non cambiano le componenti come le batterie. Siamo pieni, quindi, di quadrotti che girano come zombie affannati alla ricerca di una presa negli aeroporti o nelle stazioni per rigenerare il loro irrinunciabile esausto PC Trasportabile!
iPad non dorme mai, salvo un po' quando lo faccio io. La sera metto tutta la famiglia trasportabile, dai cellulari ai lettori fino al mio fido iPad, in carica e quando la mattina li scollego e spegno la ciabatta dei trasformatori (quanti di voi si sono attrezzati per farlo?!) so che fino a notte difficilmente iPad scenderà sotto l'ultimo terzo di energia (in genere lo lascio che segna fra il 60 e il 40% di carica). La ragione che più mi fa amare iPad è proprio questa sua incondizionata disponibilità, il fatto che lo spenga solo una volta al mese, più che altro per fare pulizia della cache, il controllo automatico del disco o quando fa cilecca nel riconoscere le reti Wi-Fi. Puoi dire altrettanto dei tuoi PC? Così ho imparato una cosa: un computer dev'essere acceso per essere usato, o è sempre acceso, o viene usato solo in caso di impellenti forze maggiori. La doppia batteria di questo uovo di Colombo fa sì che iPad non possa essere un fuscello pur non essendo un lavativo come il Kindle :) (se usassi iPad solo per la musica, ad esempio, potrebbe proseguire ininterrottamente per giorni su giorni), ma segna la meno evidente e tuttavia la più determinante rivoluzione nel campo dell'informatica personale.





Di compagnia
Io sono come le tartarughe che viaggiano con la loro casetta sulle spalle. Non riesco a rinunciare a nulla "perché non si sa mai": un paio di libri, i giornali, due portafogli altrettanti cellulari, sigarette, caramelle, dentifricio, medicine… e così via. Lo so, è un mio limite, ma l'iPad manco lo sento, con il suo poco più di mezzo chilo. Guardo i poveri forzati miei colleghi con in loro zaino dedicato al 17" con su tutto quello che serve: da mille porte, schede, DVD, webcam, e poi l'alimentatore, l'hard disc esterno, il pendrive, il cavo di rete, la scheda PCMCIA, il modem, il set di spine internazionali e chi più ne ha più ne metta. Sotto il giogo dei loro "portatili" sembrano schiavi nei cantieri delle piramidi. Portano almeno il doppio del mio peso senza neppure avere con sé il carapace domestico con le scarpe di riserva.
iPad è il vero compagno da portarmi dietro. Prima il suo posto lo occupava l'iPod Touch che ha fatto egregiamente il suo dovere, ma i cui limiti di visibilità per la mia presbiopia e per alcune schermate (ve ne sono alcune che onestamente faticano ancora con iPad, ma grazie a loro mi ricordo di avere ancora un 24"!), oltre che per le dita formato vanga che mi ritrovo gli hanno concesso di specializzarsi in musica, consultazione, vacanze e cose simili, ma non lavoro. Diversamente dai computer, netbook compresi, con i quali in genere ero io a dover andare da loro, è lui a venire da me. Non mi obbliga ad isolarmi dalla famiglia e, mentre loro guardano gli scarnificanti telefilm delle varie polizie scientifiche, o le situation commedies con famiglie di colore ricche ridanciane e piene di morali benpensanti, posso "essere sempre davanti al computer" senza farlo pesare agli altri, evitandomi inquinamenti da ipnosi mediatica para-immorale o de-moralizzante.
In riunione qualche volta mi era girato per la testa di portarmi il notebook per prendere appunti. Ho scoperto di fare una pessima figura, di apparire come dattilografo invece che come consulente, per non parlare della maleducazione di guardare una tastiera che fa clac-clac, invece del mio interlocutore. Così sono tornato ai vecchi notes cartacei con la sola conseguenza di riempire la scrivania di fogli (come se non ce ne fossero abbastanza che si cumulano ogni minuto senza pietà) che passavano dal dimenticatoio al cestino. Alla fine mi sono ridotto a fidarmi della memoria. Questa però fa acqua da tutte le parti. iPad ha risolto tutto: intanto la tastiera non fa l'effetto di un notebook, ma soprattutto con Penultimate o programmi simili e grazie al suo formato posso prendere nota sul taccuino e poi archiviare i taccuini come PDF o spedirli per posta. Il riconoscimento carattere? Sarebbe lento, inefficace, inutile, perché gli appunti vanno sempre comunque rielaborati altrove e in santa pace se vuoi fare un buon lavoro.
Un consiglio però, sì, mi sento di darlo: non ascoltate Steve Jobs che ce l'ha su con le penne. Procuratevene una per l'handwriting (e solo per quello, però): una Pogo da Amazon a circa una quindicina di euro o le perfette imitazioni che si trovano sull'eBay cinese a meno di 5 euro al terno. È una favola e scoprirete che iPad era anche un'altra cosa che non conoscevate. Fate corsi di formazione? Penna, handwriting adeguato, cavo VGA e avrete un'ineguagliabile lavagna a fogli mobili che lascerà tutti a bocca aperta, oltre ad intervallarsi alla perfezione con le slide. Un'ulteriore raffinatezza sempre per formatori: procuratevi uno switch VGA e portate ai corsi il MacBook con Keynote (che a lavoro compiuto rende meglio di quello per iPad - con cui puoi comunque prepararlo al 90%, senza contare che il risultato con iPad sarà sempre da accademia rispetto a quello dei colleghi con PowerPoint o, peggio ancora, con OpenOffice): con il relais passerete elegantemente dalle slides alla Lavagna a fogli mobili. Infine non sottovalutate programmi come i derivati delle mappe mentali per preparare i corsi e per proiettarli.
Trovatemi un oggetto che solo di un punto può farvi scrivere tanto (per non parlare delle 378 pagine che ho tagliato ;) ).


Modularità
All'ultimo posto del podio faccio salire una caratteristica che può sembrare difficile da percepire per chi non ne fa un uso intensivo. La maggior parte di quelli che hanno comprato l'iPad si sono fermati lì e hanno passato il giocattolo ai figli, per tornare al loro notebook che "ha molte cose in più". Non è vero!!! È il computer ad essere misera cosa, seconda solo alla flessibilità mentale dei suoi utilizzatori. iPad è al centro di un universo, non solo di accessori o di programmi, ma soprattutto di categorie - mi rendo conto di essere poco chiaro. Quello che voglio dire è che quasi ogni giorno qualcuno inventa un utilizzo che nessuno poteva prevedere, ma che richiede una flessibilità di immaginazione (non di competenze tecniche) che i nostri bradipi tecnologici - primi fra tutti gli smanettoni stessi - non conoscono. 
Facciamo un esempio (quelli della formazione sono già di per sé validi): Air Video è un programma che, unito ad un omonima applicazione server multi-piattaforma, consente su un iDevice di vedere filmati o ascoltare brani in streaming dalle librerie predefinite; con un cavo composito possono venire trasferiti alla TV film nei formati più disparati grazie alla conversione - separata o simultanea - che viene comandata dall'iPad via Wi-Fi (e presto anche 3G per gli assatanati) al programma su desktop. Con un cavo composito (o component per gli apparecchi più recenti) si può collegare il dispositivo all'apparecchio televisivo e vederlo sul grande schermo, in teoria uno per tipo su tante TV quanti sono i dispositivi a disposizione. Con un Dock supplementare il dispositivo può stare comodamente in posizione per essere utilizzato e venire alimentato con comodità mentre lavora. La combinazione e l'interscambio fra iDevice apparentemente diversi, come iPhone o iPod Touch e fra questi e i Mac e a loro volta tele-videocamere, stereo, ecc… è quello che chiamo modularità e che una decina d'anni fa Jobs aveva battezzato Digital Hub. Montando e smontando, tutti lo possono fare, ma senza l'immediatezza, la naturalezza e la comunanza di filosofia e di logica tipica della iRevolution. 
Sempre nel capitolo "modularità" annovero un ulteriore argomento che va da se quando si sceglie di adottare una iFamiglia: i programmi sono gli stessi, per quanto adattati ai dispositivi diversi. Questo fatto a volte ha il vantaggio di offrire dei risparmi di scala, come con Air Video che si acquista una volta sola per tutte le macchine, o come nel più eclatante caso di DocumentToGo. Tuttavia il vero vantaggio sta in una cosa spesso sottovalutata, ma che ha costi e inefficienze senza pari: l'apprendimento. Quando impari a lavorare con un programma hai imparato anche per il telefono, l'iPod, l'iPad e tutto quello che verrà. Soprattutto, quando hai trovato il criterio, la manualità e la logica per operare su un iDevice l'hai imparata per tutti (e da quando i MacBook e i nuovi Magic Touch Mouse hanno adottato le stesse modalità, l'hai fatto anche per il Mac). 
«E io che ho Windows?!…» dirà qualcuno. Beh, iPad si adatta anche a loro: fino a che non si sarà capito perché vorrà dire che si salirà su una bicicletta da corsa in fibra di carbonio con uno zaino di piombo. L'importante comunque è cominciare: c'è gente attrezzata di tutto punto che non sa neppure quello che ha a che cosa serve al di fuori dal mostrare agli amici quanto si sia à la page. Allora meglio un linuxiano idealista e pieno di contraddizioni che forse non saprà mai che cos'è il lusso della comodità e della semplicità, ma lo farà con molta preparazione e competenza.


Parco applicazioni uniche
Fuori dal podio, ma solo perché più ovvie, quelle che seguono sono delle caratteristiche uniche di grande valore. Centinaia di migliaia di applicazioni fanno dell'iPad un'intelligenza operante unica nel suo genere. I modi di fare le cose sono innumerevoli. Molte apps sono invero brutte, ma su 10 ce ne sono almeno 2 buone e una geniale. Quelle geniali sono uniche nel loro genere: non ne troverete una simile non solo per Android o WinMobile, ma neppure per Mac e tanto meno Windows o Linux. Si pensi solo ai programmi per Twitter: solo con quelli per iDevice abbiamo imparato a usare questo social network, al punto che lo stesso portale si sta rinnovando traendo spunto da queste app, come la stessa Twittie acquistata proprio dalla società stessa. Se per preparare i documenti vi serve un Office, per desktop troverete solo questo tipo di programmi, mentre qui ci sono solo prodotti finiti e non kit di montaggio. La comunità degli sviluppatori ha fatto la fortuna di Macintosh e poi di iPhone e ora di iPad: sono i più bravi, originali e geniali nell'orientamento al cliente di tutto il panorama informatico. Prendi l'analogo programma per iPad e prendi quello per Android o per BlackBerry o per Symbian e vedi la differenza. Non ci credi? Prova con Instapaper, Yammer, TwittDeck…


5º  Semplicità, assenza di fronzoli
E pensare che ci sono pazzi che comprano imitazioni solo perché hanno delle porte per attaccarci ammennicoli in più che non useranno mai (quante volte usi i tanti tuoi pendrive?)! Ogni elemento non indispensabile in più è un impoverimento. Dimagrire è rafforzarsi! iPad non ha nulla e quello che gli manca sono altrettante occasioni per usarlo in maniera più funzionale, come il ricorso a DropBox, ai WebDav, ai servizi di rete i più disparati. Della webcam non saprei che farmene, ma il tasto home è geniale per tornare ogni momento nella stessa posizione. L'introduzione più folgorante è il tasto che blocca la rotazione senza il quale iPad sarebbe un disastro. Sembra poco, ma da solo vale l'oggetto. Se non ci avesse pensato Apple ci sarebbe voluto molto perché qualcuno lo facesse e chissà in che obbrobriosa maniera. 


Grande efficienza delle soluzioni strategiche
Lo schermo dell'iPad è qualcosa di unico. Il suo essere capacitivo invece che resistivo lo porta a miglia e miglia dagli altri cloni, al punto da squalificare funzioni che nei nuovi modelli che stanno per uscire non avranno storia. Penso alla precisione dell'handwriting di cui ho scritto qualche linea più su: con uno schermo resistivo tutto questo è pressoché improponibile. Soprattutto mi riferisco alla tastiera. A parte qualche carattere sbagliato, come la barra spaziatrice con cui faccio di frequente cilecca infilando una "m" o una "n" di troppo, con la tastiera di iPad si scrive che è un piacere e senza far forza, sfiorando solo i tasti con un'agilità unica. Semplicità vuol dire che si può comprare iPad ovunque nel mondo per adattarlo in un attimo in quello che si vuole, perché la tastiera è configurata da software, senza contare che ci sono diversi set di tastiere che sono contestuali in base agli scopi dove vengono utilizzati. Devi farlo usare gli ospiti cinesi o russi? Niente paura: con un semplice e rapido settaggio avrai una macchina mandarina o cirillica.


Perché salvare?
Non ha tutti i torti chi dice che sotto la più raffinata applicazione si cela sempre un database. E, si sa, questi programmi fin da prima del celeberrimo storico DBase non hanno mai contemplato il salvataggio, né automatico né manuale. Si tratta di un'operazione aggiuntiva per niente indispensabile. Quando scrivi non c'è ragione perché quello che hai fatto non debba rimanere senza dovere per forza compiere un salvataggio di qualcosa che si chiama "file". La cosa era ben chiara al padre dell'iPad, il geniale e nella sua concezione insuperato Newton Communicator. L'ideale è avere dei contenuti a cui poter sovrapporre criteri di indicizzazione e di ricerca ad hoc da applicare ad un repository di informazioni il meno strutturato possibile. Questo principio lo si ritrova in tutti i migliori applicativi per iOS.


Accessori illuminati
I costruttori di accessori per iDevices hanno capito già con iPod e poi iPhone che avere delle buone idee per questi oggetti rende. E rende due volte: la prima con i dispositivi Apple; la seconda creando qualcosa di simile per gli altri prodotti. Per iPad ce ne sono molti che fanno la differenza: dai Dock per usarlo su scrivania, alle custodie tutto fare (si prenda quella di Apple che con un escamotage di una semplicità disarmante trasforma il nostro oggetto da Agenda a piano inclinato a visore semplicemente girando la copertina). Proprio gli accessori permettono a ognuno di noi di sbizzarrirsi cambiando vestito al proprio iPad e facendone quasi un prodotto inedito ogni giorno diverso.


Controinformazione e socialità
Poche storie: il giornale e i libri per ora non hanno pari con le loro versioni digitali. È chiaro per gli ebook, per i siti web, come pure per i tablet come iPad. Tuttavia in iPad sempre la modularità consente di costruire dei modi di fare informazione del tutto nuovi. Un primo esempio lo si ha con FlipBoard, Pulse o The Early Edition, ma anche con giornali dedicati come La Stampa. Integratori di RSS che consentono di comporre edizioni personalizzate dei propri organi di informazione che avranno la comodità di consultazione del giornale unita alla possibilità di redazione che sfrutti fonti non tradizionali e informazioni rare. Io, personalmente, preferisco costruire il mio giornale usando Twitter (con Osfoora o TwitBird) per inviarlo alla "rotativa" di Instapaper. Leggo il titolo e il breve commento; lo salvo in un attimo; lo scarico rapidamente e me lo andrò a leggere quando più mi verrà comodo: sul pullman, in bagno o ai giardini. Il bello è che me lo ritroverò pari-pari nell'iPhone o sul desktop. Un modo inedito per costruire la propria informazione.


10º Comunità all'avanguardia
Se entrate in un Apple Store, com'è capitato a me sabato all'inaugurazione di quello torinese, scoprite di trovarvi fra gente molto eterogenea, ma proprio per questo anche molto distintiva. Fare parte di una comunità di influenza che incide nel modo di pensare e di fare le cose è un patrimonio importante presente ogni volta che usi il tuo iPad. Questa consapevolezza ha effetto ogni volta che metti le mani sul tuo non-computer, nel tuo modo di pensare nel tuo sforzarti di essere originale. Non vorrei però che si fraintendesse: la comunità iPad DOCG non è esclusivista e con la puzza sotto il naso. Si tratta di gente pratica che pur scegliendo il meglio non dà all'oggetto più importanza di quanta debba averne; si trova, anzi a suo agio con qualsiasi mezzo debba servire meglio al suo scopo, sia che si tratti di un netbook con Ubuntu o FreeBSD, un blocco di carta o la trasmissione orale. In ogni caso sceglierà quello che più rispetta la persona, quello che eviterà che l'essere umano debba diventare schiavo di una macchina. Forse fra qualche giorno mi diletterò a mettere le mani su un simpatico aPad 7" super-economico made in China senza il minimo senso di colpa o partigianeria. E se hai voglia di sgranchirti le dita con una buona tastiera e un monitor oceanico (elementi fondamentali quando devi affrontare lavori corposi come la composizione di libri o fogli elettronici complessi), fai come me che dopo aver finito l'articolo lo sto aggiustando e completando con il mio sempreverde iMac 24".
Insomma, fedeli solo a sé stessi, soprattutto grazie ad iPad.



14 settembre 2010

Inizio delle scuole: Attenti agli "altri-iPad"!




Le scuole stanno per iniziare e, alla faccia dello sposalizio Brunetta-Microsoft (la chiamerei la coppia perfetta per atteggiamento nei confronti del potere, del controllo, della ricchezza e tutte le altre amenità a tutti stra-note), molti stanno pensando ad un iPad per i figli (non fosse nella speranza che diano un taglio a SMS e cellulari). Il fatto è che "il giocattolo" costa e non poco! Il modello di riferimento è il 32GB Wi-Fi che pesa 600 bigliettoni.




Allora viene fatto di pensare alle alternative Palm-HP WebOS o Android (e qualche perverso aggiunge Windows 7!!!).
State attenti però: gli unici modelli economici sono gli aPad cinesi da 135€ spedizione inclusa. Si pensa "Non saranno perfetti ma…" Le cose non stanno così!
A parte la questione determinante del parco software e della sua qualità stratosfericamente superiore, mi soffermerò sull'hardware. Non fatevi fregare dal "Più c'è e meglio è". Non è vero. È vero "Meno c'è è bello, purché perfetto"!

Da questo punto di vista la questione più critica non è il processore, la RAM, il disco, le immagini… quello che fa la differenza è la superficie del touch screen. Quella dell'iPad è capacitiva, ovvero reagisce allo sfioramento e ti fa scrivere a mano libera agevolmente (specie con Penultimate), così come da alla tastiera una naturalezza unica. Questo vale doppiamente per iPhone o iPod Touch, ma visto che diversamente iPad è versato per lavoro e studio oltre che lettura, se sbagliate buttate via tutto. Quella dei cloni cinesi (ma anche della maggior parte dei prodotti di marca) è restistiva, ovvero ci devi andare giù talmente pesante che è più il tempo che perdi di quello che combini. Quelli che hanno avuto la disavventura di passare per gli smartphone LG ne sanno qualcosa!!! Il pedigree di alto livello; quanto alla resa e all'esperienza d'uso, molto meglio aratro e buoi!


Ma almeno quando sprecate 135€ dell'aPad può essere considerato un rischio calcolato e magari simpatico collezionismo. Peggio sarà quando crederete che le decine di tavolette che da domani riempiranno i bancali dei rigattieri multinazionali siano regalate: le più economiche saranno dei 7" giocattolo incomplete da poco meno di 300€. Quelle più ambiziose arriveranno a superare i 1000€!!! e quelli no, che non li varranno. Ma nemmeno 400€ hanno senso per un clone arraffazzonato di un prodotto che non avrà avuto certo la gestazione decennale dell'originale.

Il mio consiglio? Buono l'iPod Touch (naturalmente non l'8GB). O piuttosto, se ce li avete, tirate fuori i 6-700€ del 32GB senza o con 3G!

Buttare via i soldi dando retta all'amico tecno-ferramentiere, smanettone del gigaherz sarebbe l'ennesimo gravissimo errore di cui è costellata la via crucis dell'informatica personale.

-- Postato con BlogPress dal mio iPad

07 settembre 2010

Le decisioni che funzionano sono altre

È tutt'altro che scontato giudicare le decisioni di un Top Manager come determinanti. Si tratta di frutti di combinazioni dove quello che ne qualifica il successo è, il più delle volte, l'interpretazione che le si applica e lo si fa in genere in seguito o non di rado a priori, qualsiasi cosa accada, per la "reputazione obbligata".

Diverso è il caso di quelle decisioni conseguenti a situazioni improvvise, quelle che vanno prese immediatamente e che devono funzionare. È un luogo comune dire che alcune squadre (è frequente sentirmi dire ad esempio della nazionale italiana di calcio) rendono meglio quando hanno l'acqua alla gola, o si trovano alla disperazione. Gli studi di Weick e Sutcliffe (e di Resnick in passato) mostrano come in casi di intervento tempestivo le organizzazioni veramente efficienti ed efficaci non seguono una catena di comando lineare, ma piuttosto uno "sciame decisionale" in cui a decidere sono figure che occupano gangli strategici al di là della loro posizione gerarchica (la maggior parte dei decisori non ha neppure una carica).

Questo vuol dire che le scelte strategiche hanno una valenza politica riferita alla pura e semplice gestione del potere. Detto in altri termini, la maggior parte di quelle che definiamo decisioni sono piuttosto espressioni di volontà, scelte di potere, configurazioni di forze… quello che si vuole, ma non "decisioni". Di quelle si occupa, non tutta, ma piuttosto la parte più reattiva e specializzata dell'organizzazione. In molti casi ad intervenire non sono neppure le persone preposte, ma piuttosto quelle che giocano un ruolo riconosciuto dall'intero gruppo per autorevolezza e identificazione comune immediata.

I modelli che i nostri Top Manager si raccontano e ci raccontano sono persuasivi e autocompiacenti, ma ben poco hanno a che fare con il "decidere". A saperlo fare o meno è la salute dell'impresa ed è lì che si scopre il valore e la qualità del lavoro fatto dai leader per crescere un gruppo in grado di reagire alle situazioni decisionali. Anche questa, però, è una situazione determinata da una disseminazione della leadership, piuttosto che nella sua concentrazione in una o poche persone.

Dovremmo rivedere le nostre rappresentazioni dell'autorità e dei manager: quelle che ci sono hanno fatto il loro tempo, e da molto!

-- Postato con BlogPress dal mio iPad

28 agosto 2010

Tremonti, sicurezza fondamentale

  • Lavoro: Tremonti, sicurezza fondamentale

26 Agosto 2010 19:05 ECONOMIA

(ANSA) - ROMA - 'La sicurezza sul lavoro e' una irrinunciabile conquista della civilta' occidentale', afferma Tremonti.Il ministro dell'Economia definisce 'eccessiva' la polemica seguita ad una sua affermazione sulla legge 626, che riguarda la sicurezza sul lavoro. 'Cinque parole cinque dette alle undici di sera' minimizza. 'La sicurezza sul lavoro e' una irrinunciabile conquista della civilta' occidentale. L'eccesso occhiuto di burocrazia e' un derivato della stupidita'.





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